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LIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Mi scrisse per lo spaccio passato il signor Castrino, d’aver inteso dove si ritrovava il libro De modo agendi; ed io gli risposi avvertendolo che in Ingolstat fu stampato un libro di tal titolo, autore Giacomo Gretsero Gesuita, in risposta e per apologia di quello che io ricerco; e che questo si ritrova qui: e per tanto, se fosse esso il ritrovato, non pigliasse incomodo. Per ciò non vorrei che V.S. per compiacermi pigliasse tanto pensiero. Se verrà occasione che possa esser soddisfatta la mia curiosità, facilmente, mi sarà grato: con incomodo di V.S. non vorrei; la quale veggo che non omette opera alcuna, poichè ha provveduto dell’Elia Assenmullero per via di Parigi e per Basilea; onde facilmente potrebbono venir ambidue. Il che se sarà, avrò duplicato obbligo a lei, dalla quale ricevo tutti i favori; e non reputo di poca stima l’avermi fatto conoscere il signor Castrino, il quale mi scrive di molti buoni e utili avvisi delle cose che sono giudicate in Parlamento, e altre tali che servono assai alle cose.

Qui (sebbene a tutti non è manifesto il come) i buoni padri Gesuiti adoperano il re Cristianissimo col papa, acciò non comporti che il re di Spagna violi i loro istituti, dando vescovadi alli loro compagni. E queste arti non saranno conosciute in cotesto regno, ma saranno credute? Io terrei li Francesi per li più semplici uomini del mondo, quando riputassero che fosse distinzione alcuna tra lo Spagnuolo e il Gesuita, e quando credessero che vi potesse nascer divisione. Sono queste tutte finzioni per insinuarsi, impadronirsi e far meglio il fatto dello Spagnuolo, occultando la stretta intelligenza con lui, e mostrando disgusti e fingendosi confidenti delli Fior di gigli.2

Non dubito che non siino a parte nel maneggio delle corruzioni e finte dolcezze che si usano inverso gli uomini da bene: non però posso credere che il fine loro, e del nuncio e delli Spagnuoli, sia l’istesso con quello del re. Ho memoria, già sono venti mesi, che si disse che il cardinale du Perron doveva da Roma andar in Francia, chiamato dal re sotto pretesto di veder la chiesa de Sens conferitagli nuovamente, ma in realtà a fine di persuader il signor di Sully, con chi tiene stretta amicizia. Vedendo poi il cardinale venuto costà, io sempre ho aspettato questa metamorfosi, nè tuttavia ho creduto che possa esser opera delli Spagnuoli, i quali in quei tempi non avevano tenuto per ancora pratiche col re. Non mi persuado d’intender le cose meglio di V.S., che è presente e sa l’interno: con tutto ciò non mi rendo facile a credere che questo sia tentato a fine di far servizio al papa, sebbene forse, succedendo, se gli dipingerà per tale, e si coprirà di questo pretesto; anzi più tosto inchino a giudicare, che si faccia per levare e indebolire quel signore di fautori e amici, per quei fini dove mirano sempre quelli che non veggono volentieri intelligenza tra gli altri. L’esempio d’alcun altro così trasmutato, mostrò che restano senza amici: così avverrà a lui. Io veggo che le arti presenti sono metter diffidenza tra tutti, e così assicurarsi. Dio voglia che se l’intenzione non è buona, almeno l’esito non riesca cattivo: perchè, quanto alla Religione, questo è un mezzo non di far cattolici, ma di far solo che uno si levi e nessuno s’introduca; e non so quanto questo sarà utile al fine per il buon governo: se bene anco il solo metter diffidenza, reputo che in principio faccia maneggiar bene, ma in fine il male sia peggiore.

Dubito che il zelo faccia temere V.S. più di quello che la cosa stessa merita: ma quand’anco dovesse succedere quello che ella pronostica, dobbiamo credere che non si farà senza Dio; e quando sarà permesso da lui, non siamo noi certi che ne nascerà un bene maggiore? Adunque noi attendiamo a pregar la sua Maestà, senza affliggerci per timore del male, il quale forse non avvenirà, sì come di mille cose temute non succede una; e quando pur avvenisse, non sarà tanto male quanto reputiamo; e se farà male, certamente ci ritornerà in bene. Come fu certo san Paolo che agli amici di Dio tutto torna a bene, ne dobbiamo esser certi noi, rimettendo tutto alla sua santa volontà, poichè non sappiamo che desiderare. Ma son molto semplice io, che porto acqua al mare, raccordando a lei quello ch’ella tiene sempre in memoria.

Quando quei miei amici (che così chiamerò, benchè non ho mai visto, che sappia, alcun di essi) furono imprigionati in Roma, mi cadde immediatamente nell’animo che qualche artificio vi fosse sotto. Adesso che il Poma è confinato in Civita Vecchia, io penso l’istesso. Non resterò di guardarmi, e al sicuro non m’inganneranno. Per me, non so che fare più di quanto faccio. Alcerto, con tutte le loro arti, non effettueranno niente senza Dio: a lui rimetto il tutto.

Con questo proposito, dirò di nuovo a V.S., che per occasione dell’andata a Roma dell’arcidiacono, già vicario, e per li mali termini usati da lui con indignità di questo principe, e per il trionfo grande che fanno dell’acquisto, il Senato ha deliberato di procedere contro lui, secondo il merito; e presto si saprà quello che è. E a quelli che sono restati, ha assegnato duecento ducati per uno di provvisione in vita, oltre quello che hanno: il che essendo statuito anco per me, l’ho constantissimamente rifiutato, non volendo in modo alcuno che il mio servizio abbia altra mercede che l’esecuzione del mio debito, acciò anco li avversari restino privati del poter interpretare in sinistro le mie azioni.3

Seguono ogni giorno nuove occasioni di disgusti. Non posso prevedere dove le cose siano per terminare: faccia Dio che sia a gloria di sua Maestà. Qui alle volte si dorme; ma in quei pochi intervalli di vigilia si opera con assai generosità. Adesso siamo stati in vano: gli avversari ci fanno il bene non volendo, chè ci svegliamo. Succeda quello che piace a Dio, purchè sia sua grazia.

Vostra Signoria sia certa, che se io non muovomi, è per non mietere biada non matura, e impedire con la troppo fretta la maturità. Se non sarò a tempo, non mancheranno altri istrumenti. Io voglio in ogni modo, per quanto posso, se non far bene, almeno non far male.4

È tempo che faccia fine. Prego V.S. che non faccia altro motto a monsieur Alleaume, fino ch’Ella non sia di ritorno a Parigi; perchè veramente sarebbe importunità farli nuova instanza, prima che s’abbia certezza del suo comodo.

Veggo che V.S. stima le cose di Matthias molto più che non sono. Io le predíco che non ne riuscirà meglio di quando andò in Fiandra. L’Ungheria superiore non è convenuta alla sua elezione, ed è tenuta da Valentino Humanai, uomo di gran séguito e valore: nell’inferiore, dov’è accettato per re dalla stessa dieta, è fatto regio luogotenente, Ilishaschy, uomo di valore eccellente, il quale governa affatto come re; sì che a Matthias resta il nome regio e quaranta mila fiorini. Egli al presente s’affatica che la Boemia si ribelli all’imperatore; e questo adopererà che la Moravia e Austria (quella mezza, però, che tiene) si ribelli a lui. Le cose sono piene di confusione.

Il Padre Fulgenzio e il signor Molino salutano Vostra Signoria, e io le bacio la mano.

Venezia, 20 gennaio 1609.



  1. Edita: come sopra.
  2. Poeticamente, fiordalisi o gigli d’oro. Pei quali ognuno intende la monarchia francese.
  3. Circostanza da raccomandarsi, anche per le addotte ragioni, ai futuri biografi del gran Servita; benchè non dimenticata da quelli che precedettero.
  4. Quale differenza tra questo politico allevato ne’ chiostri, e gli odierni politicanti di piazza, così frettolosi!


Note

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