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NOVA PRIMAVERA.
Nel gran sereno passan leggiere
nuvole, lente nuvole pensose,
come assorte in lontani
ricordi, di lontane primavere.
Giù sulla terra sbocciano le rose,
ma come stanche; pensano i sovrani
fiori, d’un’altra remota stagione...
I bianchi fior che il giovanetto Adone
tinse di sangue, e le fanciulle greche
ridenti al sole givano cogliendo
su Ciprigna a profonder le corone.
O bellissime vergini! le bieche
parche, al mirarvi, trattenean l’orrendo
ferro, pronto a recidere lo stame,
e d’Afrodite pel vasto reame
correva un ineffabile clamore
fatto di risa, fatto di canzoni,
voci improvvise d’improvvise brame,
flutti di quell’oceano d’amore,
e fra i roseti andavano i garzoni
voi rintracciando, e il sol benedicea.
Fumavan l’are sacre a Citerea,
e su quel mar di vergini e di rose
fissava immota i grandi occhi pagani
bianca tra i fior l’effigie della Dea.
Più non fumano adesso le corrose
are, e polvere son le bianche mani
ch’arder facean la vita ed il piacere...
Tornano chiare e tepide le sere,
torna l’Aprile, tornano le rose
ed a sognar ritornano gli umani,
ma nel sereno passano leggiere
nuvole, lente nuvole pensose,
come assorte in lontani
ricordi di lontane primavere.