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LA CANZONE DEL SACRA- MENTO1 |
era fitto un pavese quadro in otto
3battagliòle forcute, e v’era un assero
di timone per grado, e paliotto
un panno di bastita era, tovaglia
6era ferzo di trevo o marabotto;
e quivi con un càmice di maglia
l'asta di croce in pugno avea l’accolito.
9Sì fatto era l’altare di battaglia.
E fu silenzio ed isplendore insolito
su tutto il mare, a segno del Primate.
12E tutte le galèe stavano in giolito,
con le pale fuor d’acqua affrenellate
su la bonaccia. E il giorno di San Sisto
15era per i Pisani, a mezza state2.
Tenean quelli di Genova il sinistro
corno con navi e saettìe, l’opposto
18le genti di Campania unite in Cristo.
Rosse le prore come tinte in mosto
avea Salerno3, d’indaco Gaeta,
21d’oro Amalfi alla Vergine d’agosto;
ché que’ mercanti a battere moneta
intendevano sol per far naviglio
24e cambiavano in gomene la seta.
Kyrie, eleison. Il bianco ed il vermiglio
ondeggiavan con l’Aquila pisana
27che già temprato in Bona avea l’artiglio;
e la Rosa dei vènti amalfitana,
già fatta croce irsuta d’otto punte,
30si consecrava presso la campana.
Christe, eleison. Ché s’erano congiunte
nel lor Signore le città tirrene
33la prima volta a lega; avevan unte
di novo spalmo a caldo le carene
per la lega, cresciuto il palamento,
36rinforzato il cordame e le catene,
ai lor vescovi dato sacramento
di riscattare dal predone immondo
39le tolte navi, il cristiano armento;
e parea quivi il comun corpo al mondo
latino annunziar le sante imprese,
42prima che si crociasse Boemondo.
Kyrie, eleison. Le guardie del calcese
trasognando vedean nell’acqua i bianchi
45marmi fiorir delle lor dolci chiese.
Tutti in corazza i rematori franchi,
allacciati i giglioni coi frenelli,
48pregavano a ginocchi sopra i banchi;
ma i prodieri, di sotto i lor cappelli
di cuoio, con un piede alla pedagna,
51guatavano la costa pei portelli.
Agnus Dei. E per tutta la compagna
fremito corse; ché, splendor d’Iddio,
54splendè nella raggiera l’Ostia magna.
E i prossimi gridarono: “Te, Dio
lodiamo, Te, Signore, confessiamo!„
57Ed anelavan di ricever Dio
nella specie del Pane. "Te lodiamo,
Te confessiamo, unico Iddio vivente.
60Del corpo di Gesù comunichiamo.
Dacci il Pane dei forti!„ E incontanente
s’apprese la divina bramosia,
63corse di poppa in prua, di gente in gente.
E il Vescovo rispose: "Così sia„.
E per tutto il naviglio fu gran serra
66al grido: “Eucaristia! Eucaristia!„
Ed era il grido della santa guerra.
Poi fu silenzio. Il rugghio d’un leone
69udito fu venire dalla terra.
E dal cassero come dall'ambone
il Vescovo parlò: “Fratelli in Dio,
72udite, udite il rugghio del leone!„
E sopra la coverta un balenìo
passò, dalle garitte alle rembate;
75le carte del Vangelo sul leggìo
si volsero, le lunghe fiamme issate
garrirono, stridè l'alberatura
78carica delle vele ammainate;
ché si levava il vento di Gallura
per i Pisani. E il console Uguccione
81dietro il Vescovo apparve in armatura.
E il Vescovo parlò: “Egli è il leone
di Ieronimo, o quel che pien di miele
84fu rinvenuto in Timna da Sansone,
o quel che nella fossa Daniele
mansuefece, ond’egli disse al re:
87– L’Iddio mio mandò l’Angelo fedele
il qual compresse le fauci, talché
non m’hanno guasto. — E sì voi confidate,
90ché molta in cielo è la vostra mercè,
e l’Angelo di Dio dalle rembate
vi guarda, e su dal gorgo i vostri morti
93risalgono perché vi ricordiate,
perché più non isforzi ai vostri porti
le catene il feroce rubatore.„
96Gridaron tutti: “Dacci il Pan dei forti!„
E, come fu sedato il gran clamore,
tanto crebbe la romba dei ruggiti
99per quelle rupi rogge dall’ardore,
che parve avesser chiuso i re ziriti
quivi l’intiera possa del Deserto
102a difendere i culmini turriti.
Sorgevano le sette torri in serto
sopra il ciglione, e la muraglia spessa
105le collegava; e il fosso era coperto
dal barbacane; e sola era lungh’essa
la muraglia una porta verso terra,
108ché la cerchia marina era inaccessa.
Ismisurata macchina di guerra,
la nemica città feriva il cielo
111mentre il suo cor parea ruggir sotterra.
“O Cristiani, in duomo pel Vangelo
voi giuraste, toccata la scrittura,
114per le Reliquie sante, per il velo
di Nostra Donna e per la sua cintura,
pei vostri fuochi e per le vostre fonti,
117e per la culla e per la sepoltura!„
Miravano i Pisani Ugo Visconti
ch’era il lor fiore, e rivedeano corca
120la dolce Pisa in ripa d’Arno ai ponti,
e dove la fiumana si biforca
l'orme di Piero, e alzata in pietre conce
123la preda di Palermo e di Maiorca.
Misurar si sognavano a bigonce
i Genovesi e il console Gandolfo
126l'oro ch’avean pesato a once a once.
Quei di Salerno il lor lunato golfo,
gli archi normanni, tutta bronzo e argento
129la porta di Guïsa e di Landolfo
aveansi in cuore, e l’arte e l’ardimento
onde tolse lo scettro ad Alberada
132Sigilgaita dal quadrato mento.
Ma quei d’Amalfi4, cui la lunga spada
era misura, a patria più lontana
135andavano; ché già s’avean contrada
e forno e bagno e fondaco e fontana
per tutto, e Mauro Còmite dal Greco
138mattava il Doge al libro di dogana.
“Fratelli in Cristo, dietro il muro bieco
a mille a mille anime battezzate
141penano; e solo il pianto hanno con seco.
Non vi croscia nel cor, se l’ascoltate?
Sono i fanciulli, sono i vecchi, gli avi
144e i padri, son le donne violate,
schiavi alla mola, schiavi al remo, schiavi
al carico, sepolti nelle gune
147del grano come in cemeterii cavi,
muffi nelle cisterne e nelle mude,
riarsi dalla sete e dalla fame,
150rotti dalla catena e dalla fune.
Bevono pianto, masticano strame.
Vivi non sono più né sono morti.
153Sono un cieco dolore in un carname.
Se non vincete, ecco le vostre sorti,
fratelli in Cristo.„ E il tuono fu sul mare.
156“Allarme! Allarme! Dacci il Pan dei forti!„
E l’Ostia sfolgorava su l’altare
a tutti i marinai come la spera
159del sole. E Dio ricamminò sul mare.
Ed issò lo stendardo ogni galera;
e volse d’Occidente ad Oriente
162con le mani velate la raggiera
il Vescovo, e dal petto suo potente
Agnus Dei qui tollis peccata mundi
165clamò tre volte sopra la sua gente.
Ed Uguccione e i consoli congiunti
in Cristo e tutta la capitanìa
168Agnus Dei qui tollis peccata mundi
conclamarono. E lungo la corsìa
e nelle balestriere e su i castelli
171risposero gli armati: “Eucaristia!„
E i vogavanti sciolsero i frenelli,
al sibilo dei còmiti; e due vanni
174il legno fu dai cento suoi portelli.
“La croce a poppa, messer San Giovanni
a prua, la Vergin Donna Nostra in vetta
177all’albero di mezzo; e Dio li danni!„
Gridavano i prostrati “Affretta! Affretta!„
vedendo i lor adusti cappellani
180frangere a gara l’ostia benedetta.
E alfine s’ebber l’ostia nelle mani
essi i prostrati; assolti l’ebber tocca
183i feditori con le dure mani
indurite alla lieva ed alla cocca,
e la fransero e diedero ai compagni;
186e ricevuta fu di bocca in bocca.
E l’un l’altro pregava: “Sì la fragni
che basti a me, che basti anco a fratelmo!„
189E tremavagli il fondo degli entragni,
ché non bastava. Allora nello schelmo
saltò quell’uno, armato; si scoperse
192il capo, empiè d acqua marina l’elmo;
e l’alzò, come calice l’offerse
gridando: “Valga a noi per sacramento,
195o Vescovo di Cristo!„ E quei converse
in ispecie divina l’elemento
indomito, col segno, dall’altare
198gridando: “Valga a voi per sacramento.„
E si comunicarono del mare
sol con quel segno i fanti: ginocchioni
201contra i pavesi, udìan Màdia rugghiare.
Poi forzaron le rupi ed i leoni.
- ↑ [p. 199 modifica]L’argomento di questa canzone è tratto da un carme d’ignoto autore forse pisano, intitolato Carmen in Victoria Pisanorum, che narra con un misto di storia e di leggenda l’impresa compiuta sopra il re zirita Temim, detto Timino, da una lega di Pisani, di Genovesi, di Amalfitani e d’altri marinai dello stesso mare: cioè da una vera e propria lega tirrena formata a muovere una guerra religiosa che fu il preludio delle Crociate. Conduceva i Pisani il console Uguccione [p. 200 modifica]Visconti, che aveva seco il figliuolo Ugo, bellissimo e arditissimo giovine — omnium pulcherrimus — il quale nella fazione perse la vita. Conducevano i Genovesi un Lamberto e un Gandolfo. Molto era il naviglio e bene armato. I Cristiani espugnarono Pantelleria e mossero a Mehedia — la Madia del poeta pisano, l’Alamandia delle Istorie, la Dilmazia della Cronaca — ; ed era il dì 6 d’agosto del 1088, “lo die di Santo Sisto,„ il giorno in cui pareva che per fato i Pisani principiassero o terminassero le loro imprese. E “per forza cavonno di mani delli Saracini Affrica e Dilmazia e più terre di Barbaria„ come dice il buon Ranieri Sardo.
Era la città di Timino lontana da Tunisi novantaquattro miglia a scirocco, luogo fortissimo per natura, sopra rocce inespugnabili dentro il mare congiunte alla terra da un istmo sottile, con un porto sinuoso. Un’alta muraglia, un fosso, sette torri e un mastio la difendevano. Il re — secondo narra l’Anonimo — nutriva nei serragli gran numero di leoni.
Prima dell’assalto, il Vescovo celebrò l’ufficio divino; arringò dal cassero i combattenti, e diede l’assoluzione sacramentale.
Questo è il momento epico della canzone. Soldati e marinai, rinnovando l’usanza dei Cristiani primitivi nel tempo delle persecuzioni, si distribuirono a vicenda la santa Eucaristia.
- Et communicant vicissim
- Christi Eucharistiam.
- ↑ [p. 200 modifica]A chiarire l’allusione di talun verso, giova ricordare che i Pisani da soli assalirono i Saraceni d’Affrica nel 1035 e [p. 201 modifica]presero la città di Bona. Nel 1063, nel giorno di Santo Agapito, si presentarono dinanzi al porto di Palermo “che era pieno di Saracini,„ ruppero la catena e s’impadronirono di navi cariche. “E dello tezoro che vi preseno, ordinonno di fare lo Duomo Sanctae Mariae, e lo vescovado.„ Non avevano essi ancor fatta la guerra balearica, ma più volte avevan certo predato navi nelle acque di Maiorca e convertito il bottino in pietre da murare. “Avendo trovate due galere vicine all’isola di Maiorica e di Minorici, cariche di mercanzia, ed una nave ricchissima dei Mori di Granata, le presero e le condussero in Pisa...„ San Pietro venendo d’Antiochia, approdò alla bocca dell’Arno e vi edificò la basilica che oggi si chiama di San Piero a Grado, detta ad gradus arnenses dai gradi di marmo che scendevano nel mare.
- ↑ [p. 201 modifica]In Salerno, nella Cattedrale di San Matteo riedificata da Roberto Guiscardo, è una porta di bronzo lavorata a Costantinopoli e donata da Landolfo Butromile e dalla sua donna. Ora mancano a tutte le figure di rilievo i volti e le mani d’argento. Quivi anche è la tomba di Sigilgaita, della maschia sorella di Gisolfo, per cui il Guiscardo ripudiò la sua prima moglie Alberada. Più d’una volta Sigilgaita combattè su le navi a fianco del Normanno contro i Greci.
- ↑ [p. 201 modifica]Gli Amalfitani presero ad introdurre le merci d’Occidente nella Siria e nell’Egitto prima d’ogni altro popolo maritimo. Ottennero dovunque firmani che loro accordavano libertà di traffico e di transito. E dovunque stabilirono fondachi, case di commercio, chiese, ospizii. Guglielmo di Tiro nella sua Historia de Rebus gestis in partibus transmarinis narra come gli Amalfitani edificassero in Terrasanta la prima chiesa sotto [p. 202 modifica]il vocabolo di Santa Maria Latina. “E quivi era un ospizio di poveri, e in esso una cappella chiamata Santo Giovanni Elemosinario. E quivi Santo Giovanni fu patriarca d’Alessandria.„ La chiesa fu costruita tra gli anni di Nostro Signore 1014 e 1023, per un firmano del soldan d’Egitto. Il qual firmano è oggi custodito nel convento dei Francescani di Gerusalemme. Il luogo era quel medesimo ove, più di due secoli innanzi, Carlomagno aveva fondato il suo ospizio, a un trar di pietra dal Tempio del Santo Sepolcro. Pantaleone Mauro è da molti ritenuto come il primo console della Colonia amalfitana in Costantinopoli. La cattedrale di Amalfi ebbe le sei porte di bronzo dai Mauri come Salerno dal Butromile. Una iscrizione in lettere d’argento sopra una d’esse dice: “Hoc opus fieri jussit pro redemptione animae suae Pantaleo filius Mauri de Pantaleone de Mauro de Maurone Comite.„