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CCXLII. — A Giacomo Leschassier.1
Ebbi le lettere della S.V. dei 13 maggio; nella qual circostanza, atteso la guerra o finta di guerra principiata in Piemonte, parti di Torino quegli che favoriva la nostra corrispondenza epistolare, ed io non risposi, anzi feci forzatamente proposito di soprassedere fino a che mi s’aprisse altro sicuro veicolo. Oggi ricevo altre lettere de’ 6 giugno, e di tutte la ringrazio di cuore. In queste ultime ricorda i documenti che mi mandò, e che tutti già ebbi, e mi sono carissimi. Circa poi quello che la S.V. scrive, avermi, cioè, il signor Gillot mandato gli atti che si fecero nelle differenze tra Filippo il Bello e Bonifazio VIII, sappia che nulla m’è arrivato di tutto questo. E mi duole la loro perdita, dappoichè il titolo fa fede che parecchie cose ci fossero degne di essere conosciute. Dopo quella dei 12 gennaio, niun’altra lettera ho ricevuta dal signor Gillot. Prego la S.V. ad informamelo, e a lui tenermi raccomandato con tutto il cuore.
Quando corre costà la novella che a Roma fu colpito di censura un libro, ciò vuol dire che è stato messo nel catalogo dei proibiti per la lettura; com’è accaduto alle opere di Wildrington, Richer e Vigor.2 Imperciocchè non dànno fuori vera e propria censura di ciascun libro: quando anzi quel qualunque giudizio non riescisse d’approvazione piuttosto che di condanna, com’è incontrato al Becano. Ogni libro iscritto in quel catalogo s’ha per riprovato in tutta l’Italia, eccetto il dominio veneto; dove, dopo il 1595, nessuna opera può reputarsi condannata senza l’assenso del Principe.
Non s’è visto qua il libro di Schulcken di Gheldria, ch’Ella rammenta; nè mi fa caso che l’inquisitore di Colonia abbia approvato la dottrina pestifera del medesimo, quando vedo che in essa città si stampa quello che non osano a Roma. Anche Matteo Torto3 fu stampato ivi la prima volta. Ogni giorno, a quel che veggo, questa gente peggiora; ma più nuoce in maschera, com’Ella maestrevolmente osserva, che scopertamente. Io ho subito ordinato che mi mandino dalla Germania quel libro; il quale penso che i Gesuiti abbiano a bella posta scagliato in Italia affinchè non si scoprano i tranelli del Bellarmino da coloro che ben lo conoscono. Fa stupore che vadano continuamente in traccia di novelli artificii, sofismi ed aggiramenti, per attraversare la libertà.
Approvo nuovamente il parere della S.V. che si debba loro strappare la maschera, acciocchè con l’ipocrisia non portino danno: chè se ciò si facesse non solo per rivendicare a’ principi la legittima potestà, ma anche negli altri rispetti, svelerebbesi apertamente in faccia al mondo quel mercimonio vergognoso; e forse si sterperebbero in germe i raggiri, se il collegio della Sorbona serbasse intatto il suo decoro. Esso è come una stazione di rifugio; la quale se, come brigano, trarranno in loro potere, niente più rimarrà salvo da cotanta cupidità; perocchè hanno in costume di non far conto alcuno dei privati che sperano vincere o spaventare per via di contumelie. Ma di questo parlerò più a lungo, quando sarà rinnovato tra breve il libero scambio delle nostre lettere; perocchè questa commetto alla fortuna. Frattanto prego Lei e il signor Gillot a ricordarsi di me; che, dal canto mio, desidero a entrambi per vantaggio pubblico buona salute, e i loro consigli e sforzi raccomando sempre al divino favore. E le bacio le mani.
- 25 luglio, 1613.
- ↑ Edita come sopra, in latino, pag. 115.
- ↑ Simone Vigor, nipote dell’arcivescovo di tal nome, che aveva caldissimamente scritto contro i Calvinisti ed altri eretici, fu insieme sostenitore acerrimo delle libertà gallicane; e avendo scritto un commentario De auctoritate cuiuslibet concilii generalis supra Papam (stampato in Colonia, 1613), siccome era perciò perseguitato dai curialeschi, difendevasi dicendo, che nulla aveva asserito che imparato non avesse dalle opere del venerando prelato suo zio.
- ↑ Cioè il libro del cardinal Bellarmino contro il re d’Inghilterra.