< Lettere d'una viaggiatrice
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Dans Venise la rouge Mein liebe Tirol

A VERONA

Verona, agosto...


Avete mai udito dire, amica carissima, nel romanzo o nella vita, che due innamorati sieno andati in pellegrinaggio a Verona?

Avete mai ascoltato, da una bocca stanca di vivere, ma non stanca di amare, da un cuore ardente e triste, come sono tutti quelli che hanno troppo amato e che non vogliono finire di amare, che egli o un’altro sia partito, da paesi lontani, in pellegrinaggio di passione, per visitare la tomba di Giulietta, la Grande Innamorata? Credo di no.

Io non ho mai raccolto una simile confessione nè dai libri nè dall’esistenza. Gli amanti, sieno essi all’alba della loro istoria d’amore,
in una soavità piena di fremiti esaltanti o nell’avvampante tramonto che inebria, per l’ultima volta, prima che la notte arrivi, si avviano verso Firenze, se il loro sogno li circonda di poesia dell’arte, si avviano verso Venezia, se le loro visioni domandino la beltà del silenzio profondo: ma non vanno a Verona, a cercare le tracce della vita e della morte di coloro che conobbero solo l’amore, in ogni sua dolcezza e in ogni sua amarezza. Eppure, quale istoria, mai, è più storia d’amore che quella di Romeo e Giulietta? Quale dramma di amore è più semplice e più toccante? Quale tragedia è più alta e più cruenta? Giulietta ha quindici anni e, forse, Romeo ne ha venti, o meno di venti: la giovinezza più fresca e più rorida, la giovinezza di due fiori di vita! Giulietta vede un solo istante Romeo e lo ama subito, quasi fulmineamente: e subito proclama il suo amore: «se egli è maritato, o nutrice, un lenzuolo funebre sarà la mia veste nuziale...» e ambedue, dal primo minuto, si appartengono e non sanno più nulla, e sono ciechi e sordi, e invano il tempo e le cose girano, intorno ad essi, invano fervono le ire di parte e scorre il sangue, essi vanno, vanno, chiusi nella loro ebbrezza divina, vanno, coi loro piedi verso la morte, poiché l’amore è più forte di essa! Leggeste mai, in nessun poema, di nessuna lingua, un dialogo di amore come quello del balcone, nella notte, fra Giulietta e Romeo? Dove è mai quel giardino? Dove è mai quel balcone, a cui Romeo si arrampicò, per cader fra le braccia di Giulietta? Ramentate la parola suprema: «amore mio, odi quel canto? È l’allodola, è l’alba, io debbo partire, Giulietta! — No, amore, non è l’allodola, è l’usignuolo: resta ancora...»

O amanti, amanti che non sapete nulla, perchè mai non ve ne andate, insieme, con le mani intrecciate, presi dal vostro tacito e possente delirio, trascinati dal più gentile e pio desiderio, per le vie di Verona, cercando il giardino di Giulietta e il balcone di pietra per cui salì alla felicità il bellissimo Romeo? Perchè non mettete questa magia dei ricordi amorosi, questo augurio di passione nel vostro delirio? Che fate voi per il mondo, a Parigi, a Londra, a Roma? Andate a Verona e cercate le rose che adornarono l’orto dei Capuleti e tendete l’orecchio, se tra i boschetti il canto che si ode, sia quello dell’usignuolo o dell’allodola!



La tomba della leggiadra e fatale veronese, è in un angolo remoto della simpatica e forte Verona, che sorge superba e gaia sul suo vivido fiume. Ogni cocchiere ne conosce la via, di questa tomba di Giulietta e vi conduce divotamente a un portone, ove una buona donna che vi apre, prende i cinquanta centesimi d’entrata, mite obolo, invero, per avere un’impressione sentimentale la cui eco, forse, può commuovere il vostro spirito. Vi è ancora un cancelletto e, infine, in un cortiletto coperto, sorretto graziosamente da colonne, l’urna funeraria vi appare. In fondo di sotto l’arco elegante, si vede il verde pallido di un salice piangente che si inclina, fra gli arbusti e una parete coperta di ellera. Ai due lati dell’antico cortile sono anche due poggiuoli di pietra, per sedere. Tutto è muto, tranquillo, in una pace che pari duri da secoli e il salice pare che vi fiorisca, vi sparisca e vi rifiorisca, da una infinità incalcolabile di tempo. Voi vi sedete sul poggiuolo: e, taciturno, sentite germogliare sul vostro scetticismo, sul gelo del cuor vostro, la speranza, che tutto non sia morto nel mondo e che l’amore vi viva.

Guardate quest’urna mortuaria: non solamente la sua pietra è disseminata di motti, di frasi, di nomi, di date, fittissime, le une nelle altre, alcune antichissime, cancellate dal tempo, altre di ieri, forse, ma tutta la sua cavità è zeppa di carte da visita e fra le carte da visita vi sono mazzolini di fiori secchi, alcuni aridi come la paglia, con un filo scolorito di seta che li lega, altri quasi inceneriti, che nessuno osa toccare, perchè cadrebbero in polvere. Sulle pareti, intorno, del cortiletto coperto, è una ressa di iscrizioni, di versi, di esclamazioni, sottolineate, firmate, da tutte le direzioni salienti, sovra sovra, e sulle stesse pareti pendono coroncine di fiori che furon freschi, anni sono e che ora sono dei cadaveri di coroncine, poveri piccoli cadaveri di fiori, omaggio d’ignoto alla Grande Innamorata. Chi dirà mai che sono quei nomi, sulle mura, sulla pietra della tomba, sulle carte da visita? Chi li può ricordare? Sono di tutte le parti del mondo: sono di tutti i tempi: è una umanità sconosciuta, ma che ha vissuto, che è vivente, forse: è un torrente che è passato, di qui, per anni e che ha lasciato le sue tracce, un nome, una data, un motto, e via, via, lontano, per chi sà dove! E forse molti di essi vennero in Verona per caso e solo la consuetudine di tutto visitare in viaggio, li condusse alla tomba di Giulietta: e, forse, per molti di essi, la divina istoria di William Shakespeare era ignota o mai nota e, forse, solo pochissimi, o qualcuno, venne quì, espressamente, a salutare la dimora estrema della fanciulla di Verona. Ma tutti, viaggiatori lenti e frettolosi, touristi o uomini di affari, gente di passaggio dall’Austria in Italia, in ricerca di clima più temperato, in passaggio dall’Italia in Austria alla ricerca di paesaggi diversi e di diverse civiltà, tutti quanti sentirono in questo silenzioso e vetusto cortile, fra queste pietre antiche, fra questi alberi tristi e solinghi, sentirono la parola dell’amore scuotere il loro cuore freddo, i loro sensi dormienti, la loro fantasia inaridita. La mia mano non osa toccare il cumulo alto delle carte da visite e solo i miei occhi si curvano, per leggere un nome, una cifra: i fiori gittati, fra le carte, chi oserà mai toccarli? Vengono da mani di donne, forse, o di giovinetti di creature che il dolore maturò più che gli anni: sono fiori dati da una speranza, da un rimpianto, da un inconsolabile rammarico. Chi mai li smuoverà, in loro espression di tenerezza, di pietà, di lagrime segrete? Uno di essi, forse, fu portato da una donna, da un uomo, forse i soli, forse gli unici che vennero apposta, qui, per inginocchiarsi ove Romeo cercò di rianimare la dormiente e per lui morta Giulietta: e questo mazzolino è il più sacro di tutti e noi non sappiamo quale esso sia, noi non sappiamo nulla, salvo che vi sono ancora degli innamorati, nell’universo, salvo che vi sono ancora dei cuori che hanno amato e che non possono dimenticare, salvo che malgrado l’età, la tristezza delle delusioni, la fine di ogni fiducia, il rallentamento di ogni energia, innanzi al segreto immortale dell’esistenza, ogni anima si china, quasi obbedendo a una voce interiore, salvo che noi abbiamo torto, disperando dell’amore e dubitando degli amanti. Chiunque venne, qui, portò con sè il suo mistero amoroso: e l’aer quieto ne è carico: e la nostra anima si piega sotto tale fluido nascosto e intenso.



E probabilmente questa non è la tomba di Giulietta: anzi archeologi e storici lo negano, con la forza di argomenti. Che importa a noi? Che importa, ciò, ai suoi visitatori? Forse che la sublime e pietosa istoria narrata con impeto di passione, dal più grande creatore di uomini, dopo Iddio, non si è svolta, in Verona, in queste vie larghe o anguste che noi percorriamo, indugiando e sognando? Forse che da uno di questi palazzi non è escito, in ora notturna, Romeo, per ronzare intorno alla casa della sua amata? Forse che uno di questi giardini non è quello? Forse che da una di queste porte non è escita, una mattina, Giulietta, per cercare il suo confessore e la sua morte? Forse che una di queste tombe, nel vecchio cimitero o nel nuovo, o in un cimitero scomparso di Verona, non è quella di Giulietta? Che importa, se sia quella, poichè una è, qui, in Verona? La tenera pietà dei veronesi, circondò di alberi e di fiori quella che è creduta l’urna funebre di Giulietta: la pietà e la emozione dei visitatori la colma di ricordi bizzarri, e di testimonianze strane. Varii scrittori di cose religiose, stabiliscono in punti differenti e lontani, il Calvario, a Gerusalemme: e ciò è indifferente al cuore del cristiano, che vi va in pellegrinaggio: il cristiano sa che in Sionne, sovra un colle, in un giorno livido e tempestoso, il Suo Signore morì: gli basta ciò. Le forme della vita, mutano; non la sua essenza. Sta che Gesù perì, perchè noi fossimo salvi: e basta a noi entrare in Gerusalemme, per sentire l’alta emozione. Sta che la più poetica, la più ardente, la più ammirabile martire di amore, Giulietta, qui visse, amò e morì: tutto il resto è silenzio.

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