< Le poesie religiose (1895)
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Conforto Rose d'inverno

NOMOS





Se co’ volubili soli le floride
     Tempie si fecero brulle, se gl’idoli
               Rosei bruciâr le piume
               4Di verità nel lume;

Se le ingannevoli reti, cui tesero
     Al core improvvido gli amori aligeri.
               Rompe, o con vol prudente
               8Schiva la conscia mente,

Non però, torbido fantasma, aggirasi
     Il lamentevole spirto fra’ ruderi
               Di giovinezza, o giace
               12Di affetti orbo e di pace.

Ma, quale ai sibili di marzo sgombrano
     Dall’etra i grigj giganti, e niveo
               Quinci Etna e quindi appare
               16L’azzurro ampio del mare;

Tal, vinti al soffio degli anni i pallidi
     Sogni che l’animo d’error fasciarono.
               Tu splendi, o Vero, e lieta
               20Di te l’anima acqueta,

Ecco, pe’ nitidi tempj dell’essere
     Non Dei, non idoli: sta sopra a ferreo
               Trono la Legge eterna,
               24Che terra e ciel governa.

Lei non di cembali fragor, non d’ostie
     Sangue sollecita, non voti e lagrime
               Di madri, non amori
               28Di pargoli e di fiori.

All’indomabile suo cenno l’agile
     Vita gli spazj ridendo semina:
               Sorgon come faville
               32Popoli e mondi a mille.

Sorgon, ma rigida passa un vergine
     Bianca: si atterrano, com’erbe, al murmure
               Dell’ale tremebondi
               36i popoli ed i mondi.

O indeprecabile forza, a te il fatuo
     Gregge, che d’arbitro voler pompeggiasi.
               Superbamente stolto.
               40Volga ribelle il volto.

Non io: tra bronzei fini tu l’anime
     Serri: tu al vario tutto, con gemino
               Vallo, onde viva e regni,
               44Campo infallibil segni.

Quivi alla provvida luce s’ingemmano
     Dell’alma i vividi fiori; sorridono
               Feconde all’aure amiche
               48Le indomite fatiche.

Ma se de’ claustri dovuti il limite
     Tu sforzi, oh flebili sconfitte, oh inutili
               Vanti, oh pensier smarrito
               52Nel baratro infinito!

Dove, o terribile Còrso, i tuoi fulmini?
     Dove gl’innumeri trofei? Qua! popolo
               Di tua virtù superba
               56Un vital frutto serba?

Suonano al vacuo ètera, a’ secoli
     Suonano gemiti le tue vittorie:
               Tra sanguinosi mari
               60Tu, bieco astro, scompari.

Ma bello e giovine sempre dall’umile
     Bottega affacciasi Franklin: irradia
               L’accorta indole onesta
               64La venerenda testa.

A lui non aurea sorte, non impeto
     D’armi, non furie civili accrebbero
               Lo stato; a lui non fiero
               68Studio acuì il pensiero:

Ma con longanime cura i selvatici
     Germi dall’animo sterpando, e d’utili
               Veri arricchendo il petto
               72Solo al dover soggetto,

Di virtù all’ultime cime il più candido
     Fior colse; e libero poi ch’ebbe l’animo,
               E sè in sè stesso vinse,
               76Gli altri a francar si accinse.

Oh veglie, oh strenue lotte, oh magnanimi
     Sensi e in detti umili saggezza altissima,
               Oh intemerato core,
               80A cui fu tutto amore!

Ecco, al tuo placido capo s’avventano
     Dell’aria i fulgidi mostri, ma innocua
               Sotto al tuo piè ruina
               84La folgore divina.

Disfatte cadono l’armi e l’insidie
     De’ re al tuo semplice consiglio: un libero
               Popolo a tanto ingegno
               88È monumento degno.






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