Questo testo è completo. |
◄ | XXII. A Gaspare Scioppio | XXIV. Al medesimo | ► |
XXIII
Al medico Giovanni Farri
All’esortazione dello Schopp di sperare in Dio piú che negli uomini, il Campanella scrive questa lettera piena di sconforto.
... Mi scrisse il mio angelo Scioppio ch’io attendessi all’orazione, ché piú devo sperar in Dio che negli uomini. Queste parole m’hanno compunto assai, perché io faccio orazioni soverchie e lunghe, ma non ho sempre spirito divoto e son distratto dai varii pensieri. Ma m’accorgo che quando prego intentamente, mi riesce a vóto ogni cosa; e quando son freddo, è certo segno che mi succederá qualche disgrazia. Per tanto io li dico coram Deo che subito ho fatto a Dio questa orazione, che le mie peccata non sieno impedimento all’azioni scioppiane in mio favore, né alli altri amici; ma che Dio mi lasci uscir a luce per sodisfar a loro e toglier lo scandalo di me nato nella chiesa di Dio e fare qualche impresa per la conversione d’infedeli. Ed io mi contento che Dio poi mi mandi all’inferno per queste peccata mie e per l’abuso delli doni divini in me grandissimi, se cosí piaccia alla divina Maestá: purch’io non vada all’inferno come suo nemico; e questo ancora lo replico con gran dolore, che la mia tepiditá sia ostacolo a chi m’ama. «Non confundantur in me qui expectant te. Domine virtutum».... [Napoli, seconda metá di marzo 1608].