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CLXX. — Al medesimo
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CLXX. — A Giacomo Leschassier.1


Finalmente mi ha risposto da Napoli l’amico al quale avevo domandato se alcuna novità fosse stata ordinata dal conte di Lemos circa l’exequatur regio, che io aveva udito essere stato esteso anche a quelli che esercitano l’incarico di predicatori e di confessori. L’amico mi scrive, esser costume in Madrid, e dovunque vada la corte del re di Spagna, che i predicatori non chiedono la licenza di predicare e la benedizione dall’Ordinario, ma bensì dal confessore del re; e che quest’uso il conte di Lemos volle introdurre anche nella città di Napoli. Se non che, per essersi opposto l’arcivescovo, appoggiandosi ai decreti del Concilio di Trento e della non interrotta consuetudine napoletana, e il conte non volendo usare della sua autorità, il negozio fu deferito a Roma; dove tra il pontefice e il regio ambasciatore, fratello del conte, venne lungamente agitato, fintantochè si convenne che i predicatori, giusta la consuetudine, ottenessero le lettere di licenza e la benedizione dell’Ordinario: del rimanente poi, se taluno fra quelli visitar volesse, in grazia dell’ufficio, il confessore del vice-re, non fosse ciò divietato. E così l’amico mi attesta praticarsi; giacchè taluni vanno a far visita al confessore, ed altri ricusano di farlo; tra i quali sono i Gesuiti. Aggiunge ancora il mio corrispondente, di non aver potuto sapere con certezza se il decreto del vicerè fosse o no posto in iscritto, ma che ne farebbe ricerca, e, trovandolo, me ne avrebbe spedito una copia.

Alle lettere di V.S. ricevute per questo corriere ed a quelle del precedente, non rispondo, fino a che non trovisi un modo di mandarle con sicurezza le lettere mie proprie. Intanto desidero ardentemente ch’ella stia in piena salute e di me spesso si ricordi. La riverisco.

Di Venezia, il 1 febbraio 1611.



  1. Edita come sopra, pag. 96.


Note

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