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LXXXII. De i doni, che si fanno.
Lettera LXXXI Lettera LXXXIII

De i doni, che si fanno.


E
GLI è pur vero, che malagevolmente, co’ più potenti si contende. Pensai (misero me) di potermi schermire dalla forza d’Amore; ma hora m’avveggo quanto in vano contesi, poiche dopò un lungo contrasto, finalmente rimasi abbattuto, e vinto; e dopò l’esser

divenuto prigionier d’Amore, dissimulai gran tempo il mio male, sperando con tal mezo di liberarmi: ma non riuscendomi, conobbi quanto s’inganna colui, che à tale speranza da fede. Così non si vincono gli amorosi affetti. Vengo dunque à voi desideratissima Signora mia, e con questa lettera v’apro l’intrinseco del mio cuore, e dicovi, come in virtù delle vostre bellezze Amor mi vinse, e bench’io cercassi di difendermi, considerato il vostro merito, m’era nondimen caro l’esser da voi vinto. Ohime e chi non arderebbe volontieri per giovine così virtuosa, e così bella? vi giuro mia vita, ch’io non sò ben discerner, chi habbia maggior parte in voi Venere, o Pallade, così adorna siete di bellezza, e di virtù; nè vi paia strano, se tanto ardisco perche l’ardire mi vien da voi, conciosiacosache, sicome la vostra bellezza hebbe potere di cagionar la mia affettione, così l’affettione ha cagionato il desiderio, il desiderio la pena, e la pena l’ardire, talche, s’io non voglio morir tacendo, è forza ch’io ricorra al vero fonte della salute mia, non già con intentione di risanar affatto le mie amorose ferite, ch’elle mi son sì care, ch’io anzi eleggerei di perder la vita, che di ridurle in cicatrici: ma sol tanto di salute desidero, che ’l sovverchio martir non m’uccida. Piacciavi dunque, benche i’ sia di fiamma così nobile, esca indegna di non haver à male, ch’io dolcemente avampi nel fuoco dell’amor vostro, e siate certa, che se non il mio merito, almen la mia fede mi farà degno di tanta gratia, havend’io determinato, ch’ella sia indissolubilmente legata, con lo stame della mia vita, onde non possa finire, se non per mezo del colpo inevitabil di Morte, e qui finisco pregandovi ad haver cara quell’anima, che volontaria vi si rende è prigioniera, e serva.

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