< Le supplici (Euripide)
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Euripide - Le supplici (423 a.C. / 421 a. C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Primo episodio
Parodo Primo stasimo


Entra Teseo.
teseo
Di quali ululi il suono, e qual di seni
percossa ho udito, e di funerei salmi?
L’eco da questi templi a me ne giunse.
Il terror mi die’ l’ali, e in cerca io mossi
di mia madre, che lungi è dalla casa,
da tempo. Un nuovo mal forse le incolse?
Scorge prima la madre, poi le donne del coro.
Ahimè!
Che cosa avviene? L’argomento ad altri
discorsi trovo. Sopra l’ara vedo
seder l’antica madre, e donne estranee
accanto a lei, non da un sol male oppresse;
ché dai cigli vetusti al suolo stillano
misero pianto; e non son già festivi
quei manti, e i capi cosí rasi. O madre,
che cosa è questo? A te significarmelo,
a me l’udire; e nuove cose attendo.

etra
Figlio, le madri queste son dei sette
duci caduti combattendo intorno
alle mura di Cadmo; e me coi supplici
rami, lo vedi, or prigioniera tengono.
teseo
Chi è quei che triste su la soglia geme?
etra
Adrasto egli è, d’Argo signore, dicono.
teseo
E i fanciulli d’intorno? I figli suoi?
etra
Non già, ma i figli degli eroi caduti.
teseo
Perché vennero a noi coi rami supplici?
etra
Bene io lo so; ma tempo è ch’essi parlino.

teseo
Si rivolge ad Adrasto.
Tu che col manto ascondi il volto, scòpriti,
parla, non gemer piú: nulla, se prima
per la lingua non passa, in porto giunge.
adrasto
D’Atene o re vittorïoso, o Tèseo,
a te supplice io giungo, alla città.
teseo
Che cerchi? Qual necessità ti spinge?
adrasto
Sai la funesta mia guerresca impresa?
teseo
Muto non fosti, attraversando l’Ellade.
adrasto
Il fior degli eroi d’Argo ivi perdei.
teseo
La triste guerra tali frutti adduce.

adrasto
Le salme di quei morti a Tebe io chiesi.
teseo
Per seppellirli? Con araldi d’Erme?
adrasto
E gli uccisori a me li rifiutarono.
teseo
Con qual pretesto? Tu chiedevi il giusto.
adrasto
Smaltir non sanno la fortuna ch’ebbero.
teseo
E a me ti volgi per consiglio? O a che?
adrasto
Perché tu renda ad Argo i figli suoi.
teseo
Ed Argo ov’è? La sua fama era un vanto?

adrasto
Siam vinti e affranti, e ricorriamo a te.
teseo
Fu tua l’idea? Fu degli Argivi tutti?
adrasto
Di dar sepolcro ai morti ognun ti prega.
teseo
Contro Tebe perché movesti a campo?
adrasto
Per far cosa gradita ai due miei generi.
teseo
A quali Argivi le tue figlie desti?
adrasto
Non cercai tale parentela in Argo.
teseo
Fanciulle argive a stranieri desti?

adrasto
A Poliníce ed a Tidèo, tebani.
teseo
Come avesti desio di tali generi?
adrasto
Me di Febo un responso oscuro spinse.
teseo
Che ti disse di far delle due vergini?
adrasto
Di darle spose a un apro e ad un leone.
teseo
E quale senso tu desti all’oracolo?
adrasto
Due fuggiaschi, di notte ad Argo giunti...
teseo
Due? Chi l’uno, e chi l’altro? I nomi dimmi.

adrasto
Poliníce e Tidèo: qui si batterono.
teseo
E come fiere a lor desti le figlie?
adrasto
Sí: ché alla zuffa due belve parevano.
teseo
E perché dalla patria eran fuggiti?
adrasto
Tidèo morte a un parente aveva inflitta.
teseo
Ed il figliuolo d’Èdipo, perché?
adrasto
Imprecò il padre che uccidesse Etèocle.
teseo
E per non farlo egli fuggí? Fu saggio.

adrasto
Ma chi rimase soverchiò gli assenti.
teseo
Dei beni lo privò forse il fratello?
adrasto
E a far giustizia io mossi; e fui perduto.
teseo
Consultasti i profeti e l’arse vittime?
adrasto
Ahi, l’error mio piú grande mi rimproveri!
teseo
Senza il favor dei Numi andasti dunque?
adrasto
Peggio! Contro il voler d’Anfïarào.
teseo
Cosí spregiasti a cuor leggero, i Numi?

adrasto
Mi frastornò dei giovani la furia.
teseo
Piú seguisti l’ardir che la prudenza.
adrasto
Altri duci cosí perduti furono.
Ora, signor d’Atene, eroe fortissimo
sopra tutti gli Ellèni, or mi vergogno
di prosternarmi innanzi a te, di stringere,
canuto già, le tue ginocchia; e un tempo
fui fortunato: eppure, alla disgrazia
è necessario ch’io mi pieghi. Salva
i nostri morti, abbi pietà di me,
abbi pietà di queste madri, prive
dei loro figli, sovra cui la bianca
vecchiezza incombe solitaria, e ardiscono
spingere il piede sopra estranea terra,
movendo a stento le lor membra antiche,
non peregrine ai misteri di Dèmetra,
bensí le salme a seppellir di quelli
dalle cui mani giovani sepolcro
avere esse doveano. Ed è saggezza
che l’uom felice volga gli occhi al povero,
ed il povero al ricco, ove la brama
di ricchezza lo prenda: agli infelici
badi, chi mai sventura non provò.

···········

Il fabbro d’inni, i canti suoi creare
deve nel gaudio; e s’ei gaudio non prova,
se in cuor tristezza alberga, e come gli altri
allegrar mai potrà? Sarebbe assurdo.
Ma dir forse potrai: «Perché di Pèlope
alla terra non pensi, e aggravi Atene
di tal fatica?». — Ed è giustizia ch’io
questo punto ti spieghi. È dura Sparta,
di costumi cangevoli, e del resto
piccola e fiacca; a tale impresa accingersi
la tua città sola potrebbe; ed occhi
essa ha per la miseria, e te possiede,
pastor giovane e buono; e assai città,
per la mancanza d’un pastore, prive
di buona guida, andarono in rovina.
coro
Ciò che quest’uomo disse, io ti ripeto.
Abbi, Tesèo, pietà della mia sorte.
teseo
Con altri già contesi, per difendere
un mio concetto, e faticai. La somma
dei mali, alcun dicea, per l’uomo supera
quella dei beni; ma credenza io nutro
contraria ad essi: nelle umane cose
stimo che il ben soverchi il male: l’uomo
se non fosse cosí, vivrebbe forse?
Io dò lode a quel Dio ch’ordine pose
alla vita dell’uom, ch’era confusa

prima, e ferina, la ragion pria dandoci,
poi la parola, dei concetti aralda,
e le voci distinte; e della spiga
il nutrimento; e con la spiga, l’acqua
che dal cielo stillando irrora i visceri
e i frutti nutre della terra; e poi
i ripari del verno, e come l’alido
schermir del cielo, e i legni, onde le terre
di quello onde han penuria fanno permuta.
E quello onde i mortali alcun indizio
non hanno, o chiara conoscenza, i vati,
guardando il fuoco, o i seni delle visceri,
o degli uccelli il vol, sanno predirlo.
Ora, quando tanti agi al viver nostro
dispose un Dio, non siamo insazïabili,
se cerchiamo di piú? Ma piú del Nume
poter vorrebbe l’intelletto umano,
e, in cuore accolta l’arroganza, saggi
piú degli Dei presumïamo d’essere.
E tu stesso appartieni a questa turba:
credesti ai Numi allor che, dall’oracolo
irretito di Febo, a genti estranee
desti le figlie, e una progenie pura
ad una torba mescolando, apristi
nella tua casa una ferita — il saggio
non deve unir con gl’innocenti i rei,
ma con le case benedette stringere
i parentadi: poiché il Nume vuole
che accomunate sian le sorti, e strugge
con le pene che al reo spettano, quanti
vivon col reo, sebben di colpa immuni — :
poi, quando a guerra tutta Argo adducesti,
ebbero i vati un bel cantare oracoli:

tu li spregiasti; e, trasgredito a forza
il volere dei Numi, Argo perdesti.
E ti lasciasti trascinar da giovani
che per ambizïone aman le guerre,
e l’ingrandirsi in onta alla giustizia,
e i cittadini sterminano, l’uno
per divenire capitano, l’altro
per avere il potere e farne abuso,
l’altro per ammassare oro; e non bada,
se, facendo cosí, danneggia il popolo.
Ed io dovrei combattere al tuo fianco
come alleato? E qual ragione addurre
ai cittadini miei? Vattene in pace.
Se non sapesti a buon consiglio apprenderti,
muovi rampogna alla tua sorte, e vattene.
coro
Fallí: la colpa fu tutta dei giovani;
ma conviene perdono ora concedergli.
adrasto
Non io dei mali miei t’elessi giudice;
ma perché tu, signor, ne fossi medico,
siam qui venuti; e non perché, se colpa
mi si può far di qualche errore, tu
rimprovero o castigo a me ne dessi,
ma perché m’aiutassi. Ed or, se tu
non lo vuoi far, ch’io mi rassegni è d’uopo:
altro che far potrei? Su, vecchie, andiamo:
le glauche qui lasciam frondose rame

cinte di bende; e i Numi e questa terra
e, datrice di spighe alma, Demètra,
e la luce del Sol, fede ci facciano
che a nulla ci giovò pregare i Numi.
corifea

···········
che di Pèlope fu prole: noi siamo

della terra Pelopia; e abbiam, da parte
di padre, un solo sangue. Or che farai?
Senza riguardo a ciò, dalla tua terra
scaccerai le vegliarde, e nulla avranno
di quanto esse chiedeano? Oh no! La fiera
trova rifugio nello speco, il servo
presso l’ara dei Numi; e la città
cui la tempesta travagliò, ripara
alla città; ché delle umane cose
nessuna v’è felice sino al termine.
Le madri incominciano ad alzarsi.
coro
Muovi, tapina, su, di Persèfone sorgi dal sacro
suolo, alle sue ginocchia le mani protendi, e preghiera
fa’ che dei nostri figli qui adduca le salme, o tapina,
dei figli miei caduti sott’esse le mura di Cadmo.
Alle ancelle.
Ahimè, prendetemi, guidatemi, sostenetemi
le vecchie mie povere mani, dirigetemi.
Si trascinano ai piedi di Tesèo.
Per la tua gota, o caro, preclaro fra gli Èlleni tutti,
io ti scongiuro, le tue ginocchia e le mani baciando,

abbi pietà di me, che supplice giungo, errabonda,
pei figli miei levando querele e funerëe nenie.
Deh, non lasciare, o figlio, ti prego, che senza sepolcro
giovani pari a te negli anni, ludibrio alle fiere
restino nella terra di Cadmo. Bagnato di pianto
questo mio figlio vedi. Prostrata dinanzi ti cado
cosí, perché tu faccia che ottengan sepolcro i miei figli.
Etra piange e si cuopre il viso, per nascondere le lagrime.
teseo
Madre, perché con quei leggeri veli
nascondi il viso, e piangi? Ti commuovono
le lor misere grida? Un turbamento
anch’io sento nel cuore. Il capo bianco
solleva, non versar lagrime, quando
di Dèo sull’ara1 veneranda siedi.
etra
Ahimè!
teseo
               Non gemer tu pei loro affanni.
etra
Misere!
teseo
               Il loro mal tu non partecipi.

etra
Posso parlar pel ben d’Atene e tuo?
teseo
Sí: con senno le donne spesso parlano.
etra
Ma perplessa mi fa l’idea ch’io nutro.
teseo
Mal tu parli: agli amici il bene ascondere?
etra
Non taccio, no: ché poi rimproverarmi
non debba che fu il mio tristo silenzio.
L’antico detto, che sconviene a donna
un abile parlar, tanto sgomenta
non mi fa, ch’io repudî il ben ch’io penso.
E pria t’esorto che tu badi, o figlio,
che tu non erri, per tenere i Numi
in poco onore: in questo punto sbagli,
tu, che nel resto hai senno. Ove l’audacia
in favor degli oppressi adoperare
necessità non fosse, io di sicuro
avrei taciuto; ma per te d’onore
sarà cagione, ed io di consigliartelo

non temo, o figlio, se saprai costringere
col valor del tuo braccio i vïolenti
a conceder la tomba e i doni funebri
ch’essi or negano, ai morti, ed a desistere
da un uso tal che turba tutta l’Ellade:
ché salde le città restano, quando
con riguardo le leggi ognuno osserva.
Per la fiacchezza del tuo braccio — alcuno
certo dirà — quando potevi cogliere
di fama un serto per Atene, tu
rinunciasti e temesti; e d’un selvaggio
apro lo scontro sostenesti, ch’era
ben misero cimento; e quando invece
conveniva guardar con ciglio intrepido,
nella prova di guerra, elmetti e cuspidi,
si vide ch’eri un vile. O figlio, no,
questo non fare: la tua patria vedi
che sconsigliata sia qualcun l’offende;
ma con che fiero piglio essa squadrare
sa chi l’oltraggia! E trova nel pericolo
la sua grandezza. Invece, le città
che nella calma oscuramente vivono,
velato anche lo sguardo hanno di tenebre
per la loro prudenza. A che non muovi
dei defunti in soccorso, e delle misere
donne, che, figlio mio, prece a te volgono?
Ed io non temo, nel veder che muovi
a giusta guerra, e che ventura al popolo
di Cadmo arride: al gioco di fortuna
gitteranno, lo so presto, altri punti:
ché capovolge un Dio tutte le cose.

coro
Bene per me, pel figlio mio, carissima,
parlasti; e ne otterrai duplice grazia.
teseo
I discorsi ch’io già feci, a proposito
di costui, sempre immoti, o madre, restano.
Il modo io dimostrai come in rovina
egli piombò pel mal consiglio. Eppure,
ciò che mi dici vedo anch’io: che al mio
costume non convien fuggir pericoli:
poiché compiute ho molte imprese, fama
è tra gli Ellèni ch’io punire debba
sempre i malvagi; e, dunque, non m’è lecito
ai perigli sottrarmi. E che direbbero
quanti mi son nemici, allor che tu,
che partorito m’hai, che sempre trepidi
per la mia vita, ad affrontar m’esorti
questo travaglio? Ed io l’affronterò.
Andrò, riscatterò le salme: prima
con le parole; e, dove non bastassero,
per forza d’armi; e allora non sarà
contro il voler dei Numi. Adesso, occorre
che tutta Atene approvi; e quando io voglia,
approverà; ma piú benigno il popolo
avrò, se accordo la parola: io queste
genti del poter mio volli partecipi,
poi che uguale concessi a tutti il voto.
Or vado all’Assemblea: sarà soggetto
del mio discorso, Adrasto; e quando il popolo
avrò convinto, i giovani piú prodi

raccoglierò d’Atene, e tornerò.
Poi, starò in arme; ed a Creonte araldi
che richiedan le salme invierò.
Vegliarde, orsú, d’attorno alla mia madre
quelle bende togliete: io porger devo
alla sua mano la mia mano, e addurla
alla casa d’Egèo. Tristo quel figlio
che quale servo ai genitor non s’offra,
mutuo dono bellissimo: ché dona
l’uomo, e dai figli suoi poscia riceve
ciò che donato ai genitori egli ha.
Teseo parte conducendo con sé Etra.

  1. [p. 300 modifica]Di Dèo sull’ara, cioè su l’ara di Cerere.

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