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XCV. — A Giacomo Gillot.1
So ben io che la S.V. s’è data a importantissimi studi sulla giurisprudenza del fôro, e non mi par tuttavia di farle cosa ingrata richiamandola a più modesti argomenti. Avendo principiato a leggere con diligenza il libro del Barclay, che m’inviò con elogi, fui tanto preso di maraviglia all’avvertenza preliminare, tutta senno, accorgimento e soda dottrina, da bramare di conoscerne l’autore, che già per quest’indizi tengo per dottissimo e sapientissimo. La prego ad appagare la mia curiosità, palesandomi il nome e gli studi di esso.
Barclay cita spesso l’altro suo libretto Del Regno:2 gradisco sapere se sia già edito o da stampare. Senza vederlo, ne fo ragione per la rinomanza dello scrittore. Tutto che l’autore ha raccolto e ordinato con mirabile valentía in quest’opuscolo, è degno di piena approvazione. Se avessimo noi conferito insieme, o l’uno avesse letto le scritture dell’altro, e’ non poteva, per mio avviso, più bellamente mettere a ordine quel ch’io ragionai in vari tempi nelle controversie co’ romaneschi. Solo un punto (e lo noto espressamente) non mi va pienamente a sangue; e piacemi deporre nel seno di V.S. i miei dubbi, per averne un giudizio. Che se sono per riuscirle molesto, ne accagionerà se medesima, la quale mi tratta sì cortesemente nelle sue lettere, da farmi credere che niuna mia le sarà per tornar grave.
Barclay, nel capo 17, asserisce, rispetto ai poteri chiesastico e civile, che ambi rapportansi alla stessa cristiana repubblica; nè l’uno all’altro sottostà, ma insieme si assoggettano alla divina autorità, a modo del gran cancelliere e del gran contestabile; il primo dei quali presiede alle cose forensi, alle guerresche l’altro; nè l’uno può usurpare la giurisdizione altrui, e uniti moderano prosperamente la medesima repubblica e cospirano al proprio vantaggio: discordi, non si possono vicendevolmente infrenare, ma aspettano il giudicato della regia sovranità. Il cancelliere sarebbe il papa; il contestabile, il principe secolare; il re, Dio. Tal fondamento ha la dottrina dell’autore; il quale se barcolli, siamo costretti a dubitare sulla saldezza dell’edifizio. Appartenendo entrambi i poteri, chiesastico e secolare, alla stessa cristiana repubblica, forza è che o l’uno obbedisca all’altro, o tutti e due sottostiano a qualche potere umano, ovvero che la repubblica cristiana riesca un mostro a due teste.
Appo tutte le nazioni e città, o tien governo il popolo, o gli ottimati, od un cittadino qualunque; non potendo la cosa pubblica stare e conservarsi senza un supremo potere. Non importa che Barclay, come per artifizio comico, faccia ricorso alla divina Maestà; sì perchè la sovranità dev’esser parte di uno Stato, e non un che esteriore; sì perchè tutti gli Stati del mondo si confonderebbero in un solo per andare senza distinzione soggetti a Dio, al quale nè più ne meno sottostanno il re dei Franchi e quel de’ Turchi o de’ Persiani. Osservi come la nazione israelitica, per aver servito dopo Salomone a due poteri, smembrossi in due Stati, e sotto distinti re non serbò più la unità. Ma lasciamo le cose antiche. Perchè sono due i regni francese e spagnuolo, comunque dallo stesso Dio dipendenti, se non per avere lor propria e distinta e libera sovranità? Provatevi a metter su uno Stato retto da due autorità a Dio subordinate: esso non avrà più vita, che aver potesse già Roma lasciata alla balía de’ suoi due fondatori. Adunque, preti e laici faranno due Stati. Se l’un potere all’altro non inchinisi, e ambidue non si assoggettino a un solo, l’aver luogo nella stessa repubblica la Maestà divina non è per somministrare alcun mezzo di unità. Io non veggo verso ad annientare questo ragionamento. La prego a illuminare la cecità mia; e se la S.V. vede la fallacia del discorso, rimangasi dal leggere le considerazioni seguenti, che sono esplicamento a questa mia piuttosto opinione o sospetto, che risoluzione.
Io immagino che il regno e la chiesa siano due Stati, composti però degli stessi uomini; al tutto celeste l’uno, e terreno l’altro; aventi propria sovranità, difesi da proprie armi e fortificazioni; di nulla posseditori in comune, e impediti di muoversi, comecchessia, scambievolmente la guerra. Come s’avrebbero a cozzare, se procedono per sì diversa via? Cristo ebbe detto che Esso e i discepoli non erano di questo mondo; e (argomento per noi di chiari e lieti riflessi) Paolo santo dichiara che il nostro conversare è nei Cieli.3 Tolgo qui la voce Chiesa per riunione di fedeli, e non di preti soltanto; che ristretta a questi, non è più il regno di Cristo, ma porzione di terrena repubblica, e però soggetta alla somma autorità, cui stanno proni anco i laici. Può annettersi una significazione ambigua a questa frase chiesastico potere: perocchè se s’intende quello pel quale amministrasi il regno di Cristo, dei Cieli, esso a niuna autorità soggiace, a niuna sovrasta, in niuno può dar di cozzo, se ne togliamo Satana, con cui ha guerra continua; se quello, poi, onde s’indirizza la disciplina dei cherici, esso non è potestà sul regno dei Cieli, ma parte della repubblica. E così pare la intendessero i capi dell’uno e dell’altro impero, i re dei Goti, e sopra tutti Giustiniano; nè ad altro accenna il capitolare stesso di Carlo Magno. I principi che liberarono i cherici dall’autorità dei magistrati, fornirono a loro, imbattutisi in fiacchi re, pretesti a pigliar per debiti i donativi, e spacciarli derivanti da giure divino o almeno ecclesiastico. Io, pel primo in Italia, fui oso a bandire che niuno imperante sciolse i cherici dal suo potere, ma che essi andarono franchi soltanto da quello dei magistrati: per il che molto mi compiacqui nel vedere che tal sentenza arrideva al Barclay; ma come questa consuoni cogl’insegnamenti divulgati nel capo decimosettimo, non mi è dato comprenderlo. Prego la Vostra cortesissima Signoria a reputarmi degno di udire quel che essa ne pensi, e di riguardarmi coll’usato favore.
Ricevei finalmente il libretto a stampa, ov’ella raccolse con assai buon senno dieci trattati a sostegno della libertà gallicana;4 e ne le ho grazie moltissime, insieme con obbligo singolare. Finisco coll’augurarle salute.
- Venezia, 29 settembre 1609.
- ↑ Stampata in latino tra le Opere ec., pag. 8.
- ↑ Vedi la nostra nota a pag. 275. In quanto alla conformità dei sentimenti del Barclay seniore con quelli del Sarpi, udremo poi ripetere da quest’ultimo nella Lettera CI: “Io direi che fosse opera degna di stima, quando non fossi interessato per aver difesa la medesima opinione.„
- ↑ L’originale ha: divus Paulus nostrum πολιτευμα in cœlis esse protestatur.
- ↑ Può rivedersi la nostra nota a pag 52.