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CCXXIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1
L’ultima mia scritta a V.S. fu delli 24 del passato. Or ora ricevo la sua delli 16 ottobre, alla quale risponderò a passo a passo, così leggendola; perchè non ho più di mezz’ora di tempo alla partita dal corriere: al rimanente non sarà risposto per questo, ma risponderò lo spaccio seguente.
Io non dubitavo che la fama venuta da Roma di lettera scritta da monsieur di Buglion non fosse un artificio;2 ma ho voluto scriverlo per non restare d’avvisarla di tutto quello che va attorno.
L’intestatura del ramo di Po da Tramontana non ha potuto porger materia a Roma di risentimento, per esser un luogo distante dai confini ecclesiastici più di dieci miglia, e lasciando anco tre altre bocche superiori a quella nello stato della Repubblica; ma che ne debba seguire, e ben presto, quello che V.S. giudica, sarà senza dubbio. Io non ho inteso ancora che a Roma si faccia trattato contro la bigamía,3 ma m’informerò e sapro dirgliene l’intiero.
Sono restato stupido intendendo il successo del prigione menato da Verdun; ma non mette conto a chi può, che si scuopra la verità. Ho sentito estremo piacere, che monsieur di Thou sia stato soddisfatto di quanto ho potuto fare in suo servizio. Mi rendo certo ch’egli avrà abbondantemente quanto desidera in quel particolare.
I motivi che passano tra i sudditi dell’arciduca Ferdinando e di questa Repubblica, continuano ancora, piuttosto perchè quel principe non ha tutta la obbedienza che bisognerebbe nei suoi sudditi, che per altra causa. Erano venuti ai confini del Friuli alcuni soldati di quelli già di Passau, in numero di circa mille, forse con animo di metter terrore: ma sono fatte dal canto di qua le debite provvisioni, e i medesimi sudditi arciducali, non potendo sopportarli, s’affaticano per la loro partita. Non posso se non maravigliarmi della prudenza di chi maneggia simili affari, e crede con mille persone far quello che non basterebbono 2000.
Io sento con dispiacere i disgusti che costì sono dati alli buoni Francesi, e prego Dio che mettendoci la sua santa mano, vogli ridur il tutto in pace. L’opera che si compone mettendo insieme le opposizioni fatte ai tentativi romani, sarà molto utile.
La morte di monsignor Bongars,4 che per infiniti rispetti mi è stata acerba, m’aggiunge anco questo dispiacere, che sia causa di differire l’esecuzione di tanta utilità. Avendo ricevuto il libro di Barclay (e ringrazio anco l’autore con una mia lettera), non fa bisogno che V.S. m’invíi quell’altro esemplare; ma Ella ne farà quello che le piacerà.
È cosa verissima che i sospetti di qui sono superflui e guastano tutto, e che ogni mancamento viene da questa parte, in materia di corrispondenza con li Stati. Io spero pur in fine che si vi troverà modo, incominciando però da ambasciatore ordinario: di che le scriverò per la seguente più a lungo e con qualche risoluzione, se chi mi promette di darmela, potrà farlo. Qui si ha da Lione la morte del principe di Soissons.5 Non posso esser più lungo; ma qui facendo fine, a Vostra Signoria bacio le mani.
- Di Venezia, il dì 20 novembre 1612.
- ↑ Edita come sopra, pag. 515.
- ↑ Vedasi la Lettera CCXVIII.
- ↑ Fors’è da intendersi, figuratamente, delle chiese o mense vescovili.
- ↑ Già maggiordomo di Enrico IV; di religione riformata; morto, in odore di onestissimo e di molto erudito, fino dal luglio di quell’anno.
- ↑ Vedi la pag. che segue e la nota 1.