< Le poesie religiose (1895)
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VETUSTE





Perchè vigore attinga
     A voli alti il pensiero,
     3Uopo non è che il pinga
     Nel lubrico sentiero,
     Ove trescando impazza
     6La bieca umana razza.

Di vili objetti schivo,
     E però in odio al volgo,
     9Dal secolo in che vivo
     Disdegnoso mi tolgo,
     Chiedendo ad altri tempi
     12Luce d’egregj esempi.

Ecco, si schiude intorno
     Questo, ove cheto io penso,
     15Recondito soggiorno;
     E accolti in tempio immenso,
     Anzi in raggiante empiro,
     18Gli antichi saggi io miro.

O gravi aspetti, impressi
     D’onesti, ardui pensieri,
     21O in detti umili espressi
     Profondi, utili veri,
     Intento io con immoto
     24Ciglio nel cor vi noto.

Per voi più non m’adonto
     Esser nato mortale;
     27Più vigorose al pronto
     Pensier crescono l’ale;
     Già già tocco, in sublime
     30Volo, del ver le cime.

Allor sì, che munito
     Di salde armi la mente,
     33Solo prorompo e ardito
     Contro l’obliqua gente,
     Ch’ebbra d’errori ed orba
     36Le terre itale ammorba.

E sia ch’irta fra ignave
     Plebi la colpa treschi,
     39O con voce soave
     Ricchi e potenti inveschi,
     Il suo vigor funesto
     42Con pari impeto investo.

Impallidisce al suono
     Della parola austera
     45Chi su l’ara o sul trono
     Tramando inganni impera;
     Ma l’innocenza ascosa
     48Leva la fronte, ed osa.

Così non fra codarde
     Fole o tra sozzi affetti,
     51Ond’ora occupa ed arde
     Lasciva insania i petti,
     Ma in nobile palestra
     54La nova arte s’addestra.

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