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XLIV. — Ad Antonio Foscarini.1
Questa sarà una lettera corvina, che farà principio dalle cattive nuove. Il dì 3 del presente fuggì di qua Pier Antonio Rubetti, arcidiacono, e già vicario, imbarcatosi per Ancona. La perdita, considerata la sua persona, non è considerabile, essendo egli uomo di natura instabile, venale e di sapere assai di sotto al mediocre. Il caso però è diverso da quello di Fra Fulgenzio: perchè questi se predicò a favore della Repubblica, lo fece perchè esso così reputò per sua coscienza; non ebbe mai ordine pubblico, non fu mai chiamato innanzi al principe, non gli fu mai comunicato segreto, non ebbe mai promessa pubblica nè stipendio. L’arcidiacono è stipendiato, eletto dal principe, comunicatigli i segreti: onde l’ingiuria non potrà essere dissimulata. La sua fuga si tiene negoziata dal patriarca e dall’ambasciatore di Spagna. Certo è che quest’uomo non avea di guadagno meno di scudi 700 l’anno: bisogna che gli sia stato promesso molto.2 Staremo a vedere e ad attendere quello che si farà. Sino al presente i fuggitivi sono stati frati; che ogni poco donato loro è paruto molto: in questo non può passare così; chè il pubblico, in quest’occasione, sebbene perda poco, atteso le persone che sono fuggitive, perde molto appresso il mondo, a vedere che i preti siano sufficienti di fargli ribellare i suoi. Appresso i sudditi anco perde, perchè concludono di qua essere stati ingannati, e che non si abbia predicato e scritto per coscienza; ed in qualche occasione futura non sarà creduto ai religiosi che parleranno per la causa della Repubblica, ma si dirà che parlano per interesse, ad esempio di noi altri, che poi ci abbiamo ritrattato e conosciuto d’aver parlato contro la propria coscienza; nè il popolo crederà più a nessuno. Va anco attorno certa fama, nutrita con artifizio stupendo da’ nostri avversari: che la Repubblica abbia grata la fuga di questi suoi servitori, per liberarsi dalla spesa degli stipendi e dal sussidio della protezione, sebbene in apparenza mostri averne dispiacere; la quale fama è con poca riputazione del principe, e move quelli che restano ad imitare i fuggitivi. Per tutte queste cose, considerato il solo utile, bisogna credere che, adoperando gli avversari ogni industria ed arte, non lasciando pietra che non movano per aver tutte queste persone (imperocchè tutte sono per diverse vie sì trattate, che reputano che l’impresa sia di molta loro utilità, e, secondo la regola, basta a conoscere che ad uno importi il vedere che ’l suo nemico lo stima); per queste cause e per molte altre, vien pensato dalle persone prudenti che dovrebbe il principe fare qualche dimostrazione, la quale fosse per esempio a chi sino ad ora resta, e fosse di mortificazione a’ nemici. Non so quello che si farà; ma ho voluto scrivere tutta questa dicería a V.E. acciò se costì sarà parlato, ella possa scrivere in pubblico le considerazioni che saranno fatte, ed i giudizi delle persone savie.
I Gesuiti hanno stampato un libro intitolato: Catalogus virorum illustrium Societatis Jesu. In questo nominano tutti i collegi, case e provincie che hanno. Nella provincia veneta nominano quelli che possedevano in questo Stato, ma segnati con asterisco, con queste parole: Quæ asterisco notata sunt, nondum sunt restituta; tanto che si dichiarano rivolerli.
- Venezia, il 9 decembre 1608.
- ↑ Edita dal Bianchi-Giovini, Scelte Lettere ec., pag. 149.
- ↑ “Pietro Antonio Rubetti, arcidiacono e già vicario patriarcale di Venezia, fu uno dei teologi chiamati dalla Repubblica nella famosa controversia con Paolo V; ed è firmato, per dignità, il primo nel Trattato dell’interdetto. — Vittorio Siri ci fa sapere che queste diserzioni erano procurate dal papa e dal cardinal Borghese per esortazione e consiglio dell’ambasciatore del re Cristianissimo.„ (Bianchi- Giovini.) Del Rubetti si torna a parlare, oltre alla Lettera seguente, anche in quelle dei 9 e 20 gennaio, 12 febbraio, 17 marzo del 1609; ec.