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CVI. — A Francesco Priuli.1


Il clarissimo Molino mi ha comunicato la lettera di V.E., per la quale veggo che le cose di Germania vanno verso maggior confusione; della quale non sono esenti i padri Gesuiti, poichè costì cominciano a far legge sopra il loro possedere e li loro acquisti e la facoltà d’insegnare, che sono li fondamenti dello stato loro. Si può congetturare che cotesto principio possa essere imitato in altri luoghi di Germania. Intendo bene di buon luogo, che in Baviera sono stati potenti; che cominciano ad esser sospetti al giovane duca; e che non bisogna pensino di accrescer più. È pericoloso di cadere in infermità un corpo pervenuto al colmo della sanità.

Da questa parte di Germania vicino a noi, avessimo anco per la settimana passata, che l’elettore di Colonia, dato fama di andare a Praga, aveva voltato in Italia: ma io sono certificato da persona che sa, ch’egli si ritrova sconosciuto a’ bagni di Bada, sotto pretesto d’usarli per sua sanità; ma con sospezione di molti, che vi sii qualche cosa più misteriosa coperta. Da questo stesso luogo si ha avviso, che tra gli Svizzeri cattolici e quelli di Zurigo passino gravi disgusti per confini. Ma ritorno in Germania, di dove Bada mi ha divertito.

Qua viene nuova che il principe Cristiano di Anhalt sii andato in posta al duca di Sassonia, per dover essere di ritorno anco in posta per le nozze, nelle quali molti credono che si tratterà gran cose: certo è bene che si spenderà gran denari, forse meglio impiegati in qualche disegno militare, che nuziale. L’arciduca Leopoldo ha tentato di sorprendere un’importante fortezza in Giuliers, che non gli è riescito: il nome tedesco non ho potuto tener in mente, ma solo tengo memoria, che mi disse significare Castel Reale. Li principi temono di esser messi sotto il bando imperiale, per causa di non aver ubbidito all’imperatore nel fatto della deposizione in mano di S. M.; e questo forse farà che la cosa si metterà in negozio: il timore lo mostrano col mandare ricercando le città e popoli quello che farebbono quando ciò succedesse. La maggior parte resta in opinione che si debbi risolvere tanti moti in un’iride.

Viene dalli Paesi Bassi una gran nuova, se è vera: che quelli di Embdem abbino fatto alcuni danni al suo conte, con avergli anco sorpreso un certo suo luogo forte; per il che egli sdegnato, abbi fatto dono delle ragioni sue sopra quella città a’ Spagnuoli: cosa poco verisimile, che avendo fatta una tregua quale hanno fatto,2 vogliano rimettere la guerra nelli stessi paesi per causa così leggiera. Gli Stati di Olanda hanno mandato qui il signor Vander Mylle, consigliere del conte Maurizio e genero di Berneveld;3 uomo di circa 35 anni, soggetto letterato e molto capace delle cose del governo: ha con esso lui un figlio di Berneveld giovine, e sei altre persone di conto: fu incontrato, secondo il costume, da alquanti di Pregadi, e ricevuto mercordì in audienza pubblica, dove diede conto della tregua e della benevolenza di quella repubblica verso questa. Parlò prudentissimamente, sicchè non fece pur cenno offensivo di nessun principe.

Per la città si dicono cose assai delle cause perchè sii venuto: chi dice per far una lega, chi per aver un fondaco in Venezia, chi per istabilir una ambasceria reciproca tra la serenissima Repubblica e quegli Stati. Ognuno che abbia senso, può ben comprendere che le due prime non hanno alcun favore dall’opportunità, e la terza non sia senza qualche impedimento. Non ha dubbio che il favore fatto da questa Repubblica a quella in ricevere il suo ambasciatore a pari di un ambasciator regio, è di molta riputazione a quella Repubblica che nasce al presente, ed un’ambasceria ordinaria sarebbe di altrettanto. E sebbene gli re di Francia e d’Inghilterra, maggior principi, le fanno questo onore di tener presso lei4 ambasciatore, nondimeno paiono interessati, come quelli che sono stati autori della tregua; ma la Repubblica, che non ha alcun interesse con loro, forse è di maggior stima in questo particolare. Ed in contraccambio, sebben questa Repubblica non può ricevere onore di là, può ben ricevere offici non meno necessari, così nelle cose della navigazione, come in altre occorrenze. Certo è, che se non fosse stato un ambasciator veneto in Inghilterra ed un inglese in Venezia nelle passate turbolenze, non s’avrebbe avuto in favore quella dichiarazione del re, che forse fu tra le principali cause dell’accordo, che seguì onorevole per le cose pubbliche. Sebbene si spendesse per questo otto ovvero diecimila ducati di più, sarebbero forse meglio spesi, che non furono nella condotta del conte Valdemont. Per il che, quando una tal proposizione fosse fatta, forse non sarebbe tanto impertinente: par bene che l’universale non l’aborrisca: però credo che anche a tal risoluzione vi vogli tempo.

L’ambasciatore di Francia ricusava al principio di visitare questo nuovo, allegando le sue commissioni: finalmente, mutato pensiero, l’ha visitato innanzi d’ogni altro l’istesso giorno dell’udienza. L’inglese l’ha visitato ieri. Staremo a vedere quello che farà l’imperiale e lo spagnuolo.

Ma bella cosa del re di Francia, grande veramente, perchè scrive alli suoi ministri oracoli! Scrive all’ambasciator suo qui della venuta di questo Olandese e soggiunge: Voi l’onorerete come ambasciatore di principe di quella qualità. Intendeva il francese che fossero parole rispettive; cioè non come gli altri, ma come conviene alla qualità loro, ch’è inferiore. Altri intendevano ampliamente, non come principi dozzinali, ma di quella qualità ch’è eminente. Non vorrei per molto5 esser giudice per dar intelligenza a tali parole, nè esecutore per ubbidirle. Questo contrasto ha impedito l’ambasciator francese di persuadere (come aveva disegnato) che tutti gli onori fatti all’Olandese provenissero da uffizi suoi; che forse averebbe persuaso in qualche parte. Non posso credere che a Roma debbino dir cosa alcuna di questa ambasceria ricevuta, nè della corrispondenza che se gli farà; massime avendo il duca di Toscana mandato il Colloredo a tutti li principi protestanti di Germania per dar conto della morte di suo padre e della sua successione;6 e in particolare, è stato al conte Palatino elettore, ed al duca di Vittemberg. Il far sapere questi particolari al Senato quieterebbe molto qualche scrupoloso, che dubita di far peccato tenendo questi necessari commerci.7

Da Roma viene una risposta del cardinal Bellarmino al libro del re d’Inghilterra stampato in quarto, dove assai alla dimestica e gesuitica dà delle mentite al re. Confessa ch’è suo il libro uscito col nome supposito di Matteo Torto,8 e lo manda fuori di nuovo sotto nome proprio. Leggerò il libro interamente, quale ho solo visto in trascorso, e ne darò conto a V.E.

Non posso restar di chiuder questa lettera con una cosa ridicola. Nella Gazzetta di Roma9 vi è un articolo di questo tenore: «In Praga li protestanti sono venuti in differenza tra di loro sopra il governo dell’Accademia: il che sarà un bel gioco alla fede cattolica.» Lodato Dio, dappoichè si mette anco la fede in gioco. È ben dovere ch’io finisca di dar tedio a V.E., alla quale bacio riverentemente la mano.

Venezia, 20 novembre 1609.



  1. Stampata come sopra, pag. 132.
  2. Vedi la nostra nota a pag. 131.
  3. Non farà perder fede a questa affermazione del Sarpi, ma pensare soltanto a qualche equivoco nel nome od errore nella data, il sapersi che dal Griselini si scrive, che venisse in quest’anno ambasciatore della repubblica d’Olanda in Venezia “il celebre Francesco Aarsen, signore di Sommerdick.„
  4. Cioè presso la nuova repubblica d’Olanda.
  5. La nostra copia ms. (di cui vedi la nota 2 a pag. 318), senza alcun pro della chiarezza, ha qui: “di molto.„
  6. Vedasi la nota 2 a pag. 217.
  7. A tanto giungeva allora la superstizione, cioè sino a voler impedire le corrispondenze diplomatiche cogli Stati protestanti! E ci maraviglieremo che un filopatrida e un politico come il Sarpi si sforzasse di combattere un errore e di ovviare a un danno di tal sorta?
  8. Può vedersi la nota 1 a pag. 59.
  9. Vedasi la nota 2 a pag. 334.


Note

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