< Lettere (Sarpi) < Vol. II
Questo testo è completo.
CCLVIII. — Al Senato Veneto
Vol. II - 257 Vol. II - Lettera del superiore del Convento

CCLVIII. — Al Senato Veneto.1


Fra Paolo da Venezia, umilissimo servo di V.E. illustrissima, avendo notizia che il già cavalier Antonio Foscarini nel suo testamento gli abbia lasciato certo legato, e conoscendo esser in obbligo per coscienza e per fedeltà di non aver a fare con chi s’è reso indegno delle grazie del Principe, nè mentre vive nè dopo la morte; ha stimato dover rifiutare il legato assolutamente. E pertanto, avendo anco commissione generale dalla religione sua di disponere in tutto quello che al suo nome tocca, rifiuta il suddetto legato, e ricusa di riceverne in qualsivoglia modo beneficio alcuno; supplicando umilissimamente V.E. illustrissima di comandare, che di questa ricusazione sua ne sia fatta nota.

1622, addì 28 aprile.



  1. Noi vorremmo, non mica poter sopprimere, ma che non ci fosse stato trasmesso, cogli altri, anche questo inedito documento, dal quale i malevoli del nostro autore vorranno alcerto dedurre com’egli, dopo la tragica morte del buon Foscarini, ripudiasse quell’amicizia che in vita avevagli così altamente professata. Forse, però, ancora gli esperti delle draconiche leggi della veneta repubblica, e i biografi stessi di Fra Paolo, troveranno nella necessità delle cose e dei tempi, nel disinteresse di lui medesimo o nella dipendenza dai superiori dell’Ordine, una spiegazione, una scusa di quanto qui sopra si legge. — Per ciò che spetta al Foscarini, che se di calunnie o nefandi raggiri non fu vittima, tale fu certamente degli scupoli crudeli di una aristocrazia, che tanto più di sè diveniva orgogliosa, quanto più approssimavasi alla sua decadenza, ci piace di riportar qui le parole, colle quali lo storico Nani (uno di quelli che scrissero per ordine pubblico) laconicamente ne racconta il supplizio, e contemporaneamente l’emenda che mediante nuovi supplizi si studiò poco dopo di farne. “Esempio sommamente orrido contaminò la città, perchè si vide Antonio Foscarini, cavaliere e senatore, appeso alle forche per calunnia d’aver con gli stranieri tenuta corrispondenza secreta. La fraude di alcuni scelleratissimi uomini, propostisi premii, aveva congiurato contra la vita dei patrizi più innocenti e cospicui; perchè, versando il governo in tempo torbido a tra le memorie delle passate insidie (cioè, della congiura degli Spagnuoli) e i riguardi degli odi presenti, facilmente i soli sospetti si travestivano con le colpe. S’introdussero al magistrato secretissimo degl’Inquisitori di stato, e ripartiti gli offizi, altri di accusatori altri di testimoni, tradivano la giustizia e i giusti. Ma durar non potè troppo lungamente questa conventicola infame; perchè, scoperta l’atrocità del misfatto, furono, tra’ principali, Girolamo Vano da Salò e Domenico da Venezia con giusto supplizio puniti. Il Foscarini, con pubblica dichiarazione di sua innocenza, se non restituito alla vita, fu almeno alla fama reintegrato, e la di lui famiglia al pristino lustro ed a’ maggiori gradi dal comune compatimento promossa.„ Istor. cos. venez., lib V, tom. I, pag. 248.


Note

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.