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Atto secondo - Scena IV Atto secondo - Scena VI


Fulgenzio

Fulgenzio.
Amor mi ha fatto diventar ebreo. In vero colui che disse che l’uomo adirato era simile alla lucerna, la quale, per soverchia abbondanza d’olio, non luce, ma getta fuori delle fiamme, non errò punto; poich’è tanta la trabbocchevole ira, c’ho nel petto, che da gli occhi e dalla bocca quasi getto fiamme d’ardentissimo fuoco. Disprezzarmi? beffarmi e Orazio e Prudenza con tanto gusto di me ridersi? Tollerarla non posso, non che immaginarmela. Spentosi certo questo amore in me si sarebbe, perché alla fine un giusto sdegno ogni gran fuoco ammorza; ma il gusto che prender dovrò, ingannando chi ingannar altri godeva, fa che, stando con il piede in terra, tocchi con la mano il cielo. E fa in uno ch’io vesta questo abito da ebreo, intento solo (quando altro non sia) a viva forza di goder questa sprezzatrice di me, misero amante. Ma ecco uno ebreo. Sarebbe egli giamai Orazio? O non lo voglia benignissimo Amore! Voglio indisparte osservarlo.
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