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CANTO OTTAVO
Io l’ho visto cader, morir l’ho visto
L’Aquila dei trionfi, il fior dei forti;
Tutto irromper di Teuta il popol misto,
Oppugnar mura, sgominar coorti,
5Sfidar l’umanità, dispregiar Cristo,
I vinti strazíar, gioir sui morti;
Piegar la fronte all’ultime sconfitte
L’inclito sir delle falangi invitte!
O sventura, e fia ver? Caduto in fondo
10Di rea fortuna, che non tien mai fede,
Il gran popol vedrem, che, a niun secondo,
Di Quirino parea l’unico erede?
Colui vedrem, che impallidir fe’ il mondo,
L’armi chinar d’un vincitore al piede?
15Al piè d’un vincitor, deposte in guerra,
L’armi, che già dettâr leggi alla terra?
Ahi! così non solean rieder dal campo
Sotto duce miglior di Francia i figli!
L’afro Leon lo sa, cui nullo scampo
20Fûr l’arse arene, e poca arma li artigli;
L’Istro lo sa, che di lor pugne al vampo,
Abbondò al mare i flutti suoi vermigli;
Lo san le valicate alpi, lo sanno
L’ispido Scita e il mercator Britanno;
25E il sai tu pur, che là su’ fumiganti
Campi di Iena fulminato e fiâcco
L’orgoglio tuo vedesti, e lordi e infranti
Di Torgravia gli allori e di Rosbacco.
Ov’è, Francia, quel brando? Ove quei tanti
30Prodi? È fatto ogni cor molle e vigliacco?
Sol di lingua son prodi i figli tuoi?
Vincer non san, morir non san gli eroi?
Morir volean, tutti morir! Dai colli
Cari alla Mosa, ove Turenna nacque,
35Ruínavano a morte, e facean molli
Di strage i campi, e rosse e gonfie l’acque.
Pallido, in suo dolor chiuso, mirolli
L’imperatore, ed aspettando tacque;
Vide la morte, e con terribil gioia
40Spronò il destriero, ed esclamò: Si muoia!
E s’avventò. Dalle sonanti Ardenne
Lucifero lo vide. Allora a un punto
Di Turenna balzò l’Ombra, e il rattenne,
Gridando: Il dì fatal non è ancor giunto!
45Si volse il duce, il fier caval contenne,
D’ira non men che di stupor compunto,
— E, tu chi sei? sclamò: sotto ai miei sguardi
Cadono i prodi, e non vuo’ giunger tardi.
Lasciami, sgombra: alla battaglia il loco,
50La speme al petto, al dir l’ora già manca;
Mi assegna il fato un breve istante, e poco
Forse è a morir, chè omai la morte è stanca.
Mira: in un cerchio di strage e di foco
Ne serra il vincitor da destra a manca;
55Pria che cedere a lui questa mia spada,
Lascia ch’io pugni, ed imperando io cada! —
— Non è ancor tempo di morir, riprese
L’Ombra, e negli occhi balenò; gagliarda
Mente non ha chi dell’avverse imprese
60Non sostien l’ira, e all’avvenir non guarda.
Uom, che a gloria verace il core intese,
Spregia il fulgor d’una virtù bugiarda;
Cede, non fugge; e innanzi ad empia sorte
Viltà è la fuga, ed è fuga la morte.
65Non io, che la superba alma fiaccai
Nelle mobili dune al fermo Ibero,
Non io, quel dì che il mio destin mirai
Di Marindàl sui piani avverso e nero,
Piansi perduto il mio nome, o spronai
70Negli abissi di morte il mio destriero;
Ma tenni fronte al fato reo; mi accinsi
Ad imprese più belle, attesi e vinsi.
Cedi così. Nè libero, nè solo,
Come al comando, oggi al morir tu sei:
75Di generosi petti inclito stuolo
Pugna ai tuoi fianchi, e tu salvar lo dèi.
Freme la patria tua, che mira al suolo
I figli suoi; questi almen serba a lei;
S’ella ha piagato il cor, la fronte rossa,
80Abbia almen chi per lei combatter possa!
Tu piega e va: la via del trono è chiusa;
Sorge ne l’ira il popol tuo rubello;
Gente vedrai, che lo tuo scettro accusa,
Far tue vendette con l’oprar suo fello:
85Gente, che, al regno e a servitù mal usa,
Predica in piazza, e traffica in bordello;
Sovrani, che saran servi al più destro,
Catoni da polenta, o da capestro! —
Disse, e ridendo un cotal riso altero,
90Sporse le labbra, e ottenebrossi in volto,
E ratto s’involò come il pensiero
Dove il nembo di morte era più folto.
Stette il Duce, ondeggiò, tacito e fiero
Girò lo sguardo, in tetri dubbj avvolto,
95Quando tra l’armi e il fumo e i morti e l’ira
Nuova vision, nuovo portento ei mira.
Cheta pe’l mar d’Atlante irto di scogli
L’isola illustre al suo sguardo apparío,
Splendida del fulgor di mille sogli,
100Riverita sì come ara d’un dio:
Ivi, fiaccati a’ Re l’ire e gli orgogli,
La fortuna posò del suo gran Zio,
Simile al Sol, che dall’eteree tende
In grembo all’oceàn placido scende.
105— Salve, allora esclamò l’alma dubbiosa,
E consolata al ciel la fronte eresse;
Han pur luce i tramonti, e gloriosa
Voce di fama han le catene istesse! —
Tal disse, e alla guaína disdegnosa
110L’acre acciaro con man lenta concesse.
Un’orribile voce allor fu udita:
Reso è l’imperator, Francia è tradita!
— Chi di resa parlò? L’empia parola
Chi proferì? Parola infame è questa!
115Finchè una spada è in pugno, un grido in gola,
E guarda una pupilla, e un’alma è desta,
Finchè un palpito al cor, finchè una sola
Stilla di sangue ed un respir ne resta,
Vil, chi deporre il brando ai prodi indíce,
120Traditor chi il suade, empio chi il dice! —
Così fremeano i generosi. Orrendo
Nella vittoria sua Teuta procede,
E i vinti eroi, che maledían morendo,
Strazia co’l ferro, e calpesta co’l piede.
125Piega intanto il vessil franco, e tremendo
Piega, e fiammeggia, e n’ha stupor chi il vede;
Maestoso avvolgendosi declina,
Qual cometa che volga alla marina.
Al doloroso, inusitato aspetto
130Urlano i vinti; e chi leva le braccia,
Chi rompe il brando, e dal ferito petto
Strappa le bende, e fra’ morti si caccia;
Chi tra gli estinti, su’ gomiti eretto,
Solleva in disdegnoso atto la faccia;
135Chi schernisce il suo duce, e con amara
Voce gli grida: A morir, vile, impara!
Mandò allor la francese aquila un grido
Alto così che ne rimbomba il cielo;
L’ale staccò dallo stendardo infido,
140Le scosse all’aria, e ne fe’ agli occhi un velo.
L’udì il Borusso, e il tríonfato lido
Guardò geloso, e sentì al petto un gelo;
Dall’ardua rupe, ove fremendo stassi,
Lucifero discende, e volge i passi
145Pensieroso colà, dove l’irata
Aquila artigliatrice il vol protende;
Ov’ebbra di vendette e di peccata
La fortuna di Francia alza le tende.
Mille de la fatal Senna all’entrata
150Trova l’Eroe strane chimere orrende,
Sfingi fallaci e sozze furie immani,
Mostri di cento bocche e cento mani.
Vede la Ciarla in pria, gonfia e linguarda
Furia fra quante mai vivono al sole,
155Cui l’Assurdo bríaco e la bugiarda
Fola al mondo lanciâr, turgida prole.
Molta a lei diè l’Error stirpe bastarda
Di mostruose, idropiche figliuole,
Che d’oro ingorde e a chi più paga addette,
160Ebber dal prezzo lor nome gazzette.
Ruzzan queste d’intorno, e son cotante,
Sì varie son di fogge e di favelle,
Di color, di costume e di sembiante,
Che tante voci non udì Babelle:
165Non tante serpi ha in seno Africa, quante
Magagne han sotto a la gajetta pelle;
E ciascuna di lor tanto un dì gracchia,
Quanto un anno non fa corvo o cornacchia.
Gracchiano tutto dì folli, importune.
170Voci e aspetti mutando e usanze e vie,
E al latrar delle vaste epe digiune
Aguzzan gli estri, e ruttan profezie:
Sibille da taverne e da tribune,
Ch’àn di coniglio il cor, l’unghie d’arpie;
175Bolle che di livor gonfie e di ciance
Pensan coi labbri, e senton con le pance.
Or lepide, agghindate, or bieche, incolte
Turban col ghigno o con la rabbia i cori:
Irrequíete, curiose, folte
180Corron, s’urtan le turbe a’ lor clamori.
Sorgono a mille intorno a lor le stolte
Menzogne alate e i pallidi timori
E il cieco ardir, che nell’error gavazza,
E il dubbio inerte, e la discordia pazza.
185Libertà v’è: su l’abborrita reggia
Alza il suo trono, ed al caduto impreca:
Trono di nubi, sopra a cui galleggia,
E in tumide promesse il tempo spreca;
Nebbiosa Dea che, non che senta o veggia,
190Sorda alla legge, ed ai perigli è cieca;
Tremenda Dea, che all’armi a lei funeste
Scudo oppone di frasi e di proteste.
Ciurma sta intorno a lei, che in lei si sfoga,
E di ciarle erudite impregna i venti,
195E onor, giustizia e fin sè stessa affoga
In un mar d’aforismi e d’argomenti:
Aerostati eroi, rabule in toga,
Frontespizj di libri e cavadenti,
Tutti saltati all’imperar supremo
200Qual dal fòro mendace e qual dal remo.
Vince intanto il nemico; e l’armi e l’arte
Usa egualmente, e desta ire e litigi;
Fra’ tríonfi procede, e d’ogni parte
Versasi, e irrompe a circondar Parigi.
205Pugnano ancor, benchè deluse e sparte,
Le franche genti, e son tanti i prodigi,
Che dir non puoi, se sia de’ due maggiore,
Chi pugna e vince, o chi pugnando muore.
Ahi, miracoli vani! E che mai giova
210Disperato valor, cui manchi il forte
Senno, che le falangi ordina, e a prova
Le guida e regge a dominar la sorte?
Già il vincitor superbo di Sadòva
Della reggia di Francia urge alle porte,
215E l’accerchia, e la serra, e con orrenda
Fame di strage intorno a lei si attenda.
Etna così, quando dai fianchi immensi
L’infocata trabocca onda funesta,
E di torride sabbie e zolfi accensi
220I campi opprime, e l’aria accende e infesta,
Al gramo agricoltor, che con intensi
Sguardi spia se il torrente igneo s’arresta,
L’arduo bosco, le fertili contrade,
La dolce vigna, il caro tetto invade.
225Silenzíosa a quell’ardir nefando
Stette Europa e guatò; stetter gl’infidi
Regi, e nullo è di lor che snudi il brando,
E pace imponga, e il dritto invochi, o gridi.
Nè però il cor perdono i Franchi; e quando
230Men lungi è il male, ognun par che più fidi:
Generosa fidanza, eroico inganno,
Che abbaglia i cori, e fa più grave il danno.
Ferve il popol invitto, e mai non resta
Per mutar d’ore o per mancar di giorno,
235Ed armi e ordegni e vettovaglie appresta,
E boschi incide, e spiana campi intorno;
Di su, di giù, da quella parte a questa,
Gente industre che va, che fa ritorno,
E s’ingegna, e s’adopra a far sicuri
240Le contrade, le vie, le case, i muri.
Fra cotanto agitar d’opre e di cose,
E provvidenti gare e zelo austero,
Ad accender vieppiù l’alme vogliose
Il popolar rimbomba inno guerriero:
245Vecchi, infermi, fanciulli e madri e spose,
Forti nell’ira, ardenti in un pensiero,
Confondono a tal suon l’anime e i carmi,
E incoransi alla pugna, e veston l’armi.
E rompendo talor, pari a torrenti,
250Fuor delle mura, a tanto ardor già strette,
Gittansi in mezzo all’avversarie genti,
In cui fan gloríose, ardue vendette.
Ben di mille che uscîr non tornan venti,
E rimangon le madri orbe e solette:
255Paghi son tutti, ove la patria possa
Un riparo innalzar di scheltri e d’ossa.
Quinci fulmina l’oste, e impiaga e uccide,
E fiamme ai tempj, alle magioni avventa;
Quindi fra le macerie alto si asside
260L’orrida Fame, e gli ancor vivi addenta;
Quel che l’uno non può, l’altra conquide;
L’un vince i corpi, e l’altra i cor sgomenta;
Vola intorno la Morte, e in doppia guerra
Le mura oppugna, e i difensori atterra.
265Pur, tra’ morti e le fiamme, e dagli amati
Ruderi, e dai men noti ermi recessi,
Balzan novelli eroi, pugnan coi fati,
E sembran dal valore i fati oppressi:
O che pulluli il suolo armi ed armati,
270O fecondin la vita i morti istessi;
O a difender la patria, integri e forti,
Per miracol d’amor, tornino i morti.
— Salve, o popol di prodi! A sorger primi,
Primi a pugnar, soli a morir voi siete;
275Se avvien che lo straniero oggi vi adimi,
Egli avrà l’onta, e voi la palma avrete;
Voi della storia nei tempj sublimi
Eternamente giovani vivrete,
Splendido esempio ai generosi petti,
280Rampogna ai vili, obbrobrio ai duci inetti.
Rampogna a voi, che con vostr’arte obliqua
L’ire svegliaste del natio paese,
E d’armi impari, in vana guerra iniqua,
Lo abbandonaste alle nemiche offese;
285Obbrobrio a voi, che la temuta, antiqua
Gloria offuscaste dell’onor francese,
Pur che rotta la spada, e infranto e nero
Fosse il vessil dell’abborrito impero!
Matricidi! Alla patria, ai figli suoi,
290Qual frutto mai delle vostr’opre avanza?
Duci, guerrier, francesi, uomini voi?
Voi del suolo natio gloria e speranza?
Capi senza cervel, scimmie d’eroi,
Spugne gravi d’invidia e d’arroganza,
295Vernici di valor gonfie di vento,
Molluschi in campo e tigri in parlamento!
Oh! viva il nome tuo, viva il gagliardo
Tuo braccio e l’alma a tutte prove invitta,
Primo, solo, raggiante astro nizzardo
300Fra tant’ombre d’obbrobrio e di sconfitta!
Dove che fra le genti io giri il guardo,
Nella lor libertà tua gloria è scritta,
Gloria miglior del buon sangue latino,
Cui sollevo il pensiero e il fronte inchino!
305Oh! viva, unico eroe! Di’: quest’altera,
Cui voti il braccio e il grande animo e i figli,
Colei non è, che alla sorgente e fiera
Lupa della Tarpea ruppe li artigli?
Colei che fulminò la tua bandiera,
310E fe’ i campi del tuo sangue vermigli?
Colei non è, che la tua patria inulta
Co’l piè calpesta, e la tua spada insulta?
No’l chiede ei già: d’un gran popolo oppresso
Balenan l’armi e il grido al ciel rimbomba,
315E dal guardato suo scoglio inaccesso
Tremendo ei rompe, e sui nemici piomba;
E vincendo del par gli altri e sè stesso,
Mostra al feroce usurpator la tomba;
Dal trono dell’error sbalza i potenti;
320Dà spada al dritto e libertà alle genti! —
Così dicea l’eroe, quando una strana
Vista mírò. Tratto al macel venía
Uno zoppo asinel, che in voce umana
Tapinavasi invan lungo la via.
325Folta era intorno a lui la disumana
Turba, che il morso del digiun sentía;
E qual dicea ch’alto miracol fosse,
Chi d’insulti il pungea, chi di percosse.
Sordo da tanto urlar, da’ picchi infranto,
330E più dal senso del supplizio atroce,
Il poverel movea simile a un santo,
Che tra fieri Giudei porti la croce.
Con l’orecchie dimesse, in suon di pianto
A intenerir la turba alza la voce,
335E ragli emette or cupi ora argentini,
Ch’àn l’armonia dei versi alessandrini.
L’eroe gli si fe’ presso, e della doppia
Sua bizzarra natura interrogollo;
Quei leva il muso, allunga gli occhi, addoppia
340I sospiri, e fa il greppo, e scote il collo;
E poi che ragli e pianti e voci accoppia,
E di tanto preludio ha il cor satollo,
Digrigna i denti al ciel, gli occhi al ciel fisa,
Batte la coda, e parla in questa guisa:
345— Uomo già fui, nè della plebe: amici
Prima ebbi i fati; ai marziali ardori
Fei campo il petto, ed ai ben posti uffici
Non fûr tardo compenso i dolci allori.
Francia è la patria mia; contro ai nemici
350Guidai gli altri e me stesso ai primi onori,
Fino a quel dì che prigionier si rese
Nei campi di Sedàn l’augel francese.
Mi resi anch’io; ma con arguto ingegno
Ruppi la fede, e il Prusso irto delusi:
355Fuggo, i campi divoro, e qui ne vegno
Per la patria a pugnar; chi vuol mi accusi.
Già s’appressa il nemico, ecco d’indegno,
Feroce assedio i nostri muri ha chiusi;
Io vittoria prometto, oh poco accorto,
360E tornar giuro o vincitore o morto.
Fuor proruppi, e pugnai; ma, com’è vero
Ch’asino or sono, io fui sconfitto e vinto;
Morir tosto pensai, ma in tal pensiero
Tremai, gelai, fui per cadere estinto;
365Quando rinvenni dal terror primiero,
Qui mi trovai d’una rea turba cinto,
Che gridava, insultando al mio dolore:
Ritornar giuro o morto o vincitore!
Allor, gelo in pensarlo, io non so come,
370Tutte raccapricciar le membra sento;
S’alzan lunghe l’orecchie in su le chiome,
E allungàsi la testa, e cresce il mento;
Stendesi su pe’l dorso e per l’addome
Questo cuoio abborrito in un momento;
375Mutansi i piedi in dure zampe, e l’una
E l’altro mano in zoccolo si aduna.
Credo sognar, cerco fuggir, me stesso
Fuggir che ognun, segno d’obbrobrio, addita;
Ma batter sento in suon quadruplo e spesso
380Sul percosso terren l’ugna abborrita.
Sorge il sole, e dinanzi, a fianco, appresso,
L’ombra fatal veggio al mio corpo unita;
Rizzar mi vo’, ma star dritto non vaglio;
Chiedo soccorso, e parlo insieme e raglio. —
385Tacque, e poi che più fiera al novo caso
L’affamata canaglia urla e s’avventa,
Da superbo furor l’animo invaso
— Vil turba, esclama, or le mie carni addenta! —
Nè briciolo di lui saría rimaso,
390Se l’opra del Demonio era più lenta;
Ei la turba contiene, e la captiva
Bestia discioglie, e vuol che soffra e viva.
— Viva, egli dice; e dal suo tristo esempio
Quindi a far senno ogni francese impari;
395Oh! se ogni duce o vile o inetto od empio,
Forma assumer dovesse a costui pari,
Della patria non più traffico e scempio
Farebbero, come or, volpi e somari;
Chè tosto ognun conoscería le vecchie
400Volpi alla coda e gli asini all’orecchie. —
Tuona un grido in quel punto. Il popol forte,
Dall’armi oppresso e dalla fame infranto,
Schiude al superbo vincitor le porte,
Che a quest’infame aspira ultimo vanto.
405Egli entra, ei passa: è suo trofeo la morte,
Letizia sua degl’infelici il pianto;
Piega il ginocchio, e crudelmente pio,
Chiama alle stragi sue complice Iddio.
Fan monti i morti; qui tiepido ondeggia,
410Là s’impaluda nereggiando il sangue;
Qui crolla un tempio, una magion fiammeggia,
Un incendio là sorge, uno qui langue;
Là un ebbro vil, che allo straniero inneggia,
Qui un eroe che ancor pugna, e cade esangue;
415E spezzate armi e sparse membra ed adri
Globi di fumo ed ulular di madri.
Ahi sventura, ahi dolor! Stupido e folle
La polve degli eroi Teuta calpesta;
E sul terren del proprio sangue molle
420La cieca Idra plebea scote la testa;
Drizzasi e fischia, e le non mai satolle
Fauci spalanca, e l’aria intorno infesta;
E su la fossa dei fratelli inulta
La civile Discordia orrida esulta.
425Sorge il vil proletario, e come un’adra
Ambizíon la torta alma gli addenta,
Libertà invoca, e la man ferrea e ladra
Nelle sostanze altrui torbido avventa.
Fa tribune le piazze, ed orna e squadra
430Bieche dottrine, e novo dritto inventa;
E scapigliato, in truce atto di sfida,
Snuda il pugnal, chiama le plebi, e grida:
— Lasciate le servili opre; le glebe
Abbandonate; il profetato giorno
435Giunto è per noi, che come abiette zebe
Digiuni erriamo alle ricchezze intorno!
Vendette abbia e trionfi anche la plebe,
Nè di sua servitù vada altri adorno;
Non più sparga sudor, sangue ed affanni
440A crescer l’onta e ad educar tiranni!
Tale impresa da noi la patria aspetta,
Che le dia ferma in avvenir la sede.
Cada il vile oppressor; cada interdetta
L’aurea fortuna, ond’ei si tien l’erede;
455E, partiti ugualmente i censi avari,
Con noi soffra o s’allieti, e a noi sia pari!
Pari sian tutti a noi! Con legge uguale
Il benefico Sol dispensa a tutti
Il vivifico suo raggio, ed uguale
460Splende, sì come il Sol, l’anima in tutti.
Tal sia la legge e la giustizia! Uguale
A tutti ognuno, e uguale a ognun sian tutti;
Tutti un nome, un pensier, tutti un’insegna:
Il popol Dio, che a Dio somiglia, e regna! —
465Tal parla; e come al boreal flagello
Mugghian negre le nubi, e il mar si sfrena,
All’audaci promesse, al parlar fello
Freme la turba, ed urla, e si scatena:
Dà piglio all’armi; al vero, al giusto, al bello
470Guerra incomincia inesorata e piena:
Quel che all’ira fuggì dell’armi infeste,
Cieca nel suo furor, travolge e investe.
Com’è colui, che d’improvviso ossesso
Da bieca furia de la mente insana,
475La man, vana in altrui, volge in sè stesso,
E le proprie sue carni adugna e sbrana;
Il superbo così popolo oppresso,
Poi che su lo stranier l’ira fu vana,
Ebbro d’odio feroce e di dispetto,
480L’armi ritorce della patria al petto.
E così nella strage infuria, e immerge
Nel delitto così l’anima prava,
Che le macchie del sangue il sangue terge,
E l’uno error l’altro disperde e lava:
485Tutto vorría quanto risplende e s’erge
Spegnere ed adeguar la turba ignava;
E d’ogni mal, d’ogni miseria in fondo
La patria seppellir, la Francia, il mondo.
O dal tempo e dall’armi invíolate
490Moli, d’invidie oggetto e di stupori,
Ove accolser le industri Arti onorate
Tante illustri memorie e tanti allori,
O tempj dell’uman genio, crollate,
Date campo di stragi ai vincitori;
495Già su voi la fraterna ira si sferra:
Titani, eroi, numi dell’arte, a terra.
A terra tutti! Alla sembianza nova
Di libertà, che distruggendo incede,
Tremi dal trono suo Fidia e Canova,
500E s’umilj del gran popol al piede!
Al gran popol la molle arte non giova;
All’oro, al sangue, alle vendette ei crede;
Degna luce per lui, ch’ai numi è pari,
Gl’incendj son, son le rovine altari!
505E tu, colonna imperíal, che altera
Poggi agli astri e co’l piè Francia calpesti,
E di rampogna tacita e severa
Le loquaci dei vivi alme funesti,
Cadi tu pur, bronzea colonna, e fiera
510Su le rovine tue Francia si desti,
Si desti alfin; scoperchi i freddi avelli,
Schiaffeggi i padri, e il nome lor cancelli!
Ecco gli eroi. D’intorno a quel gigante
Trofeo di gloria, per lo piano immenso,
515Vario di cor, di lingua e di sembiante,
Corre, brulica, ondeggia il popol denso.
Già s’apre all’aure il vessil tríonfante
Tinto nel sangue e negl’incendj accenso;
E a tal segno di strage e di vendetta
520S’allieta il volgo, e il fatal crollo aspetta.
Sta superba frattanto e indifferente
La colonna regal, pur come suole,
E del purpureo suo raggio occidente
Tranquillamente la saluta il sole.
525Tranquillo anch’ei sorge il Guerrier possente
Sopra la minacciata inclita mole;
E di ghirlande gloríose onuste
Spandon l’ale tuttor l’aquile auguste.
S’ode un bisbiglio; ecco, all’assalto muovono
530Gli ardui congegni; al ciel stridono; imbianca
Ogni volto; tentenna in su l’aerea
Reggia il Guerrier, piega da destra a manca;
Piega, balena; con fragor terribile,
|
(pag. 148)
Che il cielo assorda, ed ogni cor disfranca,
535Cade, non già, ma su la rea canaglia,
Stanco di più soffrir, scende e si scaglia.
Trema la turba, e come avesse al dorso
Dell’incalzante eroe l’ira e la spada,
Urla fuggendo, e l’ali impenna al corso,
540E l’uno, avvien, che all’altro inciampi e cada.
Frenate, o prodi, alla paura il mòrso;
Volgi la faccia, o terribil masnada:
O Erostrati, o tribuni, o genti indòme,
Non è un uom, che v’insegue, è solo un nome!
545L’uom dei fati è colà: disteso, avvolto
Di negra polve, nel deserto piano
Poco ingombra di terra, e gli occhi e il volto
Vinti ha nel bronzo, e inerte è la sua mano.
T’accosta a lui; vittorioso e folto
550Corri all’insulto, o gran popol sovrano;
E dir possa ciascun, se tanto egli osi:
Sul fronte a Bonaparte il piede io posi!
Soli all’oltraggio non sarete! Esulta
Nei vigilati baluardi altero
555L’oppressor vostro, e voi spregiando, insulta
Alla caduta del fatal Guerriero.
Dalla polve di Iena, ahi, non più inulta,
Balza un popol di scheltri all’aer nero;
E su l’immago dell’eroe nemico
560Poggia l’ombra regal di Federico.
Sorge orgogliosa, e il ciel torbida e grande
Prende co’l capo, e al fosco aer torreggia,
E le rotte al suo piè bronzee ghirlande
Conculca, e dai profondi occhi fiammeggia.
565— Ch’io vi cancelli, esclama, orme esecrande
Della vergogna mia; ch’io più non veggia
Vòlti in trofei, cangiati in monumenti
Questi bronzi rapiti alle mie genti! —
Dicea, quando pe’l ciel rigido e scuro
570Un barlume, un bagliore ampio si stende,
E un piceo fumo, un odor crasso e impuro
Gli occhi travaglia, ed il respiro offende.
Ahi! l’estremo destin dunque è maturo?
Paghe ancora non son le furie orrende?
575Tra le fiamme sepolta e la rovina
Della Senna cadrà l’alma regina?
Ecco, il dì torna. Fuggevole, oscura,
Guardinga agli atti, feroce all’aspetto
Le vie trascorre una strana figura,
580Cinta il crin sozzo d’un frigio berretto.
Muta, veloce rasenta le mura;
La destra invola furtiva nel petto;
Ghignando spía la strada romita,
Fermasi, apprende la fiamma, è sparita.
585Ma dietro ai suoi passi, trascorsa appena,
Un suono scoppia di grida e di pianto;
Fra dense nubi l’incendio balena,
Stride, si spande da questo a quel canto;
Essa alla danza gli stinchi dimena,
590Cionca co’l lurido suo drudo intanto,
Con pazzo volto, con gioia feroce,
Salta, e lingueggia con stridula voce.
Vide le fiamme e l’ultimo periglio
Lucifero e l’estreme ire e il gran lutto,
595E, lo sdegno nel petto e il pianto al ciglio,
Fuor dei lidi infelici erasi addutto.
Qual uom che muova a volontario esiglio
Da lacrimosi disinganni istrutto,
Tal ei si parte, e la diletta e grama
600Terra saluta, e dolorando esclama:
— Dove ti cercherò, se qui non sei,
O intemerata e splendida
Reggia dei sogni miei?
Luminosa Ragion ch’ardi e ravvivi
605Ogni terrena cosa,
Se qui non regni, in qual region tu vivi?
Pur io dall’abborrite ombre ho veduta
La maestà dei tuoi passi e la luce,
Che dai vigili, acuti occhi tu spandi
610Sovra il mar dei destini; io l’amorosa
Voce ascoltai, che l’anime riduce
Agli amplessi del Vero, io la solenne
Voce di libertà, che a voli arditi
Del pensiero dell’uom sferra le penne.
615Di tenebrosi troni e di ferrati
Gioghi e di fronti umilíate e vili
Lieta non vai, bella non vai di fiori,
Che di pallidi servi il pianto edùca;
Nè tuo serto è il terror. Vigile e ferma
620Tu nell’anime ti assidi, e i lor destini
Previdente governi. Ardon nei tuoi
Limpidissimi sguardi
Quante spemi ha il futuro, e quanti ha raggi
L’onnipossente libertà, ch’è dono
625Tuo primo e non caduca
Gloria di umani e tua miglior parola.
Tu di sensi gagliardi
Migliorando l’età, nutri le menti,
E sè stesse a sè stesse insegni e sveli,
630Perchè libere alfin corran le genti
Alla vittoria di più fidi cieli.
È sogno il mio? M’illude,
Vòto fantasma, il desiderio, e fingo
Larve di spirto ignude?
635Dai ciechi abissi invano
A combatter con Dio l’ultima pugna
Sorse il mio spirto? Ombra incompresa, ignota
Correrò questi lidi, infin ch’io piombi,
Fulminato Titano,
640A divorar nell’ombre il mio dolore?
Nell’ombre io tornerò? Quest’infinita
Luce, onde il cor si pasce,
Questo perpetuo fluttuar di cose,
Quest’impeto di vita
645Non son mio regno e vita mia? Non sono
Consorti mie le mobili
Stirpi, cui la vital morte rinnova,
Come opportuna piova,
Ch’apre la terra, e svolge
650La ritrosa virtù del germe inerte?
E tu, tu che le incerte
Nubi diradi, ed ogni ben riveli,
Santa Ragion, tu indarno
Entro al petto dell’uom fondi il tuo trono?
655O forse ai regni tuoi,
Diva maggior, presiede
La tiranna Natura,
O sconsigliato e inutile
Poter, che nelle ignare anime hai sede,
660Fuor che altere lusinghe, altro non puoi?
Che dissi? Il dubbio indegno
Sperdano i venti, e il mar vorace inghiotta!
Qui sei, qui regni; io sento,
Unica dea, la tua presenza in questa
665Splendida reggia degli umani affanni.
La terra è tua; su’ simulacri infranti
Di sbugiardati iddii sorge la possa
Dei regni tuoi: da probe anime còlte
Son le tue leggi indeprecate, e santi
670Di perenni olocausti ardon gli altari,
Cui cementan co’l sangue i figli tuoi!
O generosi, o cari
Apostoli, o gagliarde ostie ed eroi,
Voi non cadeste indarno! Ecco, su queste
675Ingombrate di stragi inclite rive
La nova alba diffondesi
D’una feconda Idea; spiran le meste
Genti educate dal dolor le vive
Aure di libertà; vigili e pronte,
680Di fieri casi esperte,
Al sorriso del Vero ergon la fronte:
E dal sangue fraterno, onde coverte
Son queste piagge illustri,
Coronata di lauri e di baleni
685Tu balzi, o dea; chiami la Pace, e vieni!