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CXLIII. Querele di sfortunato amante.
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Querele di sfortunato amante.


I
N premio delle mie lunghe pene altro io non vorrei, che mi concedesse Amore, se non che sicome io veggo la vostra bellezza tormentatrice, così voi vedeste l’anima mia tormentata: ma (lasso me) s’io Argo son’alla vostra beltà, voi Talpa siete al mio dolore. Dal mio vedere il vostro bello, nacque il mio male, e dal vostro non veder il mio male procede, ch’io non trovo la medicina. Misero ben hò io occasione di maledir la mia sorte, poiche voi non vedete così mille miei martiri, com’io veggo mille vostre bellezze. Quel cieco, e crudo Arciero, che impera sopra la mia libertà certo v’hà di sua

propria mano velati gli occhi affine che voi mi siate com’egli m’è crudele. Ah sò ben’io, che tanto non sareste dispietata, se poteste così veder la mia passione com’io veggo la vostra bellezza: ma poiche per mia disgratia non potete veder i miei dolori, almeno fate così. Dite in voi stessa (che ben potrete con ragion dirlo). Splendono in me tante gratie, e tante bellezze (Modestia lasciala dire) che d’avantaggio non ne possono havere tutte l’altre belle unite insieme, e ’l mio fedele, che per me continuamente s’affligge, sospira, geme, e piange, chiude altretante passioni nel cuore, & allhora malgrado di lui, che vi fè cieca, vedrete così le mie pene, com’io veggo le vostre bellezze. Ma quando voi ostinata nel tormentarmi non vogliate almeno con gli occhi della mente veder i miei gravi martiri, converrà ch’io mi tragga quelli della fronte per non veder tanta bellezza, laqual più veduta più tormenta. Così quel male, che dalla vostra cecità mi vien cagionato, per la mia propria cecità sarà finalmente risanato.

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