< Leonardo prosatore
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Novellette e bizzarrie Profezie

ALLEGORIE E EMBLEMI


Amore di virtù.

Calendrino1 è uno uccello, il quale si dice, che essendo portato dinanzi a uno infermo, che se ’l detto infermo debe morire, questo uccello li volta la testa per lo contrario e mai lo riguarda; e, se esso infermo debe iscampare, questo uccello mai l’abbandona di vista, anzi è causa di levarli ogni malattia.

Similmente, l’amore di virtù non guarda mai cosa vile, nè trista, anzi dimora sempre in cose oneste e virtuose, e ripatria sempre in nel cor gentile, a similitudine degli uccelli nelle verdi selve sopra i fioriti rami2; esso dimostra più esso amore nelle sità che nelle prosperità, facendo come lume, che più risplende dove truova più tenebroso sito.


Allegrezza.

L’allegrezza è appropriata al gallo, che d’ogni piccola cosa si rallegra, e canta, con varî e scherzanti movimenti.


Tristezza.

La tristezza s’assomiglia al corbo, il quale, quando vede i sua nati figlioli essere bianchi, per lo grande dolore si parte, con tristo rammarichio gli abbandona, e non gli pasce, insino che non gli vede alquante poche penne nere.


Avarizia.

Il rospo si pasce di terra, e sempre sta macro perchè non si sazia; tanto è ’l timore, che essa terra non li manchi.


Correzione.

Quando il lupo va assentito intorno a qualche stallo di bestiame, e che, per caso, esso ponga il piede in fallo, in modo facci strepito, egli si morde il piè, per correggere da tale errore,

Lusinghe over soie.

La serena sì dolcemente canta, che addormenta i marinari, e essa monta sopra i navili, e occide li addormentati marinari.


Prudenza.

La formica, per naturale consiglio, provvede la state per lo verno, uccidendo le raccolte semenza, perchè non rinaschino; e di quelle al tempo si pascono.


Pazzia.

Il bo salvatico, avendo in odio il colore rosso, i cacciatori vestan di rosso il pedal d’una pianta, e esso bo corre a quella, e con gran furia v’inchioda le corna, onde i cacciatori l’occidano.


Verità.

Benchè le pernici rubino l’ova l’una all’altra, non di meno i figlioli, nati d’esse ova, sempre ritornano alla lor vera madre.

Vanagloria.

In questo vizio, si legge del pagone esserli più che altro animale sottoposto, perchè sempre contempra in nella bellezza della sua coda, quella allargando in forma di rota, e col suo grido trae a se la vista de’ circustanti animali. E questo è l’ultimo vizio che si possa vincere.


Constanzia.

Alla constanzia assomiglia la finice; la quale, intendendo per natura la sua rennovazione, è costante a sostener le cocenti fiamme, le quali la consumano e poi di novo rinasce.


Inconstanzìa.

Il rondone si mette per la inconstanzia; il quale sempre sta in moto, per non sopportare alcuno minimo disagio.


Intemperanza.

L’alicorno overo unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocità e salvatichezza; ponendo da canto ogni sospetto va alla sedente donzella, e se le addormenta in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano.


Superbia.

Il falcone, per la sua alterigia e superbia, vole signioreggiare e sopraffare tutti li altri uccelli che son di rapina, e sen desidera essere solo; e spesse volte s’è veduto il falcone assaltare l’aquila, regina delli uccelli.


Moderanza.

L’ermellino, per la sua moderanzia, non mangia se non una sola volta il dì, e prima si lascia pigliare a’ cacciatori che voler fuggire nella infangata tana, per non maculare la sua gentilezza.


Magnanimità.

Il falcone non piglia se non uccelli grossi, e prima more che mangiare carne di non bono odore.


Gru.

Le gru, acciò che ’l loro re non perisca per cattiva guardia, la notte li stanno dintorno con pietre in piè.

Amor, timor e reverenza: questo scrivi in tre sassi di gru.

Cardellino.

Il calderugio dà il tortomalio a’ figlioli ingabbiati. Prima morte che perdere libertà!


Per ben fare.

Per il ramo della noce, che solo è percosso e battuto, quand’e’ ha condotto a perfezione li sua frutti, si dinota quelli, che, mediante il fine delle loro famose opere, son percossi dalla invidia per diversi modi.


Sul medesimo soggetto.

Per lo spino, insiditoli sopra boni frutti, significa quello, che per sè non era disposto a virtù, ma mediante l’aiuto del precettore dà di sè utilissime virtù.


Del lino.

Il lino è dedicato a morte e corruzione de’ mortali: a morte pe’ lacciuoli delli uccelli, animali e pesci; a corruzione per le tele line dove s’involgano i morti, che si sotterrano, i quali si corrompono in tali tele. E ancora esso lino non si spicca dal suo festuco, se esso non comincia a macerarsi e corrompersi, e questo è quello col quale si deve incoronare e ornare li uffizi funerali.



Appunti per figurazioni allegoriche.

Il Moro3 in figura di Ventura colli capelli e panni e mani innanzi.

E messer Gualtieri4 con riverente atto lo pigli per li panni da basso, venendoli dalla parte dinanzi.

Ancora la Povertà in figura spaventevole corra dirieto a un giovanetto; el Moro lo copra col lembo della vesta e con la verga dorata minacci tale monstro.


Il Moro co’ gli occhiali, e la Invidia, colla falsa Infamia dipinta, e la Giustizia nera pel Moro.


Questa Invidia si figura colle fiche verso il cielo, perchè, se potesse, userebbe le sue forze contro a Dio; fassi colla maschera in volto di bella dimostrazione, fassi ch’ella è ferita nella vista da palma e olivo; fassi ferito l’orecchio di lauro e mirto a significare che vittoria e verità l’offendono; fassile uscire molte folgore, a significare il suo mal dire; fassi magra e secca, perchè è sempre in continuo struggimento, fassile il core roso da un serpente enfiante; fassile un turcasso, e le freccie lingue5 perchè spesso con quelle offende; fassile una pelle di liopardo, perchè quello per invidia ammazza il lione con inganno; fassile un vaso in mano pien di fiori e sia quello pien di scorpioni e rospi e altri veneni; fassile cavalcare la Morte, perchè la Invidia, non morendo, mai languisce a signoreggiare6; fassile la briglia carica di diverse armi tutti strumenti di morte.


Erba colle radice insu.

Per uno che fussi in sul finire la roba o la grazia.


Foco.

Il foco è da essere messo per consumatore d’ogni sofistico e scopritore e dimostratore di verità, perchè lui è luce, scacciatore delle tenebre occultatrici di ogni essenzia.


Oro.

L’oro in verghe s’affinisce col foco.

Struzzo.

Lo strugolo colla sapienza fa nascere i figlioli7.


Spola.

Tanto mi moverò che la tela fia finita.


Motti per un emblema della generosità.

Prima privato di moto che stanco di giovare.

Mancherà prima il moto che’l giovamento.

Prima morte che stanchezza.

Non mi stanco nel giovare: è motto da carnovale.

Sine lassitudine.

Non mi sazio di servire.

Tutte le opere non son per istancarmi.


Ingratitudine.

Il legno notrica il foco che lo consuma.

Quando apparisce il sole che scaccia le tenebre in comune, tu spegni il lume che te le scasciava in particulare a tua necessità e commodità.

  1. La calandra.
  2. Chiarissimo in queste parole il ricordo della famosa canzone del Guinizelli: Al cor gentil ripara sempre Amore, ❘ come a la selva augello in la verdura.
  3. Ludovico il Moro.
  4. Il tesoriere del Duca (vedi Appendice sulle Allegorie).
  5. E le trecce in forma di lingue.
  6. Perchè l’Invidia non muore, ma conserva il suo tormentoso dominio.
  7. Dicevasi che lo struzzo covava le ova con la vista.
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