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XXVI. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Spesse volte dubito di esser noioso a V. S. con la lunghezza delle mie lettere; e se essa col rispondermi non mi desse sicurtà di continuare, perderei l’ardire di farlo.
Al presente, per scriverle qualche soggetto, voglio mandarle la qui allegata ode del signor Menino, che m’è parsa degna d’esser veduta. Per intelligenza, le dirò solo, che Giovan Francesco Sagredo, nobile di questa Repubblica, ha fatta una solenne burla alli Gesuiti, avendo finto nome d’una gentildonna vedova e ricca, e cavato di mano alli savi Padri buon numero di lettere responsive, piene della loro dottrina e arti, ora col ricercar risposta de’ dubbi e scrupoli, ora col dimandar consiglio di far testamento, e con altre maniere; e la tresca è durata da quattro mesi, con lettere due volte la settimana, chè così frequentemente vanno da questa città a Ferrara. Adoperò nel principio il gentiluomo il mezzo di una (noi diciamo qui) chietina, cioè divota delli Gesuiti, ma internamente schietinata; per mezzo della quale ingannò alcuni fautori delli buoni Padri qui, che fecero l’ufficio di mandar le lettere. Questo gentiluomo era per partir sabato, come partì, per Soría, dove va console. Per onorarlo, convenissimo alquanti venerdì a desinare, dove il signor Menino fece leggere la presente ode.2
Le cose che passano al mondo mi rendono sempre più attonito; ma sopra tutto quelle di Mattias. Non faccio dubbio che con lui non s’intendano il papa, il re di Spagna e li Gesuiti, come che questo sia. Lo aver Mattias concesso libertà di religione all’Austria e alla Moravia, dove l’imperatore l’aveva levata, io non la posso intendere: appresso di me è un mistero impenetrabile. Ma con Mattias vi è un Ungaro giovane, nobile e saputissimo, chiamato Setsch, il quale è stato autore già a Botsckai di ribellare, e poi s’accomodò coll’imperatore, e ora ha fatto ancora il séguito a Mattias.
Non son senza sospetto, che al presente anco le volpi siano restate ingannate. Che il Toledo venga per ingannare, non è cosa insolita, e al presente ingannerà forse persone che desiderano esser ingannate.
Delle cose delli Stati io non posso far buon pronostico, quando considero che hanno le confederazioni fatte con Inghilterra. Al contrario converrebbe trattare quel che fosse da fare, seguendo la guerra, non seguendo la pace.
Dell’armata spagnuola ancora non sappiamo bene quello che sii per avvenire. Fanno correre diverse nuove e avvisi; e sino adesso hanno fatto una bella impresa; ed è, che li Turchi hanno impalato il vescovo di Coron in Morea, con alquanti altri, per sospetti d’intelligenza con Spagnuoli. Io vado credendo che tutte le imprese saranno così fatte.
È necessario che l’indisposizione di monsignor Assellineau sii stata leggiera, perchè l’ho sempre veduto, nè saputo mai che non fosse sano. M’ha detto ora, che per tre giorni non si sentì molto bene.
Sento grandissimo piacere che V. S. sii tanto in amicizia con monsignor Alcaume, sperando poter col mezzo di lei esser insinuato nell’amicizia di quel signore, come la prego a procurare con ogni affetto.
S’intende qui che li principi di Germania si radunino in molti luoghi, ma non si penetra il fondo, perchè noi qua non facciamo alcun conto delle cose di quell’imperio. Ma io le stimo molto. Desidero averne qualche ritratto. So che V. S., per mezzo del signor Bongars, ne saprà la quinta essenza: la prego farmene qualche parte.
Di Roma non abbiamo cosa nuova, se non la prigione di due baroni principali, la quale si terminerà piuttosto in castigo della loro borsa, che della persona. La Repubblica al presente non ha controversia alcuna con quella corte: le cose stanno in profondo silenzio: Dio voglia che siino parimente in oblivione; del che ho qualche dubbio.
Per anco non sappiamo come monsignor di Breves sii grato in quella corte; ma è ben certa cosa che la grazia spagnuola più può che per lo passato, e (per quanto si può congetturare) aumenterà ancora.
Io resto con desiderio di far cosa alcuna che sii grata a V. S., alla quale bacio le mani.
Le dirò (chè mi scordava) che la relazione mi riesce più lunga di quello ch’io pensava, e che già si copia il principio. V. S. mi farà grazia di baciar la mano al signor presidente di Thou, dicendoli che la deliberazione di mandargliela non si muterà. Se anco occorrerà a V. S. vedere il signor Gillot, Leschassier e Casaubono, la prego far loro li miei baciamani.
- Di Venezia, il 5 d’agosto 1608.
- ↑ Tra le stampate in Ginevra (1673), pag. 48.
- ↑ Non trovasi nemmeno quest’ode; come si disse ancora degli epigrammi mentovati nella Lettera XXIV.