< Lettere (Sarpi) < Vol. II
Questo testo è completo.
CLXXXI. — A Filippo Duplessis Mornay
Vol. II - 180 Vol. II - 182

CLXXXI. — A Filippo Duplessis Mornay.1


Pregiatissimo signor mio. Da quel nobile polacco che viene di costà, ho saputo qual sia lo stato della Religione in Francia; ed egli, alla sua volta, quale sia qui il nostro. E non solo l’ha appreso, ma toccato quasi con mano. Voi sempre, la Dio mercè, progredite; e noi facciamo passi retrogradi. Venne meno il coraggio d’una volta; e nelle buone occasioni ci vediamo talmente abbandonati, che nè a seminare siam atti, nè a coltivar ciò che già erasi seminato. Allorchè la meretrice insultava ai nostri sfrontatamente, avemmo insieme la strada aperta al parlare ed all’insegnare: ora costei si è data a far carezze, e di qui l’ozio a che i nostri si sono abbandonati. Abbiamo anche spesso tentato di provocarla; ma fatta più accorta dai passati pericoli, ha deluso i nostri sforzi, e premendo l’ira nel petto, non cessa d’ostentare all’estemo i soliti modi lusinghieri. Da ciò la sicurezza dei nostri, il risorto amore dei piaceri e l’avversione ad ogni qualsiasi cambiamento, quand’anche colla certezza del meglio. In mezzo a questa poltronesca pace, nessuna speranza può aversi negli umani consigli; e se alcuna ne resta, si è in Dio solamente.2 Ma le divine disposizioni sono arcane per noi; e chi queste ignora non dovrebbe in tal fiducia addormentarsi, aspettando il tempo del suo beneplacito. Sarebbe, al mio credere, da tentar piuttosto ogni cosa.

Voi altri Alemanni e Francesi continuate gagliardamente il lavoro, e noi vi ammiriamo e lodiamo; ma i vostri sforzi giganteschi e i forti colpi che scagliate, non molto approdano, come quelli che mirano soltanto ai lembi. Volesse il cielo che poteste drizzar la mira verso il cuore! a questa Italia, cioè, dov’è la fonte e il principio dell’esistenza del papa e dei Gesuiti. Sarebbe da imitar Scipione che, portando la guerra in Africa, costrinse Annibale ad uscire dall’Europa. Fintantochè in alcun luogo dell’Italia le chiese stesse non si riformino, o che la guerra non ischiuda le porte alla libertà, le forze papali rimarranno invulnerate ed intere. Ma come ciò dico secondo il lume dell’intelligenza umana, così ben so essere a tal fine necessario il divino favore. E vedendoci fin qui destituiti d’ogni mondano soccorso, ogni cosa io rimetto alla sua celeste Maestà; la quale anche prego di voler sempre assistere e mantener sana e salva la S.V., che tanto si affatica a pro della Chiesa.

Venezia, 16 agosto 1611.



  1. Dalla Corrispondenza ec. citata alla pag. 148 del tomo I; e colla osservabile indicazione De padre Paulo. Vedi anche a pag. 49, 95 e 109 di questo stesso volume.
  2. Chi, dopo il raffronto di tante altre Lettere, potrà dubitare che questa pure non uscisse dalla mente e dal cuore del Sarpi? Sarebbe, contuttociò, esagerazione e temerità (per non dir altro) il cavarne le conseguenze che taluno nei giorni nostri ha voluto inferirne.


Note

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.