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CCLII. — Al medesimo
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CCLII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Io ricevo tutte in un piego due di V.S. delli 14 marzo ed una delli 21; seguendo l’ordine delle quali dico, prima, intorno il desiderio del signor di Thou, non esser minore il desiderio mio ch’egli sia compiaciuto, ed insieme esser anco di opinione che sia servizio pubblico. Ma siamo in un tempo che non basta ne il buon fine nè il buon consiglio accompagnato da esito felice, se insieme non si cammina per quella via che l’universale vuole. Io pregherò il signor ambasciatore che s’allarghi quanto più giudicherà potere, e che abbia più risguardo alli altri rispetti che alli miei. Il far officio con quell’altro signore che V.S. mi nomina, che al presente è qui, non servirebbe, perchè non fu egli che abbia questa traduzione,2 ma un suo ministro, che ora non è con lui, al quale se V.S. tien memoria, io scrissi di questo negozio, mandandogli la lettera. Ma io credo che, finalmente, si troverà modo che il signor di Thou resterà contento.

Il consiglio di V.S. di partire da Parigi debbe esser grandemente commendato da qualunque sa l’ingegno degli Italiani. Sento gran piacere che sia per ritirarsi a Saumur, così perchè sarà sicura più che a Orléans, come perchè si ritroverà appresso quel signore tanto compito. Io la prego con ogni affetto a fare a sua signoria illustrissima li miei baciamani, e certificarla della riverente stima ch’io faccio del valore, della bontà e della dottrina sua.

Il signor Desdiguières è ritornato di là da monti con la sola famiglia; però lasciando intenzione di dover mandar dell’altra gente. Non ho dubbio che in quella guerra di Piemonte si è perduta molta gente francese; ma è condizione di tutte le guerre: però tanto se ne fa, e forse più di quanto se ne perde.

Io son restato pieno di maraviglia intendendo che il conte d’Auvernia3 abbia promesso d’obbedir al maresciallo d’Ancre: e vada questo per contrappeso delle dispute de’ nostri capitani italiani, tra’ quali non si può trovar un uomo basso ed inesperto che voglia obbedire ad un grande e perito; e questa è una delle cause che impedisce il far alcun progresso buono.

Sarebbe ben cieco chi non vedesse il giogo imminente sopra il collo d’Italia: ma la fatalità guida chi vuole, costringe chi ripugna;4 e con numero di superstiziosi è un maggiore di viziosi, che amano meglio servir in ozio, che faticar in libertà. Non manca anco qualche contaminazione di Diacatholicon. Questo terzo è irremediabile; per il secondo ci bisognerebbe una buona stoccata che svegliasse; al primo non ci è rimedio.

Sono due anni che la guerra è in Piemonte ed uno in Friuli, e non è fatto minimo colpo contro la superstizione; e sebbene sono venuti tremila Olandesi, non si spera, come credeva, che la guerra fosse mezzo d’introdur la verità. Veggo che non è.5 Così conviene aspettare il tempo del beneplacito divino; il quale se non apre qualche mezzo per quale si dia ingresso a far bene, ogni cosa pare inviata a stabilire due monarchie, una sopra i corpi e l’altra sopra le anime. Il che se debbe succedere a gloria di Dio, doverà piacerci; quando no, i consigli umani non saranno efficaci. Io bacio la mano a V.S., e le prego da Dio Nostro Signore ogni prosperità.

Di Venezia, il dì 11 aprile 1617.



  1. Stampata come sopra, pag. 578.
  2. Parole, certamente, allusive a quanto leggesi nella Lettera CCXIX, pag. 343.
  3. Il conte d’Avergne fu il generale della cavalleria francese, venuta o spedita sotto il Lesdiguieres in soccorso del duca di Savoia, nella sua guerra contro gli Spagnuoli.
  4. Massima favorita del nostro autore. Vedasi anche a pag. 126.
  5. Potrebbe inferirsene che la indifferenza in fatto di religione non è tanto recente, quanto e chi vuole la rinnovazione del vecchio e chi brama l’introduzione del nuovo va oggi lamentando.


Note

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