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A Siena
San Matteo, 10 settembre 1633
Amatissimo Signor Padre.
Giovedì passato, e anco venerdì fino a notte, stetti con l’animo assai sospeso, vedendo che non comparivano sue lettere, non sapendo a che attribuirmi la causa di quel silenzio. Quando poi le ricevei, e che intesi che monsignor Arcivescovo era stato consapevole della mia goffaggine non potei non arrossire, se bene dall’altra banda ho caro d’aver dato a V. S. materia di ridere e rallegrarsi, ché per questo molte volte gli scrivo delle scioccherie.
Ho consolata la madre Vinta con la sicura nuova che V. S. da del suo nipote, e quando ella intese il particolare soggiunto dal medesimo magnifico Signore circa l’aver della carità, si risentì gagliardamente dicendo, che non solamente il signor Emilio, ma l’istessa Elisabetta sua madre non la ricordano mai, e ch’ella crede ch’essi si persuadino che sia morta: eppure se sia bisognosa V. S. lo sa, stando ella quasi del continuo in letto malata.
Ebbi le bisaccie con tutte le robe che V. S. scriveva di mandare: dell’uova bufaline ne ho fatto parte alle amiche e al signor Rondinelli; il zafferano è bonissimo e più che abbastanza per le pillole, per le quali ho corretto intorno a 4 o 5 once di aloé, che dovrà essere assai buono avendovi io tornato sopra sette volte il sugo di rosa. La prima volta che torno a scrivere, che procurerò che sia avanti martedì, li manderò della pasta che voglio far di nuovo oggi o domani, se il dolore di testa e di denti, che provo di presente, si mitigherà alquanto, che per questo lascio di scrivere, e seguo di tenerla raccomandata al Signore Iddio il quale sia quello che gli conceda vera consolazione.
figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.