< Lettere (Campanella)
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IV. Al medesimo
III. A Ferdinando I de' Medici V. Al padre Alberto Tragagliola da Firenzuola

IV

Al medesimo

Supplica gli si faccia scrivere se egli deve accettare la cattedra di metafisica offertagli da gentiluomini veneti a Padova, oppure attendere, come gli era stato promesso, l’invito di venire a leggere a Pisa, non ignorando che, fin dal giorno che parti da Firenze, si cercava da alcuni ipocriti di dissuadere il principe dal mantenere la parola data.

 Serenissimo Granduca,

Si tratta in Padova di darmisi una lezione di metafisica nello studio da alcuni gentiluomini; a’ quali dissi ch’avevo promesso di servire Vostra Altezza e per sua grazia gli ero obligato. E risolvendomi di finirla, perché veggo la cosa fredda, come da Firenze mi si scrive, mi parve non far altro senza farcilene motto. Tanto piú che mi parrebbe digradar dal mio pensiero, mostratomisi confermar generosamente da Vostra Altezza mentre essendo con essa mi disse non solo volermi favorire, ma mi persuase con giusti consigli lasciar i frati donde dipende la forza della mala fortuna mia, con apportarmi esempi di molti virtuosi da loro perseguitati e da sé rilevati. Anzi mi giovò con danari; e scrisse al padre generale che mi desse licenza di venire a servirla e di stampar altresì.

Sicché sapendo io che le parole de’ principi sono eterne, e non devono mai aver fatto errore, né in fatti ed in parole, dove la cosa particolarmente di stato non ricercasse altro, abbisogna credere ch’io perda assai d’onore, cascando da quel prudente pensiero che avevo, sotto l’ale di principe sì grande schivar la fortuna alle muse nemicissima; né sarò mai io che m’imagini ch’ella mutasse parere (a detto d’altri), non essendo proprio di signori: benché mi si scrive che alcuni, gonfi di quella vana sorte che suole apportar la ipocrisia, abbian proposto a Vostra Altezza — per la mutazione che avverrá delle mie dottrine — che non doveva ricevermi: e questo il medesimo di che io mi partii da lei. Pure so ben io che le mutazioni di nuovi ordini, d’onori, e di viver appo i sudditi è nocevole al principe; ma le dottrine nuove, senza interesse, giovano, perché rendono il principe ammirabile e riguardevole. Onde Alessandro diceva ad Aristotile, che quella nuova scienza che a lui comunicava non la facesse ir in mano d’altri; perché egli solo volea essere ammirato per quella. Le scienze poi vecchie e communi rendono l’uomo men venerando. E perciò i legislatori proposero cose nuove e maravigliose a’ popoli.

Io ancora so stare in quelle dottrine ch’ella volesse, ordinarie; e forse piú ben degli altri: ché saper me piú dell’aristotelica le platoniche, da’ suoi avi amate, e le pitagoriche ed altre moderne, non deve diminuirmi grazia o favore appo lei, come non mi scema la scienza con la quale si governano gli stati. Dunque la supplico resti servita farmi scrivere s’io deggio ricevere questa lezione, ovvero aspettar quando mi comandará che venga a servirla. Al che resto prontissimo e dal genio molto inclinato.

Le dia il cielo maggior felicitá.

 Di Padova, 13 agosto 1593.

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