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Viaggio a Cosmopoli - Francesco Paolo Tosti Viaggio a Cosmopoli - Il denaro

MONTECARLO

Nizza, marzo....


Colui che è già stato, qui, non si stupirà che le lettere da Montecarlo si datino da Nizza: colui che ancora non potette procurare al suo spirito e ai suoi sensi, la delizia di una dimora primaverile in questi paesi dell’incanto, sappia che trentatre minuti di ferrovia dividono Nizza da Montecarlo; che partono da Nizza venticinque treni al giorno, per Montecarlo, e altri venticinque ne ritornano; che questi treni, salvo quelli che procedono per la Francia o per l’Italia, sono fatti solo di prime e di seconde classi; che alcuni di essi, quelli della mattina, quando, alle undici, si apre il palazzo del giuoco, a Montecarlo, sono solamente dei saloni di prima classe in cui si chiacchiera, si circola, si ride, si discute, ahimè, sulle vincite e sulle perdite, e quelli della sera, dalle cinque pomeridiane, sino a mezzanotte, egualmente; che questi treni raccolgono tutti coloro che dimorano sulla costiera, da Saint Raphael a Mentone, da Cannes a Beaulieu, da Nizza a Villafranca, e che, quindi’ bastano appena, questi cinquanta treni, in andata e in ritorno, per portare e riportare tutti coloro che, per i nove decimi, vanno a giuocare a Montecarlo, mentre l’altro decimo che si reca colà, per altre ragioni, per semplice svago, perchè vi ha un convegno, perchè vuole vedere, niente altro, finisce per giuocare anche esso.

Non è neanche necessità di consultare l’orario: si scende alla stazione, e se si è perduto il treno delle cinque e quaranta, si prende quello delle sei e quindici. Ci si arriva sempre, sempre a tempo, a Montecarlo, perchè la Fortuna vi sorrida o vi volti le spalle, secondo le giornate, secondo l’amore, secondo l’ora e secondo il vicino che vi è antipatico o la vicina che è noiosa. Tutte le vie sono così piane, così facili, così aperte ai più stanchi, ai più vecchi, ai più malati, tutto l’organismo è così ammirabilmente combinato, perchè voi ci andiate, in qualunque minuto ve ne venga il desiderio, perchè voi ci restiate tutte le ore che volete, perchè nessun ostacolo vi si opponga, perchè nessun fastidio vi disturbi. Da Nizza a Montecarlo, lungo il mare, vi è anche una via carrozzabile, che è una delle più belle vie del mondo, come paesaggio: non una via, ma il viale di un grande parco da cui, ogni giorno, giardinieri tolgono fino l’ultima pietruzza, un viale che rasenta le ville magnifiche, dalle balaustre di marmo bianco, le balaustre italiane, adorne del roseo e delicato fiore del geranio, e che, dal lato del mare, ha una ringhiera di ferro, come lungo una terrazza che durasse molti chilometri: una via che si percorre in carrozza, in un’ora e un quarto, ma che vi fa vedere, assai meglio che in treno, la grazia di queste linee, di questi colori.. Quanti phaetons, quante victorie, quanti breaks su questa via, e quante biciclette che filano come il vento, e quante e quante, troppe, massicce e ineleganti automobili sbuffanti e rombanti, nell’aria odorosa di violette e di mare! Non vi è, quindi, bisogno di abitar proprio Montecarlo, dove i trenta, i cinquanta hótels hanno una popolazione curiosa, di grandi dame straniere, giuocatrici accanite, dalla passione ineluttabile, confessata e preclara, di grandi artiste che cantano al magnifico teatro del Casino di Montecarlo, di demi-mondaines che debbono colà cambiare di vestito tre volte al giorno, e, fra queste tre volte, vanno al Casino a giuocare il proprio danaro o quello degli altri, e giocano, quasi sempre, sino all’ultima loro lira; e di un mondo maschile esotico, singolare, foltissimo, che vi gravita intorno. Costoro, chiaramente, lealmente, abitano Montecarlo, negli alberghi, intorno al palazzo del giuoco, non volendo, non amando aspettar treni, perdere trentatre minuti, tornare a Nizza o altrove, di sera, di notte. Ma i giuocatori chics, i giuocatori pudichi, i giuocatori timidi, tutti quelli che nascondono con più o meno abilità il loro segreto delirio, i giuocatori di occasione, di distrazione, di disimpegno, vale a dire quelli che giuocano senza dare nessuna importanza né al giuoco, né al danaro, i primi e i secondi, tutti, non abitano a Montecarlo, ed hanno sempre l’aria di andare in gita, in escursione, in visita, in qualche paesello vicino, e, spesso, fingono di prendere un biglietto per un altro paese. E nei treni, andando, venendo, fra quel discorrere sommesso e gentile che è la nota costante, trapelano le frasi sacre: Couleur passe...; quatre premier s, s’il vous plait...; huit-onze, à cheval...’, dix louis, en plein....


Sovra un’alta roccia, dirimpetto a Monaco, legato a Monaco dal porto e dalla piccola Condamine, alto, biancheggia e verdeggia Montecarlo con le sue sontuose bianche terrazze, che guardano il mare, che guardano la via ferrata donde, ogni venti minuti, fiotti umani di persone discendono. E anche, per ascendere questa roccia, dove fiammeggiano, nella notte, il Casino e gli alberghi e i restaurants, fra i giardini, le aiuole e i boschetti, tutto è così dolce, così soave! Un ascensore è attaccato alla stazione ferroviaria, capace di quaranta persone alla volta, e sale e scende ogni cinque minuti, con venticinque centesimi di spesa, deponendovi quasi alla porta del Casino; una grande rampa sterrata può essere percorsa da pedoni, e da automobili, e le carrozze vi aspettano, lungo i cespugli delle rose e dei mughetti, sotto i palmizi e gli eucalitti foltissimi: fra le aiuole e le siepi di agavi americane, una terza via, di scalinate brevi, in marmi, proprio le scalinate di un parco ricchissimo, conduce sempre alla porta del Casino, sul grande piazzale fiorito di anemoni, di cinerarie e di rose, e fiancheggiato dalla veranda dell’Hotel de Paris, chiuso, da una parte del grande Café de Paris, dove scintilla, nella notte, l’attraente parola soupers. E sul peristilio di marmo del Casino, è un salire, un discendere di uomini, di donne, di coppie, di famiglie, di cóteries, di gruppi muliebri: è un giungere, un fermarsi, un decidersi subito, per chi entra: un andarsene lentamente, dopo qualche minuto d’indecisione, per chi parte. Lo chasseur fischia, una carrozza accorre, un automobile descrive una curva, la gente è via: chi entra, appena si ferma, un poco, con chi esce, con un saluto, con una parola, discreta: j’ai gagne.... j’ai perdu.... ça va mieiux...je suis nettoyé!

Per i nuovi, bisogna che, per entrare al Casino, abbiano un biglietto di entrata. Oh, non costa troppo! Non costa che un fastidio: si entra in un ufficio chiamato Commissariat, dove tre o quattro segretarii, dall’aria gentile e muta scrivono nel registro il vostro nome, il paese, e Palbergo che abitate, il paese donde venite. A far questo ci vuole un minuto. E queste informazioni brevissime che, poi, servono a un perfettissimo sistema di polizia, che, servono, in caso di grave perdita, in caso di grave vincita, in caso di rimpatrio, in caso di suicidio, sono scritte in un minuto, e la carta di entrata è fatta. Si dice che, in quel minuto, da dietro a un finto armadio, vi facciano una fotografia: ma chi lo sa! Poi, si lascia il paletot, il cappello, la giacca, il bastone, l’ombrello, a uno dei guardaroba che funzionano precisissimamente, non si paga nulla, e si entra nell’hall o sala dei passi perduti, o sala di coloro che hanno troppo guadagnato o troppo perduto, e che sono fuggiti dalla sala da giuoco, a masticare la rabbia o a fumare deliziosamente una sigaretta, in questo hall che sembra l'anticamera del paradiso e dell’inferno. Due o tre parole scambiate, colà, per darsi un convegno, fra un’ora, fra due ore, e le coppie si dividono, le famiglie si lasciano, le cóteries si disperdono, ognuno va da sé, solo, solo, nelle sale da giuoco.

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