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A Firenze
San Matteo, primo giorno di quaresima 1625 [25 marzo 1626]
Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
L’aver V. S. lasciato li giorni passati di venir a visitarne (essendo stato il tempo assai quieto, lei, per quanto ho inteso, con sanità, e senza l’occupazione della Corte) sarebbe bastante a causar in me qualche timore che forse in parte diminuito l’amore che grandissimo ne ha sempre dimostrato. Se non che gli effetti dell’amorevolezza sua inverso di noi tanto frequenti, mi liberano da questo sospetto: sì che più presto m’inclino a credere ch’ella vada differendo la visita, mediante la poca satisfazione che riceve dal venirci, tanto da noi, mediante la nostra, non so s’io mi dica dappocaggine, non sappiamo dargliene più, quanto dall’altre, che per altre cagioni poco gliene danno.
E per questo lascio di lamentarmi con lei, come farei se non avessi questo pensiero; e solo la prego a conformarsi (con il lasciarsi da noi rivedere) se non in tutto al suo gusto, almeno al nostro desiderio; il quale sarebbe di star continuamente da lei, se ne fossi lecito, per farli quelli ossequi che i suoi meriti e il nostro debito ricercherebbono. E poiché questo non ci è concesso, non mancheremo già di satisfare a questo debito, col tenerla raccomandata al Signore che gli conceda la sua grazia in questa vita, e il paradiso nell’altra.
Dubito che Vincenzio non si lamenti di noi, perché indugiamo tanto a mandarli i collari che ci mandò a domandar, dicendo che ne aveva carestia. Di grazia V. S. ci mandi un poco di tela batista acciò gliene possiamo cucire, e anco ci dia qualche nuova di lui, che lo desideriamo. E se a lei occorre qualche cosa per suo servizio, nella quale possiamo impiegarci, si ricordi che ci è di gusto grandissimo il servirla. E qui facendo fine, a V. S. mi raccomando insieme con Suor Arcangela.
figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.