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XCIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Le lettere di V.S. mi vengono sempre gratissime, come quelle che sono piene di ottimo zelo al ben comune del mondo: cosa rara in questi tempi, quando li Gesuiti hanno messo l’ultima mano a stabilire una corruzione universale.2 Il male prima si tollerava; essi sono passati a scusarlo, e finalmente ad approvarlo e lodarlo. Ancora porta gran disordine ciò a noi; i quali se ben siamo senza la loro presenza, sentiamo nondimeno la loro forza, ricevendo ogni quindici giorni una predica violenta fattaci secondo l’istruzione loro, che questo e questo bisogna fare col vicario di Dio. Col progresso, questa continua pedanteria è necessario che divenga odiosa, e sforzi ad eleggere il maggior male.
La cosa dell’Abbazia (perchè V.S. ne aspetta avviso da me) non ha potuto esser sostentata più lungamente a favore delli monachi: perchè, la congregazione per li suoi rispetti dichiarerà di non aver mai avuto ragione alcuna in quel monastero; e la Repubblica è stata ricercata che, per quiete comune, volesse desistere da difendere una cosa ingiusta eziandio a giudizio degl’interessati. Questo è stata la causa che il Senato si sia contentato di lasciar da canto li rispetti che toccano li monachi, e attendere solo a quelli che riguardano il suo governo, li quali ricercano che un beneficio di così gran peso non fosse in mano d’un forestiero. Non ha però consentito il Senato, che si dicesse li monachi non aver alcuna ragione, acciò non paresse aver difeso cosa ingiusta; ma che, restando in piedi le ragioni loro, per questa volta solamente si venga alla provvisione di commendar il monasterio al signor Matteo di Priuli, con pensione al cardinal Borghese di 5000 ducati; che è il fine d’un negozio trattato assai travagliosamente. Nissuna cosa è peggiore quanto difendere la libertà di chi ama essere in servitù; e non senza ragione nella legge vecchia si forava l’orecchia del servo volontario.
Dopo accomodato questo negozio, se bene sono pochi giorni (perchè non è finito totalmente se non la settimana passata) non si parla più di controversia alcuna: le cose stanno quietissime. Io credo che la corte romana pensa molto alli moti che sono in Stiria e Carinzia, dove veramente può ricevere maggior danno, che da qual si voglia altro luogo, per la prossimità all’Italia e per il facile transito.
Le cose di Cleves sono totalmente contrappesate, che (siccome penso) per necessità staranno quiete, e averemo una pace universale tra Cristiani, acciò li padri Gesuiti abbino maggior comodità di spedir le loro mercanzie. Ma canonizzando il beato Ignazio, s’approveranno le azioni sue.
Una sola difesa di Pamplona a favore del re Cattolico: adunque con buona ragione si spenderanno li dieci mila ducati. Io confesso che non posso penetrar tant’oltre, ch’io vegga star qui sotto alcun buon fine.
L’esser confermato per tre altri anni il signor ambasciatore qui, mostra che serva bene; e veramente, opera con diligenza e coscienza: serve bene quelli a favore de’ quali è confermato.
Non ho cosa di nuovo d’avvisare V.S. La risaluto a nome del signor Domenico Molino e del padre Fulgenzio, e io le bacio la mano. Non ho ancora potuto trovare in Venezia chi sia quel Vincenzo Ivioni, a cui è inviata la lettera che V.S. mi manda: spero che se ci sarà, lo troverò.
- Di Venezia, il 29 settembre 1609.
- ↑ Edita: come sopra.
- ↑ Gli effetti che di questa fanno sentirsi nel nostro tempo, mostrano ad evidenza che il Sarpi non esagerava nel suo nè calunniava i Gesuiti.