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ALLA PRESENTE RACCOLTA.
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ALLA PRESENTE RACCOLTA.
Gli studiosi che vogliono conoscere qualcosa della varia e multiforme prosa vinciana, senza consultare, non dico gli autografi, ma le trascrizioni pubblicate in edizioni di gran prezzo e perciò non facili a trovarsi anche nelle biblioteche, han finora ricorso fiduciosi alla fortunatissima scelta compilata dal Solmi per la collezione Diamante del Barbera (ch’ebbe l’onore d’essere « plagiata » da quattro traduzioni e insieme scelte vinciane: una francese, una tedesca e due inglesi1, ovvero al recente volumetto a cura di Luca Beltrami, edito dall’Istituto editoriale italiano nella collezione « Gli immortali ». L’idea di scegliere tra gli appunti così svariati del Vinci, ordinandoli in maniera che il lettore non si trovi continuamente sbalestrato da un argomento all’altro, è ottima, e questo spiega il favore con cui i Frammenti del Solmi furono accolti, e il vivo interesse che gli Scritti raccolti dal Beltrami suscitano in ogni studioso di cose vinciane.
Ma ahimè! Un fato iniquo pesa sull’opera del Grande.
Non si riesce a spiegare come le tante assurdità spesso ridicole che infiorano i Frammenti (lasciamo da parte l’inutile e spesso capriccioso rammodernamento della lingua, l’omissione d’intere proposizioni, le correzioni grammaticali arbitrarie, l’interpunzione spesso scorretta), abbiano potuto passare inosservate sotto gli occhi di tanti severi lettori, estasiati dinanzi al miracolo, rivelato dal Solmi, della prosa vinciana. Mistero! O forse, invece, cosa spiegabilissima. Si tratta d’uno scrittore antico, non letterato di professione, che parla, spesso per il primo, d’argomenti difficili, e che, per giunta, è un po’ ghiribizzoso: dunque! dunque (così i più ragionano), niente maraviglia se qualche volta è oscuro. Non si capisce? La colpa è del Vinci: è naturale! e si salta al passo seguente di cui si ammira la perspicuità cristallina. Morale: il lettore, anche se legge a scopo di cultura e non di mero passatempo, è più frettoloso e indolente di quel che si crede.
Tenuto debito conto delle difficoltà dei molti e disparati argomenti, la verità è che la prosa del Vinci è limpida, con un nesso logico stringente e avvincente, anche dove la sintassi non è rispettata. I passi oscuri sono tali soltanto per il nostro fiacco ingegno e la nostra scarsa preparazione scientifica, o altrimenti sono guasti da una poco felice trascrizione.
Certo la prosa di Leonardo richiede nel lettore, e più nell’editore, una continua acuta riflessione ; essa è mancata troppo spesso al Solmi, così benemerito per altre vie degli studi vinciani. Quanto al Beltrami, egli s’è troppo fidato del suo predecessore, seguendolo passo passo nel testo, e solo variando la disposizione della materia. La lezione ch’egli dà negli Scritti non risulta da una nuova applicazione delle norme adottate da Giovanni Piumati per la pubblicazione del Codice Atlantico e degli altri codici da lui editi, alle altre trascrizioni di note vinciane, e neppure da un nuovo tentativo di conformare, per quanto era possibile, le trascrizioni derivanti da norme diverse (Proemio, p. 29-30), ma è la precisa lezione confusa, incerta per mancanza di norme direttive, data dal Solmi nei Frammenti.
D’alcuni madornali inesattezze e errori il Beltrami s’è accorto, come, per esempio, nel passo celebre sull’anatomia, in cui il Vinci enumera gli ostacoli che facilmente s’oppongono a tale studio, correggendo: «morti squadrati» in: «morti squartati» ; ma — purtroppo — su troppi passi guasti dal Solmi il nuovo raccoglitore ha sorvolato, non avvedendosi degli strafalcioni e facendoli suoi. M’accontento di pochi esempi, ma tali da provare a esuberanza il mio asserto. Essi non richiedono commento, o, per dir meglio, commento bastevole sarà il testo vinciano esatto che pongo loro a fronte.
....- trovavansi sotto terra e sotto li profondi cavamenti de’ lastroni, li legnami delle travi lavorati, fatti già neri, li quali furon trovati a mio tempo in quel di Castel Fiorentino, e questi, in tal loco profondo v’erano prima che la litta, gittata dall’Arno nel mare, che quivi copriva, fusse abbandonata in tant’altezza, e che le pianure del Casentino fussin tanto abbassate dal terren che hanno al continuo di lì sgomberato. | Truovasi sotto terra e sotto li profondi cavamenti de’ lastroni, li legniami delle travi lavorati, fatti già neri, li quali furon trovati a mio tempo in quel di Castel Fiorentino, e questi in tal loco profondorono prima che la lita, gittata dall’Arno nel mare che quivi copria, fussi abondata in tant’altezza, e che le pianure del Casentino fussin tanto abbassate del terren che Arno al continuo di lì sgombra. |
(Solmi, Frammenti, p. 157-58, Beltrami, Scritti, p. 91). | (Cod. Leicester, 9. v.; trascriz. Calvi.) |
E nella famosa descrizione della tempesta:
(Farai) li alberi e l’erbe piegate a terra quasi mostrarsi volere seguire il corso dei venti, coi rami storti fuor del naturale corso e le scompigliate e racconciate foglie. | (Farai) li alberi e l’erbe piegate a terra, quasi mostrarsi voler seguire il corso de’ venti coi rami storti fori del naturale corso e con le scompigliate e rovesciate foglie. |
(Solmi, p. 307; Beltrami, p. 147). | (Ash. I, 21 r.; trascriz. Ravaisson-Mollien; il Ludwig, par. 147, ha: roversiate). |
Nella figurazione del Diluvio:
.... alcuni si gittavano dalli alti scogli, altri si stringevano la gola colle proprie mani, alcuni pigliavan li propri figliuoli, e con grande rapidità li sbattevan interi... | .... alcuni si gittavano dalli alti scogli, altri si stringeva la gola colle propie mani, alcuni pigliava li propi figlioli, e con grande ràpito li sbatteva in terra... |
(Solmi, p. 316; Beltrami, p. 152). | (Richter, par. 327). |
E in un’altra delle descrizione più celebri:
.... e fare le bocche d’alcuno vecchio, per maraviglia delle audite sentenze, tenere la bocca con le sue streme basi, tirarsi dirieto molte pieghe de le guancie... | .... e fare le bocche d’alcuno vecchio, per maraviglia delle audite sentenze, tenere la bocca con i sua stremi bassi, tirarsi dirieto molte pieghe de le guancie... |
(Solmi, p. 340; Beltrami, p. 142). | (Ash, I, 21 r. ; trascr. Ravaisson). |
Nella lettera sul gigante fantastico che coi calci «gittava li omini per l’aria, i quali cadeano non altrimenti sopra gli altri omini come se stata fussi una spessa grandine»:
E molti furon quelli che, morendo, dettò morte...
(Solmi, p. 343; Beltrami, p. 162). |
E molti furono quelli che, morendo, detter morte.
(Cod. Atlantico, 96 v.; trascriz. Piumati). |
Intere frasi e importantissime al senso sono saltate a piè pari dal testo Solmi-Beltrami, come, per esempio, nel bel passo che insegna «come si de’ figurare una notte».
Le figure, che sono fra te e ’l foco, appariscano scure nella oscurità della notte e non della chiarezza del foco... | Le figure, che sono fra te e ’l foco, appariscano scure nella chiarezza d’esso foco, perchè quella parte d’essa cosa che vedi è tinta dalla oscurità della notte e non dalla chiarezza del foco... |
(Solmi, p. 306; Beltrami, p. 146) | (Ash. I, 18 v.; o: Ludwig, par. 146). |
Troppo più ci sarebbe da spigolare, ma mi accontenterò, per non tediare, d’accennare soltanto all’incredibile storpiatura della Profezia sul lino.
Del lino che fa la cura delle genti.
Saran reveriti e onorati, e con reverenzia a amore ascoltati li sua precetti, di chi prima fusse legato, sdraiato, e martirizzato da molte e diverse battiture. |
Del lino che fa la carta de cenci.
Sarà reverito e onorato, e con reverenzia e amore ascoltato li sua precetti, di chi prima fu spezzato, straziato, e martorizzato da molte e diverse battiture. |
(Solmi. pag. 360; Beltrami, p. 191). | (Cod. Atl., 362 r.; trascriz. Piumati). |
Moltissime sono le profezie leonardesche conciate sul gusto di questa dal Solmi; il Beltrami, non avendone scelte per i suoi Scritti che alcune, ha avuto la fortuna d’evitare così molti spropositi.
Non ha evitato, però, di cacciare nel bel mezzo della figurazione del Diluvio, un passo sul moto della polvere mossa dal corso del cavallo (!), passo che il Richter aveva trascritto di seguito, sì, ma notando che faceva parte a sè. (Solmi, p. 318; Beltrami, p. 152-53; Richter par. 327).
Curioso, poi, lo spezzare ancor più la già frammentaria prosa vinciana, sconvolgendone l’ordine da capo a fondo: con che profitto? con che utilità? Già così raro è il piacere d’aver un passo lungo del Vinci! dico piacere, perchè scrivendo a lungo, Egli — cosa che non fa di solito — s’accalora e diventa eloquente.
Parlo delle pagine contro gli interruttori e abbreviatori delle sezioni anatomiche, pagine tra le più belle di Leonardo. Il testo vinciano (Quad. Anat. edit. dal Vagensten, Cristiania, II, fol. 14 r) dal Solmi era stato già spezzato, per seguire una sua divisione della materia abbastanza capricciosa, in tre frammenti (il 1º a pag. 101, il 2º a pag. 219, il 3º a pag. 228, ma preceduto e fuso con altro frammento — Quad. An. I, 42 r — che per nulla c’entra). Il Beltrami, non contento dello scempio, lo divide in cinque frammenti incompiuti e ordinati a modo suo: infatti il primo capoverso della pag. 38 è il terzo nell’ordine esatto, sì che comincia con un «ma», che par riferirsi al passo precedente del tutto estraneo, viceversa, in materia; l’ultimo dovrebbe essere il primo, il secondo resterebbe il secondo... quando fosse capovolto l’ordine dei passi tra cui è posto. Poi è saltato tutto un tratto, e a pag. 96 tranquillamente è dato un altro spezzatino incompiuto anche questo, e incappellato con due altri passi di diversa provenienza dai manoscritti, e di cui il secondo non ha la benchè minima relazione nè con l’antecedente nè col susseguente.
Sta lì solo perchè nella raccolta del Solmi (alla già citata pag. 228) c’è... e Dio solo sa perchè! Il Beltrami, copiando, ha copiato — naturalmente — anche uno sproposito, e ben grosso. Eccolo: «E in questo caso io so che io ne acquisterò non pochi nemici, conciò sia che nessuno crederà ch’io possa dire di lui....»
Ancora:
V'è un passo a p. 114 del Solmi che incomincia: «Esempio della saetta fra’ nuvoli» e continua parlando... d’un fossile colossale! Se non che il bel passo è interrotto: ne dovete cercare la continuazione a pag. 148! e questo solo frammento monco è stato riportato dal Beltrami (p. 86). Ricomposto pietosamente all’ammirazione dei lettori, l’ho fatto seguire dalle tre redazioni del Codice Atlantico che evidentemente si riconnettono con esso.
Qui m’arresto a dire non perchè l’argomento manchi, ma perchè mi pare d’aver detto abbastanza.
Aggiungerò solo qualcosa intorno al criterio direttivo di questa nuova scelta di passi vinciani.
Mentre i volumetti precedenti e anche il costoso zibaldone del Richter2 tentano di organare frammenti per dare al pubblico una pallida idea dell’immenso sapere leonardesco, questa raccolta ha un diverso scopo: quello di dare le linee essenziali della prosa leonardesca, insigne non solo per gagliardia di pensiero, ma per meditata coscienza d’arte e nativa forza d’eloquio.
Essa, che potrà essere migliorata in successive edizioni dietro la scorta della tanto invocata Edizione Nazionale, vuole non solo togliere all’Italia la vergogna di divulgare sotto il nome di Leonardo periodi in cui manca soltanto (piccola cosa!) il senso comune, ma additare all’ammirazione e allo studio del lettore i passi più belli e più originali della prosa leonardesca, che resterà, sì, come monumento del suo sapere scientifico maraviglioso per quei tempi, e come testimonianza interessante della sua vita di pittore, ma anche e più come uno degli esempi più belli di prosa, a lato della prosa del Principe.
Agli storici della scienza il compito di studiare negli scritti del Vinci fino a che punto il pensiero suo abbia precorso il pensiero scientifico moderno, agli storici della precettistica delle arti figurative il valutare quale sia il posto che in essa occupa il Trattato della Pittura; qui non importa dare i passi più importanti sotto questi punti di vista, ma quelli in cui l’osservazione scientifica o il precetto pittorico sono artisticamente espressi.
Nota. — Pure cercando di collegare frammenti diversi non ho osato, come i miei predecessori, fonderli, ma ho — ciascuno — separato da una lineetta. Non metto a ogni passo l’indicazione del codice da cui fu tolto per non dare alla stampa è più alla lettura un pesante ingombro di citazioni.
Ho mantenuto la grafia leonardesca solo in quanto ha riverbero nella pronuncia, per non sciupare la patina quattrocentesca e fiorentina, non, per esempio, nei capricciosi stacchi o unioni di parole, nell’uso latineggiante dell’h ecc. Purtroppo, essa non è uniforme, primo: perchè Leonardo stesso la varia frequentemente, secondo: perchè i passi derivano da trascrizioni diverse, antiche e moderne, condotte con parecchi criteri. Divari stridenti, a ogni modo, credo aver con prudenza evitato: così, ad esempio, ho levato, nei passi tolti al Ludwig, et, sostituendo e, come si trova nell’altre trascrizioni.
Ho curato molto l’interpunzione, cambiandola a volte interamente dai miei predecessori, persuasa che il togliere o il porre una sola virgola possa illuminare spesso meglio di lunghe note.
Le poche parentesi quadre indicano emendazioni necessarie perchè il testo in quel punto era guasto.
I vari puntini di sospensione segnano il luogo di parole o frasi omesse perchè errate nelle trascrizioni o indecifrabili nei manoscritti, o per debito d’onestà, dovendo questo libro adoperarsi nelle scuole.
- ↑ Vedi la nota bibliografica posta in fine della conferenza: « La resurrezione dell’opera di Leonardo » del Solmi, nel volume Leonardo da Vinci, conferenze fiorentine, Milano, Treves, 1910, p. 47-48.
- ↑ The literary works of Leonardo da Vinci, by J. P. Richter, London, 1883, 2 voll.