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XIII.
Le ampolle e gli ampollini, i vasi di porcellana, le tazzette di marmo, i pestelli, le forbici, i cucchiai, i bistorini, le pentoline, le casseruole, le caldaie, i filtri, i setacci, le ventole e tutti gli altri utensili che abbellivano il porticato e la farmacia dell’onorevole mio collaboratore Bazzetta perdevano a poco a poco le scintille del sole che declinava.
— A rivederci stasera, mi disse Bazzetta, stringendomi la mano energicamente, molto energicamente. Sono le sei, vo’ a pranzo da quella bestia di Sindaco, del quale vi dirò poi... ma... zitto.
Ed uscì frettoloso, lasciandomi solo nella sua simpatica botteguccia.
— Eccolo; è lui!
— Parlagli, il papà è uscito.
— Non ho coraggio...
— Vuoi che parli io?
— Sei matta? Tocca a me!
— E se ti tocca, parla.
Queste parole «di color oscuro» erano sussurrate dietro un piccolo uscio che metteva al porticato.
Le interlocutrici — me ne accorsi alle fisonomie intravedute dalle fessure — erano la moglie e la figliuola di Bazzetta.
La conversazione continuò così:
— Mamma, il babbo gli ha detto tutto.
— Grulla!
— E che!
— Fatti avanti.
— Tocca a te che sei la mamma.
— A te che sei più franca...
E mi comparvero davanti due cose femminili.
Vi dipingo a larghe pennellate la moglie del farmacista.
Era lunga, lunga, lunga; aveva gli occhi nella nuca e le ciocche dei capelli a un centimetro più innanzi della punta del naso! E che punta e che naso! Lunga, lunga e scialba del colore dei ceri da funerale; le mancavano due lettere dell’alfabeto, l’erre e l’esse; sputava formidabilmente ad ogni monosillabo.
Era guercia.
Quanto ad Ermenegilda (che nome!) la figliuola di Bazzetta era un coso femminile di rarissima specie.
Alquanto meno lunga della madre, sembrava più piccola che non fosse perchè era grassa e paffuta come un dindo nutrito da una brava massaia per onorare il Natale. Aveva la pelle tesa, come quella di un tamburo, sicchè, malgrado tanta lussuria di muscoli e di polpe, pareva fosse stata fatta con economia. I suoi grandi occhioni bovini avean l’aria di voler saltar fuori a ballonzolare sul pavimento; e certo, senza quella tensione di epidermide che appariva ancor più evidentemente nelle palpebre, ti sarebbero schizzati in faccia.
I due così mi vennero incontro, la mamma lunga davanti, la ragazza grossa di dietro, inchinandosi goffamente e atteggiando la bocca a un sorriso tra la compiacenza e la fatuità.
— Se non erro, diss’io, prendendo il cappello onde potermela svignare, al più presto, ho l’onore di conoscere la signora del mio amico Bazzetta...
— Pur troppo! sospirò quella pertica alzando gli Occhi al cielo. Dietro di lei si udì un sospirone.
— Diavolo! non potei a meno di esclamare, perchè mi dice «pur troppo?»
— Oh! se sapesse!...
— Oh! se sapesse! disse l’altro coso di dietro.
— Non so nulla, diss’io.
— Lo saprà.
— Saprà, disse l’altra di dietro.
E quella davanti:
— Si accomodi, mostrandomi una seggiola.
Mi accomodai.
Allora la faccia della signora Bazzetta diventò terribile.
Aveva sposato quell’uomo come si sposano tutte le zitelle in ritardo. — Le avevano detto: ha del ben di Dio, ciò che in volgare, significa «ha quattrini» quanto a dimostrarle che era un bell’uomo, sarebbe stata pena sciupata. Bazzetta a trentacinque anni, era il più bel giovanotto che si potesse vedere nei paraggi di Zugliano.
— Le dico, continuò la signora Placida (si chiamava con questo nome), le dico; pur troppo! e lo ripeto!
E l’eco echeggiava:
— Sicuro, certamente, sicuro!
La megera posò il suo formidabile naso fra i miei baffi incipienti, e sussurrò.
— Se sapesse!...
— Per tutti i santi del paradiso, diss’io, che cosa mi resta a sapere??
— Bazzetta è un birbone; mi fa tante corna quanti ho capelli in testa; è uno sfaccendato.
— ...ato, ripeteva la fanciulla.
— E vi ha contata la storia del medico e del signor sindaco a modo suo... — è un birbone! — Beve come una spugna! Oh! che uomo!
— .... Omo!
— E — continuava la signora, — il piccolo Ignazio, l’abatino che pranzò ieri con voi, è figlio spurio del sindaco— e questo non ve lo ha detto, e sua madre era la sorella di Mansueta... e il signor de Emma...
— Zitta! sclamò Ermenegilda, additando l’impennata della farmacia.
Bazzetta riapparve.
— Ho dimenticato l’astuccio dei zolfanelli.
E fulminò con uno sguardo tale la signora Placida e la signorina Ermenegilda... che in men di un baleno scivolarono e scomparvero dietro l’uscio da cui erano uscite.
— Vi accompagno fino al presbiterio, disse Bazzetta offrendomi il braccio.
E ci incamminammo.