< Le vie del peccato
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Un amuleto
L'altra La campana di partenza

UN’AMULETO.

A Roberto Bracco.

Un’amuleto


Aveva nevicato tutta la notte e la valle di Spoleto era ancora sotto le nuvole grige che troncavano i monti a mezza costa; e i monti, dove la neve non li aveva imbiancati tutti, per contrasto sembravano neri nella luce livida. La tramontana bassa che lasciava immobili le nuvole, urlava e spazzava la pianura e si frangeva con un romor di mare su gli oliveti dei colli attorno, sugli argini, sui querceti nudi, furiosa di restar serrata sotto la immane cupola dei nembi, sollevando a tromba le foglie secche e poi abbattendole giù come una folla di insetti d’oro feriti e sfiniti.

Tra gli olivi sotto Bazzano, dove Biagio scavava un fosso di scolo per le acque invernali, si vedeva da Trevi a Spoleto tutta la valle oscura, che appariva morta deserta primordiale, e si vedevano presso San Giacomo lungo la strada corriera più bianca della neve, i prati verdi che il vento aveva denudati del mantello bianco, e in mezzo ad essi due vaste pozze gelate lucenti più che qualunque altra cosa in vista, tanto lucenti che la luce pareva irradiare scialba da esse.

Biagio proseguiva con la zappa prima e poi con la pala monotonamente il suo lavoro; gli era mèta in fondo un cespuglietto nudo di rovi tra i quali splendevano quattro bacche rosse di rosa canina, oscillando all’aria. Coperto d’un lungo camice bianco di tela rozza e pesante, spesso si interrompeva per riscaldarsi col fiato le mani enormi callose e ruvide sul dorso come una corteccia vegetale.

A un punto, essendo caduto il vento, il freddo divenne così vivo che egli uscì dalla fossa che scavava e andò verso un cumulo di sassi radunati fuor dal terreno ghiaioso nei tre giorni di lavoro, e al riparo del cumulo contro il vento accese con sterpi e stoppie un po’ di fuoco. Salì la colonna del fumo diritta verso il cielo, stracciandosi in alto per la rabbia della tramontana, e Biagio, avendo col lembo del camice sventolato il fuoco, vi si sedette vicino tendendoci su le mani e avvicinandoci i piedi.

Per il viottolo sottoposto udì un rumore di passi, e vide un uomo venire così avvolto nella mantella nera rotonda e nel bavero altissimo da sembrare a distanza una campana con due battagli. Quando l’uomo fu sotto, alzò gli occhi al fumo:

— Buon fuoco, Biagio.

— Venite a scaldarvi, padron Beppe.

— Vengo, – e attaccandosi a un ramo di quercella su l’argine, si alzò fino al campo degli olivi, e si sedette presso il fuoco.

— Venite da Reggiano?

— Sì, ho comprato.

— Ammazzate oggi?

— No, ammazzo domani.

Il nuovo venuto basso, robusto e un po’ pingue era il più esperto sgozzatore di suini di tutto lo spoletano. Biagio aggiunse altre legna, e non domandò altro. Si sentiva tra gli olivi passare il respiro ampio di tutta la pianura. A un punto (egli era più distante dal fuoco) alzò la testa guardando in alto il mucchio delle pietre:

— Una lucertola, di gennaro!

L’altro guardò, scattò in piedi lasciando a terra il mantello e si slanciò con la mano aperta sui sassi.

— Che fate? Lasciate la mantella su la brace, – esclamò Biagio allontanando celermente un lembo della mantella che aveva toccato i carboni.

— Eh Cristo, una lucertola a due code! – e alzava in trionfo il pugno chiuso e rideva. – La tengo, la tengo....

— Una lucertola a due code! Porta fortuna.... Io ne avrei più bisogno di voi....

— E perchè non l’hai presa? La fortuna è di chi se la piglia, non è di chi la trova. Guarda... – e mostrava la testina verde della lucertola che s’affacciava e oscillava tra il pollice e l’indice di lui serrati a cerchio, e apriva la boccuccia come un pesce boccheggiante, e girava spaurita gli occhi vivi lucidi delicati come una gemma.

— E ha due code?

— Tiè! Guarda; – e voltò il pugno dalla parte del mignolo, il pugno donde appariva la coda bifida.

— E una bella fortuna.

— Te lo dico io! Domani vendo i due porci che ammazzo, a sei soldi la libbra.... Te lo dico io! E ieri li ho venduti a quattro. Vedrai..., – e seguitava a guardare, sorridendo, ora la testa ora la coda del ramarro sottile palpitante nel suo pugno enorme.

— Ce l’ha pure Andrea, a Bovara, dicono. E si è fatto dieci casali in dieci anni....

— Eh sì! E il caso di Assunta del falegname che appena ne toccò una, ebbe gli occhi guariti? E Filomena del Cucco che doveva partorire due gemelli e li fece morti, e fu una fortuna santa per lei che campa di carità?

— E il prete di San Domenico con che guarisce i cancri? Siete fortunato voi.

E non parlarono più. Padron Beppe chiuse il vivo amuleto nel suo fazzoletto rosso, e poi, annodatolo bene, si mise il fazzoletto nella tasca interna della giacca accanto al portafogli. Quando le campane di Santa Maria di Reggiano, di Poreta, di Eggi, di Bazzano, di San Giacomo suonarono mezzodì, i due partirono sotto il vento senza parola. Poco prima del villaggio, Biagio disse:

— Se l’avessi trovata io, al padrone non gliela avrei data.

— Lui ha la moglie bella, e gli basta.

E si separarono, e Biagio cambiando a quando a quando di spalla la zappa e la pala per riscaldarsi a vicenda una mano sul petto sotto il camice e sotto la giacca, arrivò a casa del padrone quando il pranzo era innanzi.

— Hai finito il fosso?

— Stasera l’avrò finito.

— Come stanno gli olivi?

— Bene. Sono neri come il ferro. Son tornato con padron Beppe.

— Ammazza oggi?

— No. Ammazza domani.

— Quanti?

— Quattro, di Bazzano. E li venderà a sei soldi la libbra di sicuro.

— Sei matto? Ieri a Spoleto, il porco andava a quattro.

— Vedrete che Beppe vende a sei. Volete scommettere, padrone?

— Nemmanco se fa a patti col diavolo.

— Ci ha fatto, – e Biagio rideva, pure aprendo le nari alla grassa zuppa di ceci che il suo padrone aveva davanti e che fumava come un turibolo: – Oggi ha trovato una lucertola a due code.

— Una lucertola a due code? Oggi? Dove? – e si voltò su la sedia, asciugandosi la bocca col dorso della mano, quasi a porre fine al pranzo davanti a un evento così inaspettato.

— Sul campo vostro.

— Sul campo mio? Ma allora è mia!

— Io l’ho veduta primo, ma l’ha presa lui.

— E tu l’hai veduta? – e si alzava cogli occhi aggrottati d’ira violenta e le mani tese. – E tu l’hai veduta e non l’hai presa? Ecco il vantaggio di tenersi tra i piedi bestie come te. Accidenti al giorno che t’ho preso e più al giorno che t’ho pagato la prima volta!

— Ma s’io la prendevo, era mia, eh padrone!

— Era tua? Un corno! Il campo è mio, tu sei il garzone mio, tu l’hai veduta per primo. La lucertola dev’essere mia.

Il padrone di Biagio era un negoziante di bovini, che comprava ogni settimana buoi e vitelli in tutti i mercati della bassa Umbria e li conduceva con la ferrovia a Roma pel mercato del giovedì.

— Lo sai tu, pezzo di legno, che da due settimane perdo duecento scudi, e che a questo mercato porto quattordici buoi? Lo sai tu? E averci la fortuna così tra mano, e lasciarla andare al diavolo. Ma io l’avrò, perdio, l’avrò.

E senza nemmeno mettersi il mantello uscì su la via deserta, proprio quando la tramontana correva giù giù tra le case così vorticosamente che da un tetto caddero due tegoli frantumandosi su la strada soda.

Il bovaro andava contro la tramontana più accendendosi a quell’urlo e a quell’urto veementi, e per scaldarsi bestemmiava contro Biagio, e contro Beppe e contro la lucertola rubatagli e si ripeteva tra due bestemmie sibilanti i suoi tre titoli di possesso:

— Biagio è al servizio mio. Il campo è mio. Biagio l’ha veduta per primo.

Entrò nel macello col vento, come se fosse lanciato dal vento.

— Oh padron Beppe! Io rivoglio la lucertola!

Beppe batteva ritmicamente la carne per le salsicce, con la coltella a due manici; e senza alzar gli occhi verso il nuovo venuto posò la coltella e si mise a radunare sul tagliere in un sol mucchio tutto il tritume, e facendone piovere un pizzico dall’alto lentamente come fosse polvere d’oro, rispose con indifferenza un po’ ironica:

— Che lucertola volete? Guardate che carne color di rosa! Sembrano rubini.

— Non scherziamo, padron Beppe. Io voglio la lucertola a due code. L’avete trovata sul campo mio; anzi prima di voi l’aveva veduta Biagio; e Biagio è garzone mio.

— Magari ce l’avessi ancóra! – rispose con la stessa quiete il macellaio versando il sale da una scatola di latta. – Guardate che sale! È un po’ bagnato per quest’umidità della neve. Ma è sale da battesimo!

— Insomma, voi mi canzonate!

— Io canzonar voi, sor Giacomo mio? Vi pare possibile? Ma non vi ho detto che m’è scappata. Domandatelo a quell’intelligenza del vostro garzone, che m’ha veduto lui metterla nel fazzoletto e poi riporre il fazzoletto nella tasca del portafogli. A casa cerca cerca la lucertola; ma la lucertola non c’era più.

— Lo dite per ingannarmi.

— Ohè, sor Giacomo, piano con le parole! Io sono un galantuomo, e voi fino a oggi siete stato un galantuomo come me. Se vi dico che la bestia è fuggita è segno che è la verità sacrosanta. La bestia è fuggita; però, siccome a me non piacciono le prepotenze, vi avverto che, anche se ce l’avessi, me la terrei.

— Voi fate le prepotenze!

— Io? Nossignore.

— La lucertola era sul campo mio.

— Ma l’ho presa io.

— E voi me la ridarete.

— E io non ve la ridarò, perchè non ce l’ho più.

— Voi ce l’avete, e ce la vedremo davanti al pretore.

— Fate una sciocchezza; e ci perderete i quattrini del giudizio e il buon nome. Pensateci due volte!

— Ma nemmeno mezza! – e uscì com’era entrato, e Beppe ricominciò a pestar la carne sorridendo.

A un punto ne gittò una presa a un gatto bianco che stava lì sotto attendendo da un’ora invano.

Così intanto la lucertola a due code portò fortuna al gatto bianco.


Il bovaro se ne accorò. A Spoleto l’avvocato gli rise in faccia, a San Giacomo tutti gli domandavano se aveva trovato la lucertola a due code, ed egli non potè fare altro che licenziare lì per lì Biagio. Al mercato di Roma perdette altri ottanta scudi, e tanto su quel perduto amuleto fissò la fantasia che sua moglie – una biondina magra, giovine e timida come una fronda di pioppo – se ne impensierì, e, quando egli giurò di non comprar più buoi per tutto l’inverno e di non andar più a Roma per venderli, se ne annoiò anche di più.

Era abituata a quei tre o quattro giorni di libera vedovanza ogni due settimane, e ci contava e nel paese dicevano che non fosse sola a contarci. A chi gli parlava della lucertola e della disperazione del bovaro, padron Beppe rispondeva sempre:

— Di che si lagna? Lui ha una moglie bella, e una bella moglie porta più fortuna che una lucertola a due code.

E qualche donna ripetè in segreto alla biondina la risposta del macellaio:

— E fatelo un po’ contento! Senza peccato, si intende. Ma se gli fate un sorriso voi, quello vi regala la lucertola e tutta la bottega. Fareste contento vostro marito, e vi togliereste da tante noie anche voi. Senza peccato, s’intende!

E un giorno che il bovaro era andato a veder due buoi grassi sotto Protte, furono visti passeggiare insieme dietro al cimitero padron Beppe e la biondina; e la biondina fu anche vista a ridere piegando la testa palliduccia da una parte come un cero che sotto il vento si spegne e non si spegne.

Una settimana dopo il sor Giacomo partì per Roma con dieci buoi e guadagnò sopra a sessanta scudi, chè il mercato per rara fortuna non conteneva più di trecento bestie e i macellai romani a momenti si accoltellavano per comperare. Due settimane dopo gli morì uno zio di montagna che gli lasciò cinquemila lire in contanti.

Un mese dopo trovò a sistemare quelle cinquemila lire con un conte di Spoleto che lo garentì con una ipoteca solidissima e gli pagò il dieci per cento d’interessi.

— Ma insomma l’avete ripresa la lucertola? – gli domandavano tutti, ma il bovaro dondolava con lentezza la testa e non rispondeva e ingrassava.

E a padron Beppe domandavano:

— Su, dite la verità, gliela avete data! Se non avete data a lui, l’avrete data a...

— A chi, a chi? Finitela, e incaricatevi dei fatti vostri. Lui ha la moglie bella; e ve l’ho detto cento volte, una moglie bella porta più fortuna di mille lucertole con diecimila code.

Ma quando dopo tre mesi si seppe che la moglie del bovaro era incinta, dopo che per tanti anni egli aveva invano desiderato un figliolo, i rallegramenti e le domande piovvero addosso al sor Giacomo come la grandine; ed egli finì per gridare impazientito:

— Ebbene sì, sì, ce l’ho io. Non era naturale? Non era mio il campo? Biagio non l’aveva veduta per primo? E Biagio non era garzone mio?


Quando tornai in campagna e mi fu narrato tutto l’avvenimento, volli vedere la bestia rara, e una sera poco prima dell’Ave Maria me ne andai verso la casa del signor Giacomo.

— Ehi, sor Giacomo, si potrebbe vedere quella lucertola famosa?

— Padrone mio, padrone mio. Salite con me, la tengo in camera a capo al letto dentro lo spirito, per conservarla verde. Venite, venite. Pare uno smeraldo.

E su in camera da una piccola mensola a capo dell’immenso talamo nei cui paglioni eran sepolti due campi di foglie di granoturco, di tra un’immagine di Sant’Anna che aiuta le partorienti e una di Sant’Antonio che protegge i buoi e i suini, tolse una boccetta da farmacista piena di spirito sporco.

— Con questo buio non la distinguerete bene. Ecco: mettetela contro luce, così. Vedete due code, per l’insù? Sembrano due corna...


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