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CIV. — A Giacomo Leschassier.1
L’illustrissimo legato Foscarini ci ha fatto sapere che il libro del Contareno da lei richiesto, è quello pubblicato nella sua giovinezza da Niccolò Contareno,2 oggi ragguardevolissimo senatore. Io l’ho trovato, e lo invio unito alle presenti; non senza notare che l’autore volle appena far trapelare di qui il suo ingegno e la dottrina: a tanto più alti e proficui studi diè mano dopo la virilità! Ho carissimo ch’ami ed onori un tant’uomo, già mio amico da giovinetto, fanno già meglio di quarant’anni, ed oggi familiarissimo: d’anni inferiore, mi avanza a gran pezza di dottrina e di senno.
Di questi giorni, siamo incappati in una questione rispetto al canone Romana SS. debet, De appellationibus in vi: in occasione di che mi punge grandissima bramosia di conoscere se l’arcivescovo possegga ora alcuni campi con giurisdizione, e se da esso facciasi appello alla suprema curia, ed abbia quei campi (quando tuttora gli possegga) sotto nome di feudo, o a titolo di semplice e pura donazione; e ancora, se al dì d’oggi altri vescovi o abati in Francia tengano una temporale giurisdizione. So bene che dica su di ciò Benedetto, nel canone Rainutii delectam; ma, stantechè le cose vanno bene spesso soggette a mutamenti, piacerebbemi essere ragguagliato della usanza attuale, e tornerebbemi gratissimo e vantaggioso l’avere un esemplare di qualche regia donazione concessa per antico a vescovi e abati di Francia: donazione, dico, reale, e non semplice infeudamento.
Qui nulla di nuovo; tutto tace. Il papa, che sembrava nemico alla Repubblica, ora fa mostra di grandissima benevolenza, che quasi tutti prognosticano perpetua. In Ispagna poi hanno messo mano a faccenda rischiosissima, col pretendere di cacciar via dai regni e trasportare in Affrica ogni razza di Maomettani.3 Mi fa altissima meraviglia, per ciò che a religione s’appartiene, che ardiscano porre persone battezzate, quantunque non abbastanza credenti, nei luoghi degl’infedeli, ove lasceranno il nome e la professione cristiana. Oltre di che, mi mette spavento il numero: non si tratta di dieci o dodici mila, ma di dugento mila. Il Cielo voglia che questa riesca infruttuosa medicina verso un male in vero grave, ma superiore alle forze del malato! Il principe dei Turchi mandò a morte più ribelli che, avutone il perdono, si recavano a lui: la qual cosa se porterà terrore agli altri perchè s’arrendano, o stimolo di fermezza affinchè non si fidino, non può risolversi.
Io prego Dio che largisca ogni prosperità alla S.V. eccellentissima, e a me dia forze di fare alcun che a dimostrazione del mio ossequio. Stia sana.
- Venezia, 10 novembre 1609.
- ↑ Stampata in latino nel tomo VI delle Opere ec., pag. 64.
- ↑ Parlasi certamente di quel Niccolò Contarini, che fu creato doge nel 1630, e morì poco dopo. Ma di quest’opera da lui scritta in gioventù, non potemmo trovar notizia nei bibliografi. Un altro Niccolò Contarini aveva scritto di materie legali nella prima metà del secolo precedente.
- ↑ Vedasi la nota a pag. 328.