< Le supplici (Euripide)
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Euripide - Le supplici (423 a.C. / 421 a. C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Secondo stasimo
Secondo episodio Terzo episodio


coro
Strofe I
A
Che terror livido v’agita, o misere
madri dei miseri duci, lo spirito?
B
Che nuovo innalzi, che nuovo gemito?
C
Qual sorte avranno le genti di Pàllade?
D
La pugna, dici? O il tranquillo dibattito?
E
Meglio sarebbe! Se, invece, belligere
stragi, se zuffe, se colpi che frangano
petti con alto strepito
suonar per la città
dovran, che dire, o misera,
potrei? Ché questa, mia colpa sarà!


Antistrofe I
A
Chi fu felice, felice lo serbino
le Parche: è questo l’ardire che m’anima.
B
Tu certo giusti reputi i Superi.
B
Chi, se non essi, ha la norma degli esiti?
C
Spesso han giudizio diverso dagli uomini.
D
Il tuo terrore di prima ancor t’agita.
Vendetta chiama vendetta, sterminio
chiama sterminio; i Superi
concedono agli umani
sollievo ai mali; e il termine
è d’ogni cosa nelle loro mani.

Strofe II
A
Oh, di Tebe potessi al piano muovere
turrito, e del Callicoro lasciar l’onda celesti!

Se qualcuno dei Superi t’accordasse le piume,
alla città potresti gir dal duplice fiume:
dei tuoi cari la sorte vedere allor potresti.

C
Qual destino, qual sorte
aspetta dunque il principe
di questa terra forte?

Antistrofe II
A
Già l’invocammo, ed or di nuovo i Superi
invoco: nei pericoli è il primo baluardo.

O Giove, o tu che d’Ínaco fecondasti la figlia1,
la giovenca, che origine fu di nostra famiglia,
con noi combatti, a noi volgi benigno il guardo.
D
Di Tebe il fulcro, il raggio
tuo, sí ch’io l’arda, rendimi,
ed or gli è fatto oltraggio.



  1. [p. 300 modifica]D’Inaco la figlia è Io, amata da Giove.

Note

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