< Leoniero da Dertona
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Atto secondo
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ATTO SECONDO.

Palazzo.


SCENA I.

ENZO, CORRADO, LANDO, altri senatori, UGGERO.


Enzo.Alt’uopo, o senatori, oggi v’appella
A secreto consiglio. Il già già colto
Di vostre cure frutto, ahi, di fortuna
L’invida man ne vuol ritòr. Domati
Gli audaci credevam, se in nostra possa
Cadea il tribun; vi cadde, e per noi resta
Che a suoi delitti imposta sia la meta.
Ma che? se il genitor suo snaturato
Redimer nega il figlio, e la fatale
Ròcca non cede, di che a noi continua
Fa inchiesta l’oste imperïale, e a dritto;
A dritto, sì, però che alla lombarda
Nemica lega, ove quest’un rapito
Sia propugnacol sommo, a sostenerla
Mancherà in breve sino all’Alpe ogn’altro
Minor di questo; e minor, — tutti il sono.
L’alta importanza della rocca, ahi troppo!

Pur Auberto sentia. Messo andò Uggero
Al fero vecchio. Che ottenesse, udite.
Uggero.M’accolse Auberto in mezzo all’armi. Cerchio
Feangli Ghielmo, Ricciardo, Ugo, e i maggiori
Infra i chiusi ribelli.— «Il figlio mio!
(Gridò ferocemente) o il consol tremi, __
Ch’io queste sitibonde aste una volta
Su lui proromper lasci!» — «Auberto, io dissi,
Stagion passò di tracotanza; io vengo
Messagger di clemenza ultimo a rei
Che sull’abisso pendono, e ritrarsi
Più non potrian, se pia una mano ancora
Lo scampo lor non desiasse. Arrigo
In ferri per decreto è del senato:
Guai se il giudicio si pronunci! È morte
De’ felloni il destin. Ma ancor nell’alma
Generosa del console è memoria,
Più che de’ torti del tribun, del nome
Di consanguineo che al tribuno ci dava.
Medïator fattosi quindi, ei l’ire
Del senato rattenne, e asseveranza,
Se la ròcca cediate, offre d’intero
A voi perdono, e libertà ad Arrigo.»
Corrado.Che rispose il superbo?
Uggero.                                             Invan la morte
Gli minacciai del figlio. — «Il popol solo
Della ròcca è signor; di fellonia
Reo verso il popol, se cedessi, io fòra.»
Sì mi rispose.
Enzo.                              Udiste? I ceppi al reo
Sciorre o la guerra sostener. Ma obbrobrio
Non parvi, se assalirne osin gli Auberti,
Noi, che intimando ognor la resa, ognora
Minacciam d’assalirli, e inoperosi
Ognor ci stiam? Non di fiacchezza indizio
Questo sarà che al popolo in dispregio
Ponga la signoria? ch’ansa gli doni
Co’ ribelli ad unirsi? Il popol muto

Sinor tenemmo colla forza: or guai
Se questa forza simulacro appaia!
E oggi più temo: oggi soltanto io temo.
Però che il popol, oggi, alma riceve
Quasi novella nel suo antico eroe,
In Leonier.
Lando.                    L’indole tua gagliarda
Troppo spesso a gagliardi atti t’inchina,
E ora all’assalto spingeriati. E fermo
Non avevam, che avventurare assalto
Pria non si debba che i promessi aiuti
L’imperador ne mandi? È ver, men lenti
Fummo l’oro a spedir ch’ei le sue lance:
Ma sacra di monarca è la parola,
Nè omai tardar può d’adempirla. E saggio
Saría consiglio, un dì, poc’ore forse
Pria che giungan gli aiuti, al periglioso
Assalto cimentarne?
Corrado.                                   Io pur dissento
Dal tuo proposto, o console. Ed errore
Grave — soffri ch’io ’l dica — era, che al primo
Scontro con Leonier sagace modo
Non sovveníati di sottrarlo al volgo.
Ma vana sul passato è la contesa:
Del riparar non già il consiglio. Al padre
Messagger manda; placalo; salute
Fingi in lui porre; a te si renda; e il volgo
Poscia persuader che il vecchio eroe
Santa conobbe nostra causa e a noi
Si vincolò, fia agevol opra.
Enzo.                                                  È questa
D’ognun la mente?
Senatore.                                   Sì: il tribun prigione
Vivo tener.
Altro.                    Protrar della fortezza
L’or dubbio assalto, e volger l’armi intanto
Tutte al terror dell’arrogante turba.
Corrado.Ed anzi ogn’altro rischio, all’arrogante

Turba, campione uom per antica fama
Ed austeri principii sì possente,
Tor che divenga.
Enzo.                              Ognun qui Leoniero
Paventa; e anch’ io il pavento. Or per lui dunque
Comincisi. Ammendar, s'error commisi,
L’error conviemmi. A me le vie lasciarne
Piacciavi solo.
Senatori.                              In te fidiamo.
Enzo.                                                  Il tempo
Urge; all’impresa accingomi; e allorquando
Fatto il padre avran mio l’arti o l’ardire,
Norma ci fia il silenzio, o la baldanza
De’ cittadini, a più tentare o a starci.1


SCENA II.

ENZO.


Di timid’arti consiglieri sempre!
E innanzi sì magnanimo mortale,
Innanzi un Leoniero, io timid’ arti,
Io vil menzogna adoprerò? I sublimi
Spirti qual tu, genitor mio, ogni colpa
Tranne viltà perdonar ponno. — Al primo
Scontro, a me trarlo io, sì, dovea: gl’indugi
Il senno son de’ pavidi. — M’inganno,
O Eloisa odo? — Ascolterolla?— Un lampo
Splendemi: se per essa Arrigo ancora
A piegar valgo ed il castello acquisto,
Un delitto risparmio, il padre mio
Più non assalgo; tutto allora è vinto.

SCENA III.

ELOISA e detto.


Eloisa.Enzo.
Enzo.          A oltraggiarmi anco ritorni?
Eloisa.                                                            Ferma.
Giunto è all’orecchio mio, ch’appo te accolti
Furono i senatori. Ahimè! il giudicio
Pronunciarono forse?
Enzo.                                        A che del volgo
Ti giovò contra me suscitar l’ire,
Mal consigliata? Temo il volgo io forse?
Io che.... Ma il susurrar de’ temerari
Vieppiù a danno d’Arrigo esacerbati
Ha i senatori, e già cadría la scure,
S’io per tuo amor non sospendeala a stento.
Eloisa.Misera! Enzo, fia ver? Pietà ti prese
Della sorella? Ma che ondeggi? Il guardo
Perchè pur sì funesto? Oh! di speranza
Qual debil raggio mi dái tu?
Enzo.                                                       L’estremo.
Ingannarti non posso. Io con Arrigo
Già lunghi parlamenti oggi, ed indarno,
Pria del giudicio tenni. Ingratamente
Ei mia pietà rigetta, ed oblïando
Ch’è sposo e padre, anzi che i vani sogni
Del suo orgoglio immolar, se stesso immola.
Eloisa.L’alto suo cor lo perde.
Enzo.                                             Di te duolmi;
Pur tacertel non vo’. Poca m’avanza
Nel mio zelo fiducia. Ah, se tu.... il cielo
Forse m’ispira.
Eloisa.                              Spiegati.
Enzo.                                             Lo sposo
Veder tu brami?
Eloisa.                                   Oh, sì!
Enzo.                                                  V’assento: m’odi. —

Olà, qui Arrigo traggasi.— Il suo scampo
Persüadergli sia tua cura. A lui
L’aspetto mio che a furor troppo il tragge
Sparmiar fia il meglio: in calma il tuo porrallo.
Sagace sii: con tutte armi il combatti
Che amor di donna inventar può. M’ intendi?
Fa’ ch’egli scriva al genitor; le chiavi
Del castel si depongano. Trionfa;
Niuna repulsa stanchiti; trionfa,
O i figli tuoi diman più non han padre.
Eloisa.Inumana parola!
Enzo.                                   Or ver favella.
Temer degg’io, ch’oltre il cognato, un’altra
A noi più sacra testa i fulmini osi
Della legge schernir? D’udirmi ancora
Ricusa il padre?
Eloisa.                                   Innanzi al convocato
Popolo udirti ei vuol. Ben di sue austere
Virtù nova sciagura io paventando,
Cercai più mite renderlo.— «Prostrarsi
Un dee, dic’ei, ma non a figlio il padre;
Prostrarsi a offeso padre il figlio debbe.»
'Enzo.L’inesorabil suo spirto conosco;
Dritto è che il mio conosca ei pure, e tosto.
Eloisa.Enzo! dove?...
Enzo.                              Mi lascia. Eccoti Arrigo.
Bada; fatale istante, o donna, è questo.
Più non ti dico. I figli tuoi rammenta.2


SCENA IV.

ARRIGO condotto da guardie, ed ELOISA.


Arrigo.Mi fugge? — Oh sposa! tu? Deh quest’affanno
Perchè? In pianto ti stempri, nè parola
Formar puoi. Mia Eloisa! mia Eloisa!
Del mio destin vieni tu nuncia?— Intendo;

Non ti turbar, l’annuncio tuo ad Arrigo
Inatteso non giunge; e se d’amaro
Alcun che avea, tu, donna, gliel toglievi,
Recandol tu.
Eloisa.                         No, Arrigo. Oh quai funesti
Detti! o con quale snaturata quiete
Osi tu proferirli!
Arrigo.Io non m’inganno;
Nel tuo pallor, nella tua angoscia io leggo.
Nè snaturata appellar dèi la pace
Con che l’addio tuo tenero ricevo.
Pace quest’è dell’incolpevol prode
Nell’ora sua suprema. In siffatt’ora
Pianto addiríasi a chi d’Auberto nasce?
E tu, d’Auberto non sei nuora?
Eloisa.                                                            Io moglie
Ti sono, Arrigo. Mia virtù è l’amarti;
Mio bisogno il tuo vivere; di questo
Insanguinato cor l’acuto grido
È il viver tuo! il viver tuo!
Arrigo.                                                       Pietosa
Meco non sei. Chi di fortezza ha d’uopo
Non gentil atto è intenerir. Ten prego,
Eloisa: tua nobile costanza
Degna di me or ti mostri. Io ne’ tuoi figli
Ti resto ancor.
Eloisa.                              Ah, i figli!... Abbi di loro
Pietà. Qui non li addussi; Auberto teme
Che ostaggio Enzo li tenga. Oh! a tue ginocchia
Entrambo s’avvinghiassero, e «Deh, padre,
Ti dicessero, in te il serbarci stassi
L’unico nostro difensor. Canuto
È l’avo, egra la madre, e senza alcuna
D’armi possanza. È a noi fero uno zio
Che non perdoneríane essere prole
Di chi nemico ei trucidato avesse.
Estranei amici? Oh! amici han mai pupilli
Cui del tiranno insegua l’odio? O padre!

D’Auberto, se tu cadi, accelerata
Mira al sepolcro la vecchiaia, e mira
Noi da ciascuno derelitti, oppressi,
Profughi forse, anco dal vil respinti
Cui vergognando un pan chieggiamo.»
Arrigo.                                                            Cessa.
Eloisa.La madre trafugavali. Sotterra
Tosto posela il duol. Niun prende cura
Degli orfanelli più. Timor di giusta
Vendetta auge l’iniquo; ei li persegue,
Ei.... dir nol posso. Oh figli miei!
Arrigo.                                                       Delirio
Spaventoso quest’è.
Eloisa.                                        Salvali.
Arrigo.                                                  E il posso?
Eloisa.Sì, Arrigo, è tempo ancora. Impietosito
Enzo un indugio alla sentenza ottenne.
Fè non mi presti? Oh, ascoltami: ottenuto
Di tutte le tue ostili opre ha l’obblio,
Se la fortezza tu consegni. Scrivi
Al genitor, fa ch’ei le chiavi arrenda.
Arrigo.Donna, tu oltraggi il padre mio. Al delirio
Che t’invade perdono.— In te un istante
Rientra, amica, e t’avvedrai che patto
Inaccettabil ne propongon. Morte
O disonor? E ch’io disonor scelga?
Che a’ figli miei mi serbi, ed al codardo
Padre un giorno rampognino la macchia
Di tradimento che il lor nome sfregi?
No, Eloisa, nol vuoi; di Leoniero
Prole sei non degenere tu sola.
Non d’Enzo il guasto cor, ma dell’estinto
Tuo genitor la irreprensibil vita
Tuoi sensi informi.
Eloisa.                                        Ah, il padre mio strascini
Teco in una ruina! Ei d’Orïente
Tornò.
Arrigo.          Che intendo?

Eloisa.                                        Egli dal sen respinse
Il figlio suo: del popol le ragioni
Sostener volle. Ma che pro? Vigliacca
E divisa è la plebe; e or più divisa,
Dacchè ad Auberto pe’ rancori antichi
Legarsi Leonier nega, e civile
Stendardo alza novello.
Arrigo.                                             Oh cieche menti!
Ma deh narrami: come?...
Eloisa.                                                  Ancora al sangue
Niuna parte venía. Tituba e freme
Leonier che già scorto ha del presente
Popolo la viltà. Vane battaglie
Divoreranno alla città i suoi prodi!
Orfana io rimarrò! — Ma se la ròcca,
Esca fatale a inutili sommosse,
Se la ròcca s’arrenda, allor tu, Arrigo.
Ed il padre e ogni buon, ritrar potrete
Al valor prisco la città; allor forse
Concilïati Auberto e Leoniero,
Per nostr’opra, verranno, e lor concordia
Vincol sarà che tutte alme congiunga.
Deh, que’ giorni felici or dal futuro
Non cancellar. Delitto fòra, ah! dubbio
Non è, tua morte; il patrio ben costando,
Non più virtù, ma parricidio fòra.
Arrigo.Oh illusïoni, ond’è il tuo cor fecondo!
Come il ver ti sfigurano! Io la benda
Dalle ciglia ti strappo; eccoti il vero.
Se per vil tema un tradimento al padre
Io dimandar potessi, e compierlo egli,
Del castel disponendo, ah! di tesoro
Non mio dispongo. E qual tesor! lo ignori?
Tal che perduto, a’ barbari, dall’acque
Di Bormida e di Scrivia insino al varco
Che Italia serra, allegro campo in breve
Schiuder potrebbe di rapine e morte.—
È falso, o donna, che a virtù ritrarre

Suoi cittadini con basse arti uom possa.
Sola virtù, virtù raccende! Chiuso
È al linguaggio del vil, che i giorni ha compri
Colla viltà, d’ognuno il cor; ma al core
Parlan d’ognun de’ generosi l’ossa.
Eloisa.L’obbrobrio tuo non vo’; ma obbrobrio è forse
Il sedar gli odj? il ceder, quanda nullo
E funesto è il resistere? Ah, de’ beni
Il primiero è la pace. E tu rammenta
Che così rompe a vïolenza il freno
Enzo sol dacchè il popolo a’ tumulti
Vede proclive; ed opra è tua. Se cessi
Di civil guerra in lui la tema, e pegno
N’abbia il castel (solenne fede innanzi
Al popolo ten dava), ei dello Svevo
Rigetta i patti. Ah! il popol desioso
D’interna pace da te pende. Ei tutto
Pria che te perder....
Arrigo.                                        Che m’accenni?
Eloisa.                                                            Oh Arrigo!
Arrigo.S’esemplo io doni di viltà, nel fango
Si prostran tutti? E a ciò tu plaudi?
Eloisa.                                                       Ah vivi!
Arrigo.Sorella d’Enzo!
Eloisa.                                   Ahi voce!


SCENA V.

ENZO e detti.


Enzo.                                                  Enzo t’ascolta.
Ti consigliasti?
Arrigo.                                   Coll’onor.
Enzo.                                                  Sei padre.
Arrigo.Son cittadin.
Enzo.                              Miei patti accetti?
Arrigo.                                                  Infami
Son.
Enzo.          Non gli accetti?

Arrigo.                                             Infami son!
Enzo.                                                       Tu....
Arrigo.                                                            Arrigo
Degli Auberti son io.
Enzo.                                        Polve a un mio cenno
Sei.
Arrigo.          Ma polve onorata.
Eloisa.                                             Oh ciel! gli atroci
Sdegni non si raccendano. Deh, sposo,
Pietà! — Fratello, ei di sua mente ancora
Tutti i consigli non pesò.
Enzo.                                                  Assai tempo
S’ebbe. Intendesti? Con tua scritta annuncia
Al genitor....
Arrigo.                         Che a genitor sì grande
Indegno figlio esser non vo’; che lieto
Augurio siagli il mio morir, che segno
Di somma debolezza è quando rotto
D’ogni pudore il varco hanno i felloni;
Che veduto dappresso ho i compri armati
Onde sfidati siam, gente codarda
Che in frotta assalta cavalier solingo,
E a stento il doma; che....
Enzo.                                             Tant’osi? al padre,
Folle! altro nuncio recherà il tuo capo.
Eloisa.Misera me! fermatevi. A’ tuoi piedi
Eccomi, Arrigo. Pace, pace io prego;
Santo è il mio prego. Alla città niun bene
Senza la pace avvenir puote. Il padre,
Ah, già tel dissi, mi torran le pugne!
Orfana io resterò! Vedova, o immersa
Per la perdita tua sempre nel pianto,
Qual resteria al canuto Auberto e a’ figli
In me conforto?
Arrigo.                              A te ed a loro, Iddio.
Eloisa.Ah, l’amor mio non senti! Io di me appena
Sinor parlarti osava. Il tuo severo
Ciglio temea. Ma, o Arrigo, io t’amo, io t’amo

Come mai donna non amò! Sì grato
T’era un di quest’amor! Donde in oblio
Così il ponesti! In che mancai? Lasciarmi
Perchè vuoi desolata!...— Ah, sì, tu piangi?.
Ho vinto, ho vinto!3
Enzo.                                        Arrigo....
Arrigo.                                                  A questa donna
D’esser stata d’Arrigo, Enzo, perdona.
Or da me la dividi. — Al mio destino,
Custodi, conducetemi.
Enzo.                                   Oh ferocia!
E in mezzo al pianto pur?...
Arrigo.                                             Sì, in mezzo al pianto
Che pietà e amor mi strappano, io la patria
E il dover mio rammento. — Enzo, i tuoi patti
Spregio.
Enzo.E il tuo spregio, o temerario, è morte.
Eloisa.Ah no, barbari! Uditemi.
Arrigo.                                             La forza
Onde il cor tuo abbisogna, il ciel ti doni.4
Eloisa.Seguirlo voglio. — Sposo.... — io manco.
Enzo.                                                            Uggero,
Costei soccorri. — È impreteribil uopo
Di Leoniero impadronirci. Andiamo.

  1. I Senatori e Uggero partono.
  2. Parte.
  3. S’alza e lo abbraccia.
  4. È condotto via.


Note

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