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CCXLVII. — A Giacomo Gillot.1
Da lungo tempo desideravo mostrarle, secondo il solito, con lettere la mia osservanza; e siccome contro voglia avevo dismesso la corrispondenza, così ho serbato sempre in cuore la sua venerata memoria. A tale siam noi, che ci tocca di osservar tutto, di lasciarci governare non dalla ragione, ma dai tempi; e fare sforzi non perchè niuno parli male di noi, ma non parli niente affatto. Niente più gioverebbe a me dell’ozio e dell’accidia, se non aborrissi più che la morte un vizio siffatto. Ma non sono stretto sempre e per ogni parte da queste angustie: l’inazione è solo temporaria. Il quale incomodo avvenutomi per la partenza dell’illustrissimo signor Foscarini, dileguossi per l’arrivo costà del signor Gussoni, legato di questa Repubblica al vostro re. E trovatomi più libero, mi son fatto cuore a rinfrescare alla S.V. per le presenti la memoria di me; desideroso che il nome mio, da pezza ascritto nel novero de’ suoi servitori, per forza di tempo non si cancelli. E a ciò mira specialmente questa lettera. Ho poi anche in animo di farle elogi e raccomandazione dell’illustrissimo signor Gussoni; uomo assai sperto delle politiche faccende, liberale, e che molto si piace della conversazione degli ottimi e simili alla S.V. Se a Lei piacerà fargli qualche visita, come vivamente desidero, prego e domando, troverà gusto nella familiarità di sì nobil uomo, e farà a me sommo piacere. Del resto, io vo pregando Sua Divina Maestà che custodisca lunghissimamente in sanità la egregia S.V., e a me conceda di profferirle in effetto l’opera mia disposta a servirla. E le bacio le mani.
- Venezia, 11 giugno 1616.
- ↑ Edita come sopra, in latino, pag. 21.