< Lettere (Sarpi) < Vol. II
Questo testo è completo.
CCXIV. — Al medesimo
Vol. II - 213 Vol. II - 215

CCXIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Non avendo ricevuto lettere di V.S. dopo quella delli 10 luglio, mi son persuaso ch’Ella sia ancora in viaggio, e resto in qualche dubitazione se le mie le siano pervenute in mano. Con tutto ciò, non posso intermettere il debito ufficio di scriverle con ogni corriere, quantunque non abbia soggetto degno; poichè le cose in Italia camminano nei modi consueti. In Piemonte, quantunque quel duca non possi aver occasione di dubitare che alcuno sia per offenderlo, tuttavia attende a crescere la sua soldatesca con nuove compagnie; e quello di Parma ad imprigionare i suoi cittadini. In Roma si consulta sopra il matrimonio del principe di Galles con una sorella del duca di Toscana, come se d’Inghilterra fosse concluso; e per cosa certa è che di là non vi è risoluzione alcuna. Non so, che pensare della rottura tra il papa e la Repubblica. Succederebbe senza dubbio se li Spagnuoli la volessero; ma essi, o perchè non metta lor conto la guerra in Italia, o per qualche altra cosa, non vogliono o differiscono. Intanto il papa s’irrita più, e la Repubblica si fa meno diligente.

Non so quello che debba pensare del nuovo imperatore, che disegna di muover la guerra ai Turchi; impresa ben generosa, ma non più tentata dai suoi maggiori, che hanno pensato far molto nel difendersi, senza pensar mai ad assaltare. È interpretato da alcuni, che sia pretesto per cavar contribuzioni di Germania.2 Ma dove già una lega è formata, sarà cosa difficile procedere con arte. In questo mentre passerà l’anno presente e futuro, nè mostrerà quello che si tratti adesso tra Francia e Spagna con le ambascerie colorate de’ matrimoni.

È venuto qui nuova, esser stato impetrato dal Nunzio, con editto regio, che non si stampi in Parigi cosa alcuna se non sia approvata prima dal cancelliere. Io ho desiderio d’intenderne la verità, parendomi cosa di molta conseguenza. Resto pregando Dio per la conservazione di V.S., alla quale bacio la mano.

Di Venezia, il dì 6 agosto 1612.



  1. Stampata come sopra, pag. 489.
  2. E così fu il vero, non solo allora, ma più altre volte prima e anche dopo. Ipocrisie politiche, non dissimili da certe altre che sono in voga nei tempi nostri.


Note

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.