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CCL. — Al signor De l’Isle Groslot
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CCL. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Se io provassi d’esprimere il piacere sentito nell’animo vedendo le lettere di V.S. dei 21 del passato, resterei molto al disotto del segno. Nei prossimi anni intendendo le turbazioni di cotesto nobilissimo regno, ho sempre fatto riflesso alla persona sua, e compatito agli incomodi e agli affetti d’animo che la vedevo sostenere. Dopo che, per lettere del signor ambasciatore Gussoni, intesi ch’Ella si trovava in Parigi, ma oppressa dalla gotta, sentii allegrezza mista con dispiacere, intendendo lo stato buono, ma non con intiera sanità: finalmente, poichè cessano le cause del dispiacere quando li mali terminano in sanità, vedendo il medesimo carattere suo solito, e da quello facendo giudicio che la mano abbia ricuperato le solite forze, ne ho ringraziato la Maestà divina, pregandola, come continuerò di fare in ogni tempo, che mi dia grazia di conservarla in prosperità e sanità, e di godere della comunicazione che le piacerà tener meco, sempre però senza suo incomodo.

Dalle quattro scritture mandatemi, come da altri avvisi, io ho inteso con troppo dispiacere il cattivo stato di cotesto regno, del quale anco noi partecipiamo assai più di quello che può pensare chi non si trova alla festa e nella tragedia che prevede V.S. Quando s’abbia da recitare, io dubito certo, che non siamo per fare la sola parte del coro; ma non sono senza speranza che la bontà divina riguardi e queste e coteste miserie con occhio di pietà. Tuttavia, la disposizione d’ogni sorte e condizione di gente non mi permette di nudrirla nell’animo, se non con molta incertezza.

Il nostro paese si trova tutto circondato da Austriaci, eccetto quel solo paese di Valtellina, il quale è in una immensa spesa. Non si è potuto aprire per le sinistre opere dei ministri di cotesto re, che fanno tutto per Spagna contra i propri interessi. Abbiamo avuto il cielo contrario, non avendo per tre mesi spirato vento favorevole, che potesse condurre gente per mare. La guerra s’è fatta con diversione per mezzo di Savoia, a cui perciò si contribuisce settantacinque mila ducati al mese:2 ma nè lui senza noi, per mancamento dei danari, nè noi per difetto di gente, possiamo continuare.

I Spagnuoli propongono partiti di pace. V.S. sa quanto quello3 sia vantaggioso, e qui debole. Temo ch’egli non sia vinto dalle promesse, ovvero effetti insidiosi; e qui dal troppo desiderio di quiete, o con qualche arte non sia messa diffidenza, onde sia ricevuto accordo, quale li prudenti conoscono che, se bene sarà in apparenza tollerabile, terminerà in una servitù totale d’Italia. Se l’Inghilterra o la Germania fossero più vigilanti, e almeno con uffici tenessero questi due uniti, aiutandoli a difendersi dalle arti spagnuole, sarebbe opera utile. Ma la fatalità di tutta Europa accenna che mentre a parte si resiste, in fine tutti caderanno in servitù.4

Avremo quest’anno Spagnuoli con armi nell’Adriatico; il che forse muoverà i Turchi, e non sarà male, perchè questi sono meno cattivi che Spagnuoli.5 Nelle cose passate sotto la mia veduta, io non posso dir d’aver mai congetturato l’esito di alcuna, quale poi ho veduto successa; e avendo osservato che le predizioni dei più prudenti non hanno avuto miglior ventura nel pronosticare, non mi fido di poter predire cosa alcuna. Starò con desiderio di sapere l’ottima salute di V.S., alla quale per fine bacio la mano.

Di Venezia, il dì 28 marzo 1617.



  1. Dalla raccolta di Ginevra ec., pag. 574.
  2. A ragione le lettere del Sarpi furono, dal Daru ed altri, fin qui citate come storici documenti; sotto il quale aspetto noi pure non ci terremo dal raccomandarle, in ispezie per ciò che spetta alle cose veneziane.
  3. Cioè, il duca di Savoia.
  4. L’antica stampa pone: “in servizio.„ Altri errori ci siamo avventurati a correggere in queste carte, che sono tra le più scorrette; come dopo cinque righe: “d’aver mai congetturato; ec.„
  5. In quanto la malignità che corrompe ed opprime, è peggiore della forza che spoglia ed uccide.


Note

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