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A Siena
San Matteo, 27 agosto 1633
Amatissimo Signor Padre.
Sto con speranza che la grazia che V. S. (con quelle condizioni che mi scrive) ricerca d’ottenere, li abbia a esser concessa; e mi par mill’anni di sentir la risposta che V. S. ne ritrarrà, sì che di grazia me lo avvisi presto quand’anche sortisse in contrario; il che pur non voglio credere.
Li do nuova come, mediante la morte del signor Benedetto Parenti che seguì mercoledì passato, il nostro Monasterio ha ereditato un podere all’Ambrogiana, e il nostro procuratore andò l’istessa notte a pigliarne il possesso. Da più persone abbiamo inteso ch’è stimato di valuta di più di cinque mila scudi, e dicono che quest’anno vi si sono ricolte 16 moggia di grano e vi saranno 50 barili di vino e 70 sacchi di miglio e altre biade, sicché il mio convento resterà assai sollevato.
Il giorno avanti ch’io ricevessi la lettera di V. S., messer Ceseri s’era servito della muletta per andar a Fiesole, e Geppo mi disse che la sera la rimenò a casa tutta sferrata e mal condotta, sì che gli ho imposto che, quando messer Ceseri tornasse a domandarla, gli risponda con creanza, allegandoli l’impossibilità della bestiuola e la volontà di V. S. ch’è ch’essa non si scortichi.
Sono parecchie settimane che la Piera non ha da lavorare per la casa, e perché intendo che costà v’è abbondanza di lino buono, s’è vero, V. S. potrebbe veder di comprarne qualche poco; che se bene è sottile, sarà migliore per far pezzuole, federe e simili cose: e io desidero che V. S. mi provvegga un poco di zafferano per la bottega, del quale n’entra anco nelle pillole papaline, come avrà potuto vedere. Non mi sento interamente bene, e per questo scrivo così a caso; mi scusi e mi voglia bene. A Dio, il quale sia quello che gli doni ogni consolazione.
sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.