Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Lettera VIII | Lettera X | ► |
LETTERA IX
Ut a communibus initium faciam etc. Ep. lxvii.
O tre volte beati
Quelli, a ch’in faccia ai padri sotto l’alte
Mura di Troja già toccò morire.
Che differenza fai o che tu desideri questo ad altri, o che confessi che sia stato da desiderarsi? Decio si die’ alla morte per la Republica; e spingendo il cavallo si gettò in mezzo agl’inimici, desideroso di morire. L’altro dopo costui, emulo della paterna virtù, dopo che ebbe solennemente e familiarmente parlato, si diede ad un copiosissimo esercito, non pensando ad altro, che a placar i Dei col suo sacrifizio; giudicando che la buona morte sia cosa da dover essere desiderata. A che dunque dubiti, se sia bene di morir memorabilmente, et in qualche fazione virtuosa? Quando un sopporta fortemente i tormenti, mette in opra tutte le virtù; e questo forse per quell’una, ch’è in atto, e che apparisce, della pazienza. Ivi è la Fortezza, dalla quale si vede uscir, come suoi rami, la pazienza, il sopportare, e la tolleranza. Ivi è la Prudenza, senza la quale non si fa consiglio alcuno; e persuade sopportar con gran fortezza quel che non si può fuggire. Ivi è la Costanza, la quale non si può movere di loco, nè cangia di proposito per violenza che gli si faccia. Ivi finalmente è quella inseparabile compagnia di Virtù. Ciò che si fa onestamente, è operazione d’una Virtù, ma questa operazione è secondo il parere del Consiglio: e quel, ch’è approvato da tutte le Virtù, ancorchè paja che sia effetto d’una sola, si deve non dimeno desiderare. E che? pensi tu forse che si debbiano solo desiderar quelle cose, che procedono dal piacere, e dall’ozio? che si sogliono ricevere con le porte ornate? Vi sono certi piaceri mesti, e certi voti, i quali son celebrati non già da quelli, che attendono all’allegrezze, ma da quelli, che adorano, e riveriscono la Virtù. Così tu non crederai forse che Regolo desiderasse di ritornar dagli Cartaginesi; ma véstiti dell’animo d’un grande uomo; allontánati per un poco dall’opinion del volgo: piglia quanto dei dell’immagine della bellissima, e magnificentissima Virtù, la quale noi dovemo onorare non con le corone, ma col sudore, e col sangue. Mira Marco Catone, che si mette le purissime mani nel sacrato petto, e che allarga le poco aperte ferite. Che gli dirai tu piuttosto, o: Io vorrei quel che tu vorresti, e duolmi di quel che ti duole; ovvero: Felicemente fai a far così? A questo proposito mi sovvien di quel che dice il nostro Demetrio, il quale chiama la vita sicura, e libera dagli empiti di Fortuna, un mar morto, nel quale non vi sia cosa, che t’inciti, e dove t’impieghi; e con i pericoli e travagli del quale tu possi far esperienza della fermezza dell’animo tuo. Et il giacer in ozio riposato non è tranquillità, ma piuttosto bonaccia. Attalo Stoico solea dire: io mi contento piuttosto che la Fortuna mi tenga tra i travagli suoi, che tra le delizie: che se son tormentato, lo sopporto però con fortezza d’animo, onde avvien che sia bene; e se son ammazzato, moro fortemente, onde è anco bene: e se udirai l’Epicuro, ti dirà che sia anco cosa dolce; ma io non porrò mai così effemminato nome a sì onesta, e severa cosa, e dirò che, se sono abbrugiato, sarò con animo invitto. E perchè non si deve desiderare, non che il fuoco m’abbrugi, ma che non mi possa vincere? Non vi è cosa più prestante, nè più bella della Virtù; e ciò che si fa per ordine, e comandamento d’essa, è bene, e si deve anco desiderare. Sta sano.