Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Canto terzo | Canto quinto | ► |
CANTO QUARTO
Concitato così le spalle tòrse
Alla scitica rupe, e dentro al petto,
Siccome vena di sboccanti lave,
Giovane e forte gli bollía la vita.
5Solo e pensoso ei va, come solinga
Per gli spazj del ciel tacita nube,
Nè gli cal se la bianca alba gli rida,
Nè se il Sol lo saetti, o lo ravvolga
L’ombra notturna, o lo flagelli il nembo;
10Perocchè diva è la sua tempra, e nulla
Di mortale ei non ha fuor che l’aspetto.
Solo e pensoso ei va: monti e dirupi
E foreste e deserti indifferente
Lasciasi a tergo, e par nave, che muta
15Solchi le tenebrose onde sospinta
Da prosperi aquiloni. Il flutto varca
Dello spumante, ingiuríoso Arasse;
Trascorre il suol ov’ebber regno e fama
Le Amazzoni omicide; le spelonche
20Orride mira e le ferrate valli
Dei Cálibi feroci; e dei cotanti
Popolati di fiabe incliti lochi
O si scorda, o non cura, ovver sorride.
Ma di te si sovvenne, in su la sponda
25Del propontide stretto, Ero infelice;
E il mar querulo ancor di tanto lutto
Ricercando con gli occhi e le nascenti
Per l’azzurro del ciel candide stelle:
— Ecco il talamo vostro, ecco le faci
30Del vostro imene, o giovanetti, ei disse:
Ecco l’amore, ecco la morte! Eterno
Mormora, o mar, l’inno di nozze; eterno
Mormora, o mar, l’inno di morte! Il mondo
Due tesori ha nel sen, l’alma ha due voli,
35Due fior la vita, ed ogni cor due stelle!
Mormora eterno, o mar, l’inno di nozze;
Mormora, o mar, l’inno di morte! Un bacio
Ed un sospiro; un talamo e una fossa;
Un sogno e un sonno; un inno ed un addio!
40Oh l’amore, oh la morte! —
In tali avvolto
Meste e leggiadre fantasie d’amore
Giunt’era al lido; e i ricercati, ardenti
Per tanto flutto verginali amplessi
E la pronuba face e il fato estremo
45Invidíando al garzoncel d’Abido,
Sentì quasi pietà d’essere solo.
Mentre ei vaga così di terra in terra,
E amor solo il comanda, ad altre piagge
Volano i canti miei: su le ridenti
50Piagge di Tempe, asil di giovanette
Ninfe, amanti di rose e di garzoni.
Come canestro di spontanei fiori,
Nel tessalo giardin Tempe verdeggia,
Tempe, amena contrada, a cui diêr grido,
55Quando Grecia fioría, Numi e poeti.
Coronata di selva, entro ad opaca
Valle per ben chiomati olmi canora
E per canto d’augelli e suon di rivi,
Tra Larissa e l’Egèo molle dechina.
60E, quai Titani, a lei stanno d’intorno
Ossa, Pelia ed Olimpo, immani e illustri
Gioghi di monti, dalle cui pendici,
Qual víolento iddio, sgorga e prorompe
Fragoroso il Penèo. Fama è, che quivi,
65Quando più torve lo mordean l’Erinni,
Pervenne Ercole un giorno. Opposte e chiuse
S’addossavano ancor rocce su rocce
Senza varco di uscita; e derelitta
Era la terra. Arse di rabbia il fero
70Nume a tal vista, e giù co’l capo e il petto
Fe’ cozzo ai monti. Traballâr divelti
Gl’iperborei macigni; inorriditi
Si arretrâr, si fermâro, e il passo aprîro
Al furente Almeníde. Allegra e bella
75Sorrise indi la valle, e sgorgò il fiume
In memoria del dio. Fra sempre verdi
Gramigne e giunchi flessuosi e fiori
Esso ha il lubrico letto, ed or si volve
Querulo come rivo, or mugolante
80Dirocciasi dall’alto, or queto e bruno
Tra foltissimi vepri al Sol s’invola,
Or limpido e sonante al ciel risplende
Come lama d’argento, ed ai lavacri
Il polveroso mandrían conforta.
85Pingue così di spume e di tributi
Scende e si sparge a fecondar la valle,
E al Cuario, al Pomíso, all’Apidano
E all’Orcon si accompagna, Orcon che scarsa,
Ma nitida su tutti e dolce ha l’onda
90E sdegnosa altresì; però che un tratto
Su l’ampio dorso del Penèo galleggia
Lievemente com’olio, indi si parte
Solissimo fra’ giunchi, e vien per via
Mordendo argini e siepi ed involando
95Iridati lapilli e tenui fiori,
Finchè all’amplesso dell’Egèo deduce
Con giocondo susurro il giovin flutto.
Cercan la sua romita onda al merigge
Sitibonde le capre, e tarde e stanche
100Giù dall’erta si calano le vacche
Al tintinnio di pensili campane,
Mentre all’ombra d’un pioppo o d’un cipresso
Il rubesto caprar zufola al vento.
Venían furtive un dì sopra la riva
105Le danzanti fanciulle, e avean di ninfe
Le ritonde sembianze, e su l’eburnee
Spalle le chiome. Ardean sotto la sferza
Degli estivi solstizj, e tutte ignude
Entravano nel flutto, e Amor, fors’egli,
110Più che il Sol, le cocea. Trepidi e muti
Palpitavan, celati entro ai cespugli,
L’insidíosi giovanetti, e nulla
Prendean cura di greggi o di ritorno
O di cacce o di cibo; e s’un più ardito
115Fuor mai si spinse, e disíoso e folle
Corse alla riva, e giù balzò nell’onda,
Clamorose echeggiar sentivi intorno
Femminee strida, ed agitate e rotte
Suonar l’acque. Qua e là, scevre di velo,
120Fuggon le donzellette, e vesti e pepli
Scambian confuse, e trepide avviluppansi
Nelle riverse tuniche, e pe’l lido
Corron, s’urtan, s’addossan, si disperdono
Pei fiorenti sentieri; e qual minaccia,
125Qual si attrista, qual ride; e nastri e veli
Volan per l’aria; al Sol splendono e involansi
Rosee forme fuggenti, e scappan dardi
Di voluttà. Riedon delusi intanto
I giovincelli, e affollansi sul piano
130Clamorosi, anelanti; ed un si loda
Del proprio ardire, e ride e si fa gioco
Del ritroso compagno; un leva a cielo
La beltà dell’amica; altri fa mostra
D’un fior carpito, altri d’un velo; un vanta
135Sorrisi e baci e occulte intelligenze
Di vicini ritrovi; e va del caso
Superbo ognun qual d’un primier trionfo.
Così alle danze ed ai trastulli amica
Tempe fioriva un dì, quando nei bruni
140Letti del mar dormìa l’astro d’Osmano.
Come vedova or siede; e s’anco Aprile
Va per uso a recar le sue ghirlande
Su quell’orbe contrade, e van le stelle
A specchiar l’auree fronti entro a quel fiume,
145Ben puoi dire, che senso han tutte cose
Di ricordi gentili, e son fedeli,
Più che gloria ed amor, le stelle e i fiori.
Sparsa pe’ monti in giro, in fra le chiuse
Ispide macchie al croceo Sol biancheggia
150Qualche muta capanna, ove, costretto
Di scarse lane il macerato fianco,
Numera i penitenti anni nel duolo
Il romito calòcero, che nulla
Ha delizia del mondo, e quel che al mondo
|
(pag. 70)
155Forse dar più non puote, offre al Signore.
Sola, fra questi incolti èremi, in vetta
D’un’aerea collina, a cui sorride
Primo dagli orti il giovinetto sole,
Una strana magion sorger tu miri
160Tutta cinta di bosco. Ampia e lucente
Fuor d’un mare di fronde alzasi, ed ora
Qual purpureo piròpo al ciel fiammeggia,
Or circonfusa d’un’argentea luce
A dolce meditar l’anime invita.
165Danza d’intorno a lei con grazíoso
Florívolo tripudio il fresco Aprile,
Che le penne del dorso e il facil volo
Ivi gran tratto e volentieri oblía,
Fin che non giunga a discacciarlo il verno.
170Sentono il suo fecondo alito i fiori,
E su su dalle intatte erbe, che tremano
Riscintillanti al candido mattino,
Schiudon l’auree corolle, innamorate
D’agili silfi; ed ei per la diffusa
175Luce che lo circonda e le volanti
Fragranze, ebbro d’amor, le danze intreccia,
E le farfalle, i fior, gli augelli, i rivi,
L’aure, la luce, il ciel, tutto ch’è in giro,
A un concento d’amor tempra e concorda.
180Mira alla lunge il credulo romito,
Come spera di Sol, fulger l’ostello,
E suonar l’aure insolite armonie
Stupefatto ode, ed incantevol mostro
Di spiriti lo crede, asil di fate
185Suaditrici di lascivi amplessi.
Pende un tratto con doppio animo, e quando
Nel travolto pensier dèmoni e ninfe
Ruzzar vede su l’erbe, o tutti ignudi
Saltar nei fonti ed intrecciar gli amori,
190Trepidante di là togliesi, e il foco
Del vorace desio, che il cor gli afferra,
Nel pensiero di Dio spegner presume.
Piombi fiamma del ciel su l’empie mura,
Quinci a notte passando, esclama il vecchio
195Merciajolo di Sira; e borbottando
Per l’erma notte altre più ree parole,
Riattizza la pipa: in fosche e spesse
Nugole fuor dalle sonanti labbra
Sbuca il putido fumo, e con sinistro
200Gorgoglío geme la tartarea canna.
Ma di lui men feroce, in su la china
De le valli fiorite, allor che intera
Guarda l’estiva luna entro lo specchio
De le chete fontane, e a le tranquille
205Brezze dei monti flettono la cima
L’arsicce mèssi e i moribondi fiori,
Men feroce di lui fermasi e guata
Il giovinetto pastorel, che vide
Un dì nella pensosa ora dei vespri
210Vaga passar di sotto ai pergolati
Dell’aerea magione una bellissima
Immagin di fanciulla, e non sa forse
Il semplicetto mandrían, se cosa
Fosse di sogno, o di mortal figura
215Non fallace apparenza. Entro al pensiero
Quella leggiadra visíon tuttora
Vagolando gli nuota, a quella forma
Che vediam nella verde onda d’un lago
D’un astro ignoto tremolar l’aspetto,
220E ne par forse innamorato e mesto
Spirto, dannato ad abitar quell’acque.
Sui disfatti scaglioni il giovinetto
Presso il fonte si asside, e la stanchezza
Dei lunghi giorni e la stagion cocente
225Trova scusa all’indugio. Aura, che spiri
Fra le vergini rose e le perenni
Edere delle siepi, or tu gli reca
Le suavi armonie, ch’usa in quest’ora
Derivar da la dolce arpa l’ignota
230Di quell’aureo palagio abitatrice,
Ebe, il misteríoso astro di Tempe,
Ebe, l’arcana visíon d’amore.
Ne la pensile rete ella distende
240Le bianchissime forme, e all’aura, all’aura,
Abbandonatamente all’aura ondeggia.
|
(pag. 74)
Spinge tra fronda e fronda il curioso
Raggio la luna, ed al tremar dei rami
Pispigliano gli augelli entro ai lor nidi.
245Bacia quel fronte, o luna; e voi ghirlanda
Fate di danze, innamorati augelli:
Bacio d’amor su quella fronte intatta
Finor non si posò; pronube danze
Ella non vide ancora; e all’aura, all’aura,
250Abbandonatamente all’aura ondeggia.
Che sogna ella in quest’ora? Al Sol si gira
L’elitropio dall’ombra; erba che chiusa
Resti dai ghiacci, il ghiaccio sforza, e un varco
S’apre a fatica alla materna luce;
255Onda, cui pàrta il marinar co’l remo,
Mormorando s’aduna, e corre al lido;
Forse questo ella sogna; e all’aura, all’aura,
Abbandonatamente all’aura ondeggia.
Or vedete, ella sorge; a la vocale
260Arpa s’appoggia mollemente, e l’auree
Fila tentando, con sommesse voci
Una strana canzon canta alle stelle:
— Date alla terra i fiori,
Date i coralli al mar;
265Ad ogni cor gli amori,
Ad ogni dio l’altar.
Abbia ogni nembo un’iride,
Ogni astro i suoi splendori;
Date alla terra i fiori,
270Date i coralli al mar.
Ma rieda il verno o il maggio,
Mesta e soletta io son;
Muto è del cielo il raggio,
Triste dell’arpa il suon;
275Qual vana ala di zeffiro
Passo nel mio víaggio,
E rieda il verno o il maggio,
Mesta e soletta io son.
O immagini lucenti
280Di più felici dì,
Sogni dell’arte ardenti,
Il vostro april sfiorì;
Invan chiedo le olimpiche
Forme alle nuove genti,
285O immagini lucenti
Di più felici dì.
La giovinezza, il riso,
Le grazie ed il piacer
Fuggon tremanti al viso
290Dell’inamabil Ver;
Fuggon su l’ali rosee
Del vago error conquiso
La giovinezza, il riso,
Le grazie ed il piacer. —
295Ella così cantò. Sul limitare
Appresentossi un pellegrin. Dai muti
Sottoposti sentieri, a stilla a stilla
Bevuta avea la voluttà serena
Di quel suon, di quel canto, e una secreta
300Forza gli avea l’altera anima avvinta.
— La Ragion sia con voi, grave e solenne
Esclamò su la soglia; un pellegrino
Chiede ospitalità. —
Lo sguardo eresse
Alle insolite voci Ebe, e tremante,
305Attonita mirò quella bizzarra
Sembianza d’uomo. Ambe sul petto ha chiuse
Le braccia, al ciel erta la fronte; e strano
Gioco gli fan così l’ombre e la luce,
Ch’uom no’l diresti già, ma fuggitiva
310Apparenza di spirto, ivi per suono
D’incantesimo tratto.
— O pellegrino,
Così a dir prese con trepida voce
L’inclita giovinetta; ove di cibo
Mestieri abbi e di tetto, invero, a ingrata
315Gente ed a case inospitali e dure
Tu non volgesti il piè: nunzj del cielo
Gli ospiti sono, ed esso Iddio sovente
Viene in tal guisa a visitar la terra.
Però siedi e t’allegra; e mentre intorno
320Movon le ancelle ad imbandir le cene,
E a sprimacciare e ricovrir di schiette
Coltri le piume al tuo riposo amiche,
Dir ti piaccia il tuo nome e le native
Piagge ed i casi tuoi, però che al volto,
325Alle fogge straniere e al portamento
Uom venturoso e non vulgar ti estimo. —
Egli sorrise e s’adagiò. Siccome
Tenera foglia al susurrar del vento
Trema tutta in su’l ramo, o che nell’aura
330Goda cullarsi e presentir l’onore
Dei colmi bocci e del nettareo frutto,
O che, del nembo aütunnal presaga,
L’ora estrema paventi, Ebe in tal guisa
Trepidava nel core al novo aspetto
335Dell’orgoglioso pellegrino, e muta
Pendea da lui, qual candido corimbo
Che dal solingo muricciol dell’orto,
Quando zeffiro tace, immobil pende.
Di ciò s’accorse, e in cor gioì l’altero
340Ospite, e come può, cerca con gli occhi
Desiosi tradir tutta in un punto
La dolcezza improvvisa, onde si strugge
Fatalmente nell’anima ed assòrto
Nei grandi occhi di lei, con lenta voce
345Diè principio al suo dire:
— Ospite, ov’io
Dar potessi la fede ai tanti miti,
Di che memore è il loco, io di mortali
Questo l’asil non crederei, ma antica
Stanza di numi; ma nel cielo i numi
350Si dormono la grossa, e l’uomo è il solo
Regnator della terra; ond’io con esso
Primamente mi allegro, e son superbo
D’esser con te. Pur molte fiate e molte
Tornería l’alba, ov’io tutta dovessi
355Raccontar la mia storia, e tu non senza
Terror l’udresti, perocchè diverso
Molto son io di quel che sembro, e fama
E possanza ed impero ho anch’io nel mondo
Non minor d’alcun dio. Ma se ti piace
360Saper tanto di me, che altera cosa
Il silenzio non sembri e folle il vanto,
Brevemente dirò. Su l’immortale
Cardine del Pensiero, inclito padre
Di stupendi artificj, erto il mio trono
365S’alza come alpe, e nulla a me di fronte
Nel creato universo altra si estolle
Nemica forza emulatrice, tranne
La gran larva di Dio. Fiero e superbo
Starmi incontro ei si attenta; e non pur l’alta
370Region dei cieli e la miglior presume
Frenar sotto il suo scettro, e il radíante
Popol degli astri e il dolce aere e la luce
Al mio regno involar, ma questa bruna
Picciola sfera, ove si affanna e preme
375Tanta stirpe di mesti, e le gagliarde
Alme al Vero devote e al culto mio
Lungamente impugnommi, a me, ch’eterno
Vivo, ed a lui, che dal terrore è nato,
Darò, nè guari, e di mia man la morte! —
380— Tu bestemmj, stranier, raccapricciando
Ebe esclamò; tremar mi fai! —
Su’l labbro
Pose ei l’indice in croce, e altero in atto
Silenzio indisse, e proseguì:
— Pugnammo
Con diverse armi sempre, e spirò incerta
385L’aura della vittoria. Entro al più chiuso
Firmamento del ciel, rigido, immoto
L’emulo Dio s’asconde; e, quasi ei poco
Fosse alla colpa del mestier divino,
Sotto triplice larva il ciel governa.
390Ma qual governo io dico mai? Pe’l vuoto
Fan la ridda i pianeti, ed ei nè un solo
Arrestarne potría; come insanita
Tíade balza la terra all’aer cieco,
E l’etere si spande, e il mare ondeggia,
395E la fiamma al ciel tende, ed esso intanto
Lo spensierato iddio pasce le nari
Del bruciaticcio di venali incensi,
E a soffiar vuote bolle di sapone,
Che alla luce del Sol gli sembran stelle,
400Sciupa l’eternità. Ferrei governi
E immote norme ed assoluti imperi
All’incontro io dispregio, e avverso al fato
E alla Natura sto; m’agito e vivo
Fra le cose create, e son dei cori
405La libertà. Stupido e bieco ei regna
Immobilmente, ed or di puerili
Giochi si piace, or d’uman sangue; io vivo
Solo del Ver. Di sacerdoti iniqui
E d’anfibj ministri e d’evirate
410Menti ei si cinge, ed ha vita e possanza
Di misteri e d’enigmi; io, se mai regno
Ebbi nel mondo, ed uno anco men resta,
Di libere e gagliarde alme il difendo
Liberamente. O amore, o affanno, o colpa
415Di scíenza e di luce, o istinto e vita
Di verità, di libertà, se merto
Altro non hai che la tortura e il rogo,
Se altro nome non hai fuor che delitto,
Ecco, alla terra io fermamente il grido:
420Altare è il rogo, ed il delitto è dio! —
Tacque, e d’orgoglio radíante, i magni
Omeri scosse, e sollevò la faccia
Con fantastico ardir. Pavida, incerta
Con gli occhi Ebe il seguía, mentre un’ignota
425Purpurea fiamma le scendea nel petto
Agitandole il cor. Sorse alla fine
Tacita; con gentile atto la destra
Penosamente al forestier profferse,
E al cheto asil dei suoi verginei sogni
430Conturbata si volse. Ei con l’acceso
Sguardo la cinse; com’etereo foco
Lambíala intorno co’l pensiero, e tutto
D’eterno amor le fibre intime ardente,
Gridò in cor suo: L’ora è venuta; è dessa!