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L’OMBRA.
Cap Martin, fine di marzo...
La villa che l’imperatrice Eugenia abita da gennaio ad aprile, ogni anno, al Cap Martin, porta il nome di Cyrnos, il nome greco che equivale a Corsica, il nome di quella Corsica, natia, dove la forte e tragica razza dei Bonaparte ebbe il suo nido di aquile vittoriose. Questo Cap Martin è un gran promontorio verde, che si avanza sopra un mare così intensamente glauco, da imprimervi negli occhi una visione giammai più glauca: si avanza fra Mentone, che è la prima piccola città francese, dopo il confine, fra Mentone, soggiorno di malinconici, di malati, di spossati, di convalescenti e la graziosa Roquebrune, dove già freme e vibral’aria gioconda, eccitante, della roccia elegante che si chiama Montecarlo. Ma il paesaggio del Cap Martin non ancora invaso da inglesi, da russi, da americani, non ancora inondato da quella folla cosmopolita, che ondeggia da Mentone a Cannes, non rassomiglia ai paesaggi di Nizza, di Beaulieu, di Montecarlo, di Cannes, dove la insigne bellezza naturale, ha avuto un uniforme correzione dalla mano dell’uomo che l’ha disseminata di quelle tali ville, di quei tali alberghi, di quei tali giardini, di quei tali parchi, di quei tali fiori, belli, sì, odorosi, incantevoli, ma rassomigliantisi un po’ troppo fra loro. Il paesaggio del Cap Martin è ampio, è solingo, è selvatico, e il suo deserto, il suo silenzio di voci umane, ne aumentano la bellezza e la grandezza austera. Un grande bosco di pini odoriferi, si estende, dalla collina al mare: una via non breve conduce a Mentone, coloro che vi vengono a fare un’escursione tranquilla e pensosa: e, ogni tanto, agli occhi del muto visitatore, si apre un orizzonte di grande beltà, fra il cielo e il mare. Paesaggio, questo, che può piacere profondamente a un’anima solitaria che ha invocato sovra sè la pace suprema della vita, la quale la conduca alla pace suprema della morte: paesaggio grandioso e solenne quando le violette, le livide, le fredde ombre crepuscolari lo hanno avvolto. Qui, un giorno, anni sono, venne a fare una lunga passeggiata in carrozza, in cerca di solitudine e di silenzio, da Sanremo, la imperatrice Eugenia: e quando ella si trovò nel miglior punto del Cap Martin, fra il mare e il cielo, quando vide intorno a sè una natura semplice e ancora sottratta alla folla, quando pensò poter vivere colà, ogni anno, qualche mese, al cospetto delle due grandezze che potessero intendere e cullare la sua immortale tristezza, decise di avere una casa, una villa, al Cap Martin, dove svernare senza mescolarsi al turbine nizzardo, al turbine di Montecarlo, alla processione dei Re, di Cannes... E la villa Cyrnos è sorta, non molto grande, ma bella, ma di linee nobili, ma simpaticamente collocata, dove è più profondamente attraente il paesaggio, fra la quiete che nulla turba, nel gran bosco odoroso, fra la fragranza acuta e vivificante dei mare...
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Colà, io ho visto più da presso colei che fu fulgida di beltà, di grazia, di possanza, sovra il maggior trono di Europa, colei che toccò l’apice della gioia umana come donna, come sposa, come madre, come imperatrice, e che vide sparire tanta la luce della sua vita, così, sotto un uragano di dolore. Ora, da quasi quarant’ anni, ella è entrata nell’ombra: e ombra ha voluto essere ella stessa, nelle immutabili vesti nere, nel suo costante raccoglimento, nei suoi lunghi viaggi, compiuti, senza pompa, senza rumore, nel più perfetto incognito, nelle sue dimore in paesi lontani, in angoli ignorati, e pieni della poesia del silenzio. Ombra... mentre nel pallido volto, dove la tristezza ha messa la sua sede augusta e ineluttabile, quasi quasi l’occhio rintraccia le linee della antica bellezza, mentre nel corpo che la vecchiaia ancora non vince, la memoria ricerca la bellissima curva delle spalle e la grazia di ogni movenza, negli occhi si scorge, come l’eterno velo della malinconia irrimediabile abbia appannato e smorzato questa singolare esistenza di donna e di sovrana.
Ah, ella è dolce, in ogni sua parola, in ogni suo atto, come fu dolce un tempo, quando attraversava, nelle vesti bianche e lievi i saloni delle Tuileries e i bei capelli inanellati le cingevano la testa: ma non ha ella toccato il culmine di ogni tristezza, avendo tutto perduto e Dio avendole voluto conservare la vita??...
Grande ombra, in vero, questa sovrana che porta in sè, malgrado la sventura, malgrado la vedovanza, l’impronta incancellabile della maestà; grande ombra, che passa nel mondo tutta chiusa nelle memorie, tutta assorta nel ricordo di ciò che fu ogni sua delizia grande; ombra, che il dolore massimo ha purificato nelle più belle altitudini morali. In un salone di villa Cyrnos, vi è un grande ritratto del Principe Imperiale, del bel giovanotto florido, vivace, con l’aria di bontà e di tenerezza giovanile, che albergava sulla bianca fronte: e gli occhi della madre vi si posano, velati sempre da un pensiero, da un ricordo, poichè ella fu fiera e gloriosa di questo figlio e la vita di lui dev’essere stato il periodo più soave e più amoroso della sua esistenza. Non andò, ella, forse, nello Zululand, questa povera madre dolorosa, non andò nel posto selvaggio e inospite, dove il suo bel figliuolo era morto, un anno dopo, non percorse forse coi suoi piedi, tutto il terreno d’Africa dove suo figlio era caduto, e interrogò quegl’indigeni e seppe da essi come egli aveva combattuto, valorosamente prima di perire, trafitto, in battaglia??...
Ora, il ritratto filiale sorride, dal suo quadro, all’ombra materna che lo guarda, che lo guarda con immutata tenerezza, benedicendolo nella vita e nella morte, sulla terra dove sparvero le orme dei suoi passi, e nel cielo dei prodi, dei puri, dove è Chi ha saputo vivere nobilmente anche una breve vita.
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In questo anno a villa Cyrnos erano con la imperatrice Eugenia il suo segretario, signor Franceschini Pietri e una sua dama di compagnia. Ma, anche, ella aveva qualche ospite: la graziosa e intellettuale duchessa di Mouchy, sua nepote: il conte Giuseppe Primoli, suo nepote, figliuolo della principessa Carolina Bonaparte, l’ambasciatore delle lettere francesi in Italia e delle lettere italiane in Francia, come il conte Primoli è chiamato.
La imperatrice Eugenia, soffriva un poco: ma già l’aria balsamica del Cap Martin faceva migliorare la sua salute ed ella potea vivere coi suoi ospiti, conversare con loro, ascoltare la lettura dei giornali francesi dove, appunto in quei giorni il visconte Melchior De Voguè, che non è punto un imperialista, aveva, solennemente, innanzi all’Accademia Francese, innanzi a Felix Faure, presidente della Repubblica, innanzi ad Hanotaux, fatto l’elogio dell’ arte e della poesia, sotto il Secondo Impero: e quella lettura facea aleggiare un lieve sorriso sulla bocca della imperatrice. Poi, una bella e lieta giovane venne a farle visita: era la principessa di Galles, quella principessa May di cui è così tenera la leggenda, quella cara creatura che, un giorno, sarà Regina d’Inghilterra: cara, snella, poetica figura di donna che rallegrò così giovenilmente l’ambiente, e a cui il conte Primoli fece, in quel giorno, tante fotografie una più bella dell’altra, in quel quadro così bello del Cap Martin, in quel giardino meraviglioso, di villa Cyrnos! Tutte le principesse della casa d’Inghilterra, come laggiù, nel loro paese, ad esempio della loro grande ava, la Regina, quando villeggiava a Riviera Palace, a Cimiez, vengono spesso a trovare cordialmente la imperatrice Eugenia, ed ella sente, ancora, il calore di quel sentimento affettuoso, riscaldarle il cuore. La vita è semplice, al Cap Martin, intorno alla discendente di S. Domenico de Guzman, all’ ardente spagnuola cui la vivacità fu temperata dalla grazia francese: qualche passeggiata, qualche lettura, qualche visita, un po’ di circolo intimo, tutto quanto può ancora consolare l’anima di una grande sconsolata che ha, però, pacificata per sempre la sua vita. Ella tornerà in Inghilterra, in maggio, la imperatrice Eugenia: e traverserà, col nome della contessa di Pierrefonds, la Francia dove ella può andare, poiché sono esiliati solo i pretendenti, Vittorio Napoleone e il duca d’Orleans, la Francia che ha obbliato o voluto obbliare, anch’essa, la Francia, cioè Parigi, dove Eugenia passa ma non resta molto. Più tardi, chi sa, in novembre, in dicembre, ella andrà in Egitto, al Cairo, sul Nilo, in India, cercando il fiato caldo e secco di quei roventi paesi, cercando la poesia di quelle regioni d’Oriente ove le anime alte si compiacciono di pensare e di sentire. L’ombra augusta, dove entrò il dolore, per mettervi la sua sede, silenziosamente seguiterà ad attraversare il mondo, nulla più chiedendo alla vita se non la calma, se non una ultima, estrema, immortale speranza.