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LXXVII. — A Giacomo Leschassier.1
Non ho ricevuto ancora la Raccolta dei canoni che la V.S. eccellentissima m’inviò, nè le lettere cui andava unita. Io credo che l’illustrissimo signor Legato mandasse a Lione col mezzo di mercatanti quel libro, unitamente all’opera del Boccello, affinchè per la via di Torino fosse trasportato a Bergamo. Ci eravamo fitto in capo che quel giro fosse di comoda prontezza; ma non fu così. Già ci giunse, infatti, quello che si mandava a noi di costì per la via di Francfort. Ho veduto il libretto, ossia la collezione che ha titolo Trattati sui dritti, ed è buono il giudizio ch’Ella ne porta. È un’accolta di autori che non ripetono luoghi comuni. Avevo veduto nel Duareno2 le rimostranze, messe in latino, al re Lodovico XI, e l’opera del Tillet3 in antica edizione: al resto ero fino ad oggi nuovo. Vi auguro perseveranza nel fermo procedere dei vostri maggiori; e Dio ci accordi forza a premere le vostre orme. Per voi, temo alquanto dei Gesuiti; per noi, di noi medesimi. Pur ce n’ha in copia dalla mente diritta e dall’animo vigoroso. Le manderò in più volte il libretto che ricerca, per non dar troppo impaccio al corriere. Ne avrà porzione oggi; il resto a quest’altra occasione. Mi vergogno a pensare che questo lavoro non è degno della lettura di V.S.; e ho fidanza che nel giudicarmi piglierà per norma i dettami dell’amicizia, e non quelli del vero.
Di pubblici eventi quasi niuna novità. Il duca di Lerma, che ha il supremo potere in Ispagna, sente grandissimo orrore della guerra, nè alcuno può balzarlo di tant’altezza: anzi, e le cure della guerra e del regno napoletano affida ora a un nipote per parte di sorella, e il fratello di lei ha decorato della legazione romana. Da questi dipenderà lo scioglimento di tutta la matassa italo-ispana. Apprestano armamenti per difendere le spiagge marittime dalle scorrerie dei Turchi; e il giuoco mi par probabile. Stimo poi disperata la sorte del re di Fez, che vinto dal fratello, si volse in fuga. Che si può congetturarne di buono, quando è sceso a tanta viltà di cuore da lasciare il suolo natale, e rifugiarsi sotto le armi nemiche? Dicono che portasse in Spagna un gran tesoro, ma composto di gemme e perle che hanno poca valuta, quando pur trovino il compratore. Ma qui si prognostica che il re del Marocco vincitore assalterà i luoghi occupati nell’Affrica dal re spagnolo. Se tanto avviene, io vedo in gravissimi imbarazzi gli Spagnoli; poichè fino a qui non giocarono in guerra di forza e di ferro, ma d’arti e d’oro; e negli scaltrimenti i Mauritani gli vincono. Se s’appicca guerra, prevedo che non finirà senza che i Mauritani passino il mare.
La Rota romana ha sentenziato sulla causa del monastero di Vangadizza, pendente fra la Dataría e la congregazione Camaldolense. Ma la congregazione si trovò involta nella lite contro sua voglia; e poichè non le fu dato di cedere al proprio diritto, nè disdirlo con esplicite dichiarazioni, a sostenerne le ragioni furono deputati procuratori e avvocati scelti dai Borghesi; e la sentenza fu data dai giudici dopo una sessione sola, e si deffinì senza processo, che il benefizio era riservato. Pure, quantunque uscito da un mese e mezzo, il decreto non si è ancora notificato. Il papa non concede di riscrivere in siffatta causa; al solo sentirne parlare, trema a verga: sì mal gliene incolse nella prima disputa. Ora verrebbe a transazioni; ma se ciò sarà per verificarsi, non mi è dato indovinarlo. Molti lo desiderano, lo temono pochi, e i più vanno a tentoni. Se il litigio va innanzi, si porgerà una bella occasione per temperare la strapotenza papale. Se il divino beneplacito la favorisca, niun ostacolo potrà impedirla. A Dio si volgano le preghiere nostre; ed Esso stesso elargisca alla S.V. eccellentissima ogni pienezza di doni.
- Venezia, 9 giugno 1609.
- ↑ Tra le stampate in latino nelle Opere di Fra Paolo ec., pag. 54.
- ↑ Francesco Duaren, giureconsulto e letterato francese celebratissimo, e stato in Italia discepolo dell’Alciati. Scrisse elegantemente e lasciò, tra le altre opere: De sacris Ecclesiæ ministeriis ac beneficiis.
- ↑ Due furono i Tillet, fratelli, e morti egualmente nel 1570. L’uno fu vescovo di Meaux, l’altro consigliere del Parlamento di Parigi; autori entrambi di opere assai pregiate. Ma il Sarpi dovrebbe alludere al primo de’ due, come dell’altro più famoso.