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XCV
Al medesimo
Si occupa in tutta la lettera della stampa dell ’Atheismus triumphatus
e della conversione degli eretici e degl’infedeli.
Illustrissimo e reverendissimo
signore padrone osservandissimo,
Scrivendo a Vostra Signoria illustrissima intendo scriver a tutta la santa congregazione de propaganda fide, avvisando che io, minimo servo di santa Chiesa, avendo disputato piú volte con gli eretici di Francia, ho trovato che molti son ateisti: e però s’accommodano alla setta nella quale vivon piú commodamente, e contra questi non c’è rimedio, se non quel libro che scrissi De agnoscenda religione secundum omnes scientias, idest Atheismus triumphatus, che stampai in Roma. E Sua Beatitudine ha fatto punto, perché un paragrafo parea contra la bulla fatta adversus iudiciarios mentre dice che «etiam secundum astrologos quibus non credendum, sed ex eis contra atheos arguendum ad hominem, nostra religio non est in decremento sed in augmento». E Sua Beatitudine volle che io levassi via il prognostico in chi mi fondavo a dire che la religione è crescente; e ’l padre Mostro poi voleva ch’io levassi via tutti luochi dove argumento contra etnici ex dictis astrologorum et praecipue contra Mahometum. E perché questo è un levar via il massimo luoco teologico, come dice Melchior Cano, — «Goliam proprio gladio confodere», — e favorir a manichei dicenti che Mosè e san Matteo errâro ponendo l’astrologismo di Balaam e la nova stella; io non sequitai, pensando trattar con Sua Beatitudine, ma la persecuzione no ’l permise. Però io ristamparò questo libro desideratissimo; ma con la correzione di Nostro Signore chi leva via il pronosticare, ma non l’argomentare ex dictis astrologorum et haereticorum et etfhnicorum, come fe’ san Paolo, e poi tutti i padri e san Tomaso.
Secondo: trovai che li ministri non vònno intrar in disputa con patto che, s’io li vinco per filosofia e teologia, si faccin catolici; ond’ho mostrato che veramente o son ateisti o bestie, e di ciò fo un opuscolo.
Terzo: trovai che la plebe sta incantata col dire frequentissimo di ministri, che semo idolatri nell’adorar l’imagini, e che togliemo a lor il sangue nella santa cena, e che dicemo l’officii in latino, perché son pieni di biastemme, e non volemo ch’il popolo ciò conosca. E questo nelli villaggi. Ma nelle cittá son convinti circa la reprobazione che senteno male, e circa «concursum Dei ad opera mala aeque ac ad bona»; e li ministri si difendeno con san Tomaso e con l’Alvarez. Ed io ho fatto a tutti toccar con mano che mai san Tomaso pose lo inevitabil decreto a Dio ed a noi; anzi per fuggir questo vien a dire che «Deus etiam ignorati futura contingentia et libera, nisi prout coexsistunt aeternitati realiter, non obiective tantum». E perché contra questa coesistenza trovata da san Tomaso divinamente molti argomentano fortemente, e però ritornano al decreto: io li consolo con sottile metafisica etiam di san Tomaso. E l’ho vinto e mostrato che non bisognava a san Tomaso cercar con tanto stento, come Dio sa li futuri contingenti e liberi, se avesse presupposto il decreto; perché le cose non pònno non succedere se son decretate, né in altro tempo e modo e grado che son decretate; onde la coexistenza reale anche, non che obiettiva, è soverchia e piena di scogli etc., ma ben intesa non sol si conosce necessaria ex divo Thoma a salvar la contingenza e libertá, ma anche è soavissima e facile all’intelletto: ed in ciò s’è provisto.
Or son venuti piú ministri da me, ed in particolare duoi convertiti alla fede catolica, dottissimi e ferventissimi a predicare e disputare contra eretici; e mi portâro l’incluso scritto perch’io meditassi piú circa la conversione, e son di pensiero, secondo hanno inteso da me, e per fama, che papa Urbano VIII è il piú savio e ’l piú zelante papa di quanti ne furo dopo san Pietro: onde sperano che provederá integramente al bisogno della conversione. Le mando a Vostra Signoria illustrissima scritte di man loro le consulte e dimande etc. Io per levarli parte del fastidio, se volesse saper da me quel che si può fare, poiché sto super faciem loci, dico: al primo, circa i motivi che tengon ostinati gli eretici, si deve proveder per via del braccio secolare, e con libretti contrari a quelli di ministri; e questo si fa. Al secondo s’è provisto bene con li ministri; e si fa un libello per la plebe. Al terzo, benché san Gregorio per lo scandalo abbia scritto a Sireno, vescovo di Marseglia, che tolga via l’imagini da’ tempi, non so se qui fosse bene, perché scandalizarebbonsi i catolici; ma dichiarar efficacemente in che senso tenemo l’imagini per un libretto volgare. Al quarto stimo necessario che si dica la messa nei luochi d’eretici in lingua latina e gallicana giontamente, come in Roma si canta l’Evangelio ed in greco ed in latino.
Ai motivi di ministri rispondo, prima, che si deve da’ vescovi dar salario per predicare contra, se son poveri; e questo si fa, se pur non abondantemente. Ma si deven ammonir a distribuirli con piú diligenza ai meritevoli e fatiganti etc. Al secondo honorentur ministerio praedicationis continuatae et hortatu ad principes, ut ipsorum curam honestam gerant. Ad tertium, consimiliter. Circa consultationem in modo agendi cum haereticis, respondeo ad primum, secundum, tertium, quartum, quintum et sextum: bene quidem eos considero ex parte de bis qui praedicant verbum. Sed circa disputationem ego confeci libellum quo unica disputatione tantum possit quilibet mediocris ingeni convincere haereticos; quoniam prolixitas disputationis ostentat quasi speciem victoriae falsam iniustamque defendentibus . Dabo illis approbatum libellum a sacris theologis et episcopis.
Al modo che voglion osservare, cominciando le dispute da quelli dogmi nei quali manifestamente son convitti e si vergognano piú defenderli, io consento: questo mostra la fisiologia e logica e retorica. Avvertendo sempre quel che dice sant’Agostino, ch’«aliter disputandum de praedestinatione etc. post haeresim pelagianam»: cosí a questo tempo, aliter etiam post haeresim lutheranam. E cominciare dalle chiare: che il far bene e’l far male portan gli uomini al paradiso o all’inferno, e questo commanda ogni legge, e che potemo far l’uno e l’altro, e che dove al ben non potemo, Dio s’obligò paternaliter aiutar che possiamo; né ti comanda volar senza darti l’ale, e come dice san Leone e ’l concilio tridentino, «iubet facere quod potes, Petere quod non potes, adiuvat ut possis etc. simul etc.». Li decreti di Dio eterni son ignoti; quel che s’è detto è noto e si deve esequire; e noi disputamo di quel che non si sa da loro né da noi senza rivelazione divina, come tutti padri dissero ed osservâro. Ho con tutto ciò sodisfatto a tutti con san Tomaso ben letto in tutti suoi libri e ben inteso.
Circa le dimande loro, io risposi che se gli eretici vònno convertirsi, certo concedendoli il calice e lasciando l’imagini per adesso, si può fare: est in manu sancti pontificis ex concilio tridentino; se no, no etc. Circa la messa volgare si deveria assolutamente concedere propter argumentum.
Io in tutto me sottopongo a quel che Sua Beatitudine e la Santa Congregazione diranno: ho fatto quel che si può etc., «servi inutiles sumus». Le scrissi per l’altra quel che si può far del principe d’Etiopia: è di far andar il padre frate Antonio alla missione in Etiopia, e ’l principe aspettar qui il loro ritorno o avviso etc.; aspetto risposta da Vostra Signoria illustrissima. Ho scritto in quibus possunt comunicare, et in quibus non, cutn schismaticis et infidelibus: non so se fu dato a Vostra Signoria illustrissima: restò tra scritti miei.
Resto al comando di Vostra Signoria illustrissima e li prego da Dio ogni contento. Bacio le mani.
Parigi, a 25 settembre 1635.
Di V. S. illustrissima e reverendissima |
All’illustrissimo e reverendissimo monsignor Ingoli,
secretario della santa congregazione de propaganda fide,
padrone osservandissimo,
Roma, alla Cancelleria.