< Lettere (Andreini)
Questo testo è completo.
V. Segni di perfetto amore.
Lettera IV Lettera VI

Segni di perfetto amore.


S
E per mezo de i travagli si conosce la perfettione dell’huomo non vi dee punto dispiacere d’esser come siete travagliato, perche la virtù cresce nelle avversità, e i travagli sono dottrina dell’huomo. Le persone giuditiose debbono nelle avversità valersi della prudenza, e non del pianto, e debbono haver per compagna la speranza, e non la disperatione, laquale suol dar inditio manifesto di viltà d’animo. Non allontanate da voi carissimo Amico mio sopra ’l tutto la Patienza,

perche per liberarsi da gli affanni non ci trovo altro rimedio, che ’l sopportargli patientemente. Lo sperar nel mondo felicità è infelicità, e nel mondo non è felice se non quegli, che muor in fasce. Mi scrivete, che dubitate questa sventura esser principio di maggior male, & io spero, che sarà fine di tutti i vostri dispiaceri, e benche non si possa questa vita infelice campar da sinistri avvenimenti, tuttavia il saper dell’uomo mitiga ogni amaritudine, e l’uso rende men noiose le cure del mondo, & è di necessità, poiche gli accidenti non s’accomodano alla volontà nostra, che noi ci accomodiamo à quelli, chi s’avezza à i travagli hà per riposo il travagliare, oltre di ciò dovreste ricordarvi, che l’huomo è essempio d’infermità, preda del Tempo, gioco della Fortuna, imagine di ruina, e bilancia d’invidia, il che potrebbe assicuravi quando consideraste, che niuna cosa può campare alcun vivente dalle avversità, da i travagli, e da i dolori, ancorch’egli fosse nell’Isola Taprobana dove c’è chi dice, che senza dolor si vive; dunque, se questo è vero, come creder dobbiamo, perche tanto affliggersi? essendo che chi nasce in questo Mondo, non dee d’altro esser certo, che di penar, e di morire: è cosa da poco savio à mio giuditio l’haver dolore di quelle cose, che non si possono fuggire, e quando la mestitia, e ’l pianto potessero alle turbolenze sottrarvi loderei la vostra melanconia, e le vostre lagrime, e vorrei non pur accompagnarvi di compassione; ma d’aiuto, e credetemi, che ’n virtù della nostra amicitia non cederei di mestitia, e di pianto all’istesso Eraclito: ma, s’io non posso per mezo delle lagrime, e della melanconia, scemar à voi la doglia, potete ben voi stando allegro scemar à me i dolori. Pregovi dunque à rasserenar l’animo, se non per vostro, almen per mio contento; perche, se i dispiaceri de gli amici sono una morte commune, sarà parimente, che i piaceri de i medesimi siano una vita commune. Io farò ogni cosa possibile per venirmene quanto prima à voi, accioche partiate meco il peso delle vostre passioni. Intanto consentite, che le mie parole facciano alcun buon frutto, e ricordatevi, che.

Non sempre ria Fortuna un loco tiene;

E che non fu giamai Verno così orrido, e così aspro, à cui non succedesse una Primavera lieta, e ridente, e che la Fortuna, o buona, o cattiva à tutti è incerta, e che finalmente per la sua volubilità doverebbono tanto allegrarsi quelli, che sono da lei oppressi, quanto attristarsi quelli, che sono dalla medesima sublimati. State sano, & amatemi.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.