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5 MARZO 1896.
Una voce, che certo,
rotta da le procelle,
non attinse le stelle,
clamava nel deserto:
— O Signor, dalle pure
immensità, consola
noi d’una tua parola;
sana in noi, creature
tue, nell’error cadute
la follìa che ci tiene,
e converti le pene
in gioia di salute!
Disperdi le malvage
nubi della tempesta;
laggiù muoiono, arresta,
Signor, l’orrenda strage!
Già troppi quei sanguigni
cieli videro volti
bianchi e corpi travolti
dell’Ambe tra i macigni!
Già troppi gli avvoltoi
famelici e gli astori
divorarono cuori,
rossi cuori d’eroi.
Stendi, o Signor, la mano
che placa, sulle accese
ire, sulle contese
di questo gregge umano;
tuona che tutto è invano,
tutto invano: i più lati
dominii, i soggiogati
eserciti, il sovrano
trionfo; apri all’errore
gli occhi che iniquo serra
e intenda che la terra
è assetata d’amore! —