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LXXX. Simili.
Lettera LXXIX Lettera LXXXI

Simili.


N
ON vada già fastoso, & altero Amore, perch’io e mi consumi, & arda. Non dica già d’havermi vinto, e non s’attribuisca questa vittoria, poiche voi mia bellissima Dea foste quella, che mi poneste in fuoco, voi quella, che mi vinceste, e vostra è la palma, e vostro è ’l trionfo del cuor mio, benche non degno, per la sua picciolezza del merito vostro. Io per me, non temo punto

d’Amore, temo ben di voi, nè credo, ch’egli mi potesse mai vincere; e se altramente ei crede, ne faccia la prova. Fatemi voi libero, e poi venga il fiero, con quel su’arco, tanto dall’altrui sciocchezza stimato, e vegga, se potrà mai ferirmi. Potranno ben di nuovo piagarmi gli occhi vostri, i quali senza dubbio, son quelli, che mantengono l’imperio ad Amore. Egli senza la virtù loro, non havrebbe nè Monarchia, nè nome. Sò ben io quanto son possenti quei begli occhi, e quanto più vò innanzi, tanto più conosco l’estrema lor forza, laqual in breve è per ridurmi a morte, se voi pietosi, e benigni ver me non li girate: ma quando ciò non mi sia lecito disperare, mi si conceda almeno, per gloria vostra, e per contento mio, di morir loro avanti, accioche, s’io non potei ottener uno sguardo cortese in vita, impetri almeno una lagrima pietosa in morte.

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