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CCXLV. — All’Ambasciatore Veneto in Roma
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CCXLV. — All’Ambasciatore Veneto in Roma.1


Per quello che passò ieri ottavo giorno, non le scrissi cosa alcuna, pensando di mandarlo in lungo. E già per l’ultima volta che fu detto l’istesso, Ella ebbe piena informazione. Viene di nuovo, che ritrovandosi in stato di morte, come anco è morto, il governatore della fortezza di Willemstat, situata fra Mastrich ed Aquisgrana, che la teneva per nome del palatino di Neuburg, si sono mosse le genti spagnuole e quelle degli Stati in un tempo stesso per occuparla: quelle degli Stati hanno prevenuto, e si sono impadronite, e li Spagnuoli ritornati indietro; sicchè si va alla caccia di terre, e quelle divengono di chi primo le occupa, e la guerra si disusa. L’istesso Neuburgo, che aveva incominciato a ridur alla cattolica il paese suo patrimoniale, per le contraddizione dei fratelli, dei popoli e dei principi confinanti, è stato costretto desistere, ed ha licenziati li Gesuiti ed altri religiosi già introdotti, ritenendo solo due per la sua persona e della moglie.

Mi duole che l’E.V. provi le contrarietà che avvengono alle persone da bene. Ma si debbe consolare non chi è premiato, ma chi ha meritato; chè la virtù sola è maggior ricompensa di sè stessa, che quando se gli aggiunge l’approvazione di chi non può darne giudizio per non conoscerla. Resto pregando Dio che doni ogni prosperità a V. E., alla quale bacio la mano.

Di Venezia, il dì 8 agosto 1615.



  1. Inedita: dagli Archivi di Venezia. Era in quel tempo ambasciatore a Roma (se male non ci apponiamo) Simeone Contarini.


Note

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