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William Shakespeare - Misura per misura (1603)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto terzo
Atto secondo Atto quarto

ATTO TERZO


SCENA I.

Una stanza nella Prigione.

Entra il Duca, Claudio e il Prevosto.

Duc. Voi sperate dunque d’ottenere il vostro perdono dal signor Angelo?

Claud. Gl’infelici non hanno altro conforto che la speranza: io spero di vivere, quantunque sia parato a morire.

Duc. Siatelo, e morirete con coraggio. Dite così alla vita: s’io li perdo, perdo una cosa che non è stimata che dagli stolti. Tu non sei che un soffio, (servo delle influenze dell’atmosfera) che contristi ad ogn’istante il luogo del tuo soggiorno; non sei che una pazza, ludibrio della morte che ti sforzi d’evitare, e fra le cui braccia t’avventi spesso da te medesima. Tu non hai nulla di grande nè di nobile; perchè tutti i frutti che produci, sono impuri e venuti dal fango; non hai nè fermezza, nè coraggio, perocchè temi fino il debole pungolo d’un rettile: il bene maggiore che possiedi è il sonno, ed è per ciò che spesso l’invochi, sebbene poi tu tema la morte, ch’altro non è che un sonno! Di te tu mai non disponi: tu non hai nulla che t’appartenga; non sei che per un’omogeneità di parti che s’unirono senza che tu ne avessi conoscenza; non godi d’alcuna felicità, perchè ti crucci sempre per avere quello che non hai, e quel che possiedi disdegni: non sei mai in uno stato costante, e muti come l’astro delle notti, e vai soggetta alle più strane rivoluzioni. Se tu sei ricca, la tua ricchezza non è che povertà; simile al giumento curvo sotto le some dell’oro, non porti il pesante fardello che per un giorno di cammino, e la morte vien poscia ad alleggerirtene. Tu non hai amici; il frutto delle tue viscere che ti chiama padre, l’essere a cui desti la vita, impreca alle tue infermità perchè non ti fan morire abbastanza presto; tu non hai nè gioventù nè vecchiaia, ma solo un sonno di crepuscolo turbato dai sogni del mattino e della sera. L’età tua prima scorre nel mendicare e accumulare un po’ di pane per l’età ultima; e allorchè poi n’hai ottenuto in copia, non senti più nè calore nè membra; non hai più nè sensi nè bellezza per fruire di quello che con mille stenti mettesti insieme. Che v’è dunque di bello in questa che si chiama vita? E nondimeno noi temiamo la morte, che pone un termine a tanti mali!

Claud. Vi ringrazio di cuore. Veggo che il chieder di vivere è un cercar di morire, e che cercando la morte si trova la vita: venga essa adunque! (entra Isabella)

Is. Sia qui pace!

Prev. Chi è là? Entrate: il solo vostro desiderio merita un buon accoglimento.

Duc. Caro signore, fra poco ritornerò a vedervi.

Claud. Vi ringrazio, santo religioso.

Is. Debbo dire due parole a Claudio.

Prev. Fatelo con libertà. Ecco qui, signore, vostra sorella.

Duc. Prevosto, ho da farvi un discorso.

Prev. Son pronto ad udirvi.

Duc. Mettetemi in parte dov’io possa intendere il loro colloquio senz’esser veduto da loro. (esce col Prev.)

Claud. Sorella, che consolazioni m’arrechi?

Is. Questa sola, che il paradiso t’aspetta. Il signor Angelo avendo un messaggio pel Cielo, ti sceglie per recarvelo, in qualità di suo ambasciatore. Affrettati dunque a fare i tuoi apparecchi, perchè domani converrà che tu parta.

Claud. E non v’è alcun riparo?

Is. Alcuno.

Claud. Possibile?

Is. V’è nel cuore del tuo giudice una clemenza da demonio: volendo implorarla ti salveresti la vita, ma resteresti incatenato per sempre.

Claud. Una prigione perpetua?

Is. Sì, una specie di prigione: in cui non potresti più respirare l’aere della vita.

Claud. Di qual natura?

Is. D’una natura che ti spoglierebbe d’ogni onore.

Claud. Fammi conoscere che mezzo è questo.

Is. Io ti temo, Claudio, e fremo all’idea che tu volessi conservare un’esistenza miserabile a prezzo d’un onore eterno. Osi tu morire? Il sentimento della morte non è che nel timore, e l’insetto che noi calpestiamo prova le ansie della morte al par d’un gigante.

Claud. Puoi tu farmi tale oltraggio? Mi credi tanto debole da essere inetto ad ogni risoluzione generosa? Se è necessario ch’io muoia, andrò incontro alla morte come uno sposo alla sua fidanzata, e la premerò fra le mie braccia.

Is. A tal linguaggio riconosco mio fratello; questa voce è escita alla tomba di mio padre. Sì, devi morire; tu hai troppo cuore per poter serbare la vita a prezzo della viltà. Quel ministro che veste apparenze di santità, la di cui austera parola e il freddo volto agghiacciano il sangue della giovinezza, e fan fuggire la follia come colomba tremante sotto l’ala del falco, ebbene, egli è un demonio, e se si scrutasse addentro nell’impura sua anima, vi sì troverebbe un abisso d’iniquità profondo come l’inferno.

Claud. Il signor Angelo?

Is. Oh! ei veste la divisa del diavolo che compiacesi di far pompa di splendidi ornamenti. Crederai tu, Claudio, che s’io volessì darmegli in braccio saresti salvo?

Claud. Oh Cielo! Non è possibile.

Is. Sì, con tal delitto orrendo, ei ti darebbe la libertà d’oltraggìarlo impunemente. Questa notte medesima io debbo arrender megli, altrimenti tu muori domani.

Claud. Tu nol farai.

Is. Se n’andasse di mezzo la mia vita, la getterei per salvarti, con quell’indifferenza con cui getterei una spilla.

Claud. Te ne ringrazio, cara Isabella.

Is. Sta preparato, Claudio, alla morte per domani.

Claud. Sì, ma prova egli dunque passioni tanto violenti che gli facciano obbliare ogni legge? Dacchè ei le viola, non commetterà certo un delitto, o dei sette peccati capitali questo sarà il minore.

Is. Che vuoi tu dire?

Claud. Se fosse un peccato degno di dannazione, egli ch’è così saggio, potrebbe pel piacere di un momento esporsi ad una pena eterna? Oh Isabella!

Is. Che vuoi dire, fratello?

Claud. Che la morte è cosa spaventosa.

Is. E il disonore cosa orribile.

Claud. Sì, ma il morire senza saper dove si vada, giacere in un sepolcro, corrompervisi; perdere quel calore vitale per divenir putridume e fango, intantochè l’anima avvezza a’ dolci godimenti, cadrà fra fiamme avvampanti, sarà sepolta fra ghiacci eterni, o scorrrerà ludibrio dei venti intorno a questo globo sospeso nello spazio, o patirà anche martori più atroci che il pensiero non possa immaginare. Oh! tal prospettiva è orribile. La vita di questo mondo più odiosa che la vecchiaia, la miseria, il dolore o la prigione amareggiano, è un paradiso accanto a tutto ciò di cui la morte ne minaccia.

Is. Oimè, oimè!

Claud. Ah! ch’io viva, cara sorella. Il peccato che tu compi per salvar la vita d’un fratello è tanto scusato dalla natura, che esso diventa virtù.

Is. Oh vile! oh sciagurato! e vorresti dunque tu vivere mercè il disonor mio? Non è una specie d’incesto il ricevere la vita dal disonore di tua sorella? Il Cielo me ne guardi! Dubiterei della fedeltà di mia madre al padre mio, dacchè un figlio sì abbietto esci dal loro sangue. Muori, sciagurato, muori. Dovessi solo piegare i ginocchi per riscattarti dal tuo destino, e ti lascierei morire: proferirei mille preghiere per implorare la tua morte, e non direi una parola per salvarti.

Claud. Ah! ascoltami, Isabella.

Is. Vanne lungi, lungi da me, è una vergogna. Il tuo fallo non fu una debolezza involontaria; tu contraesti l’abito al delitto. Concederti pietà sarebbe un prostituirla; meglio è che tu muoia. (andandosene)

Claud. Ascoltami, Isabella. (rientra il Duca)

Duc. Vogliate udire una parola, giovinetta, una sola parola.

Is. Che chiedete?

Duc. Se poteste disporre d’alcuni istanti, vorrei avere un colloquio con voi per intrattenervi di cose ch’assai v’interessano.

Is. Non ho ozii superflui; il tempo che passerò vosco sarà tolto ad altre cose; nondimeno per un poco v’ascolterò.

Duc. (a parte a Claudio) Figlio, intesi tutto quello che diceste con vostra sorella. Non mai Angelo ebbe il disegno di sedurla; egli non volle che fare esperimento della di lei virtù, per imparar a conoscere la fragilità umana, e accrescer la sua esperienza: del di lei rifiuto sarà rimasto appagatissimo. Io sono il confessore d’Angelo, e istrutto venni di quanto vi dico: preparatevi dunque alla morte, non v’affidate a vane speranze; andate a pregare il Cielo che vi dia forza per il passo di domani.

Claud. Lasciate ch’io chiegga perdono a mia sorella. Son cosà stanco della vita, che supplicherò perchè mi venga tolta.

Duc. Perseverate in questa risoluzione: addio (esce Claud.) Prevosto, (rientra il Prevosto) udite una parola.

Prev. Che chiedete, padre?

Duc. Compiacetevi di lasciarmi un istante solo con questa fanciulla: le mie intenzioni e le mie vesti vi guarentiscono, che ella non corre alcun pericolo stando con me.

Prev. Sia pure. (esce)

Duc. La mano che v’ha fatta bella, v’ha fatta anche virtuosa; la bellezza che si prodiga a un prezzo vile appassisce in breve cessando di essere onesta; ma il pudore che è l’anima della vostra persona manterrà nella vostra beltà una giovinezza perpetua. Il caso mi ha fatto udire il colloquio che aveste con Angelo, e senza gli esempii che abbiamo della umana debolezza, molto stupirei di quel ministro. Come farete per soddisfare quel potente, e per salvare vostro fratello?

Is. Ve lo dirò tosto; preferirò che mio fratello soffra la condanna della legge, anzichè io abbia a riguardare in mio figlio come in un frutto illegittimo del vizio. Ma oimè! quanto ingannato è il buon duca da quell’Angelo. Se egli mai ritorna, e ch’io possa parlargli, smaschererò ai suoi occhi quel vile ministro.

Duc. Sarà bene che lo facciate, ma egli deluderà la vostra accusa. Dirà che non fece che per provarvi; onde ascoltatemi. Il desiderio che ho di giovarvi mi suggerisce un disegno. Io sono convinto che voi possiate senza mancare all’onestà rendere un servigio importante a una donna infelice, che ne è degna; conservare immacolate le grazie e l’innocenza della vostra bella persona, e meritare il favore del duca, se mai egli ritorna e che venga istrutto di questo negozio.

Is. Apritemi il vostro pensiero; compirò tosto quello che non abbia in sè nulla di riprovevole.

Duc. La virtù è piena d’intrepidezza, e un’anima nobile non conosce il timore. Non avete voi inteso parlare di Marianna, sorella di Federigo, quel guerriero illustre che morì in un naufragio?

Is. Ne intesi parlare, e con molta stima.

Duc. Ebbene, quella donzella doveva esser maritata ad Angelo; ei le aveva impegnata la fede con giuramento solenne; gli apparecchi eran fatti, il giorno delle nozze fermato. In quell’intervallo dal contratto alla celebrazione degli sponsali, suo fratello annegò, e il suo vascello portava la dote che ella doveva avere. Conseguenza di tale sventura fu la perdita di un fratello che l’aveva sempre amata, la povertà che l’assalse, e l’abbandono dell’ipocrita Angelo.

Is. Possibile che egli così la lasciasse?

Duc. Ei la lasciò fra le lagrime, e non gliene deterse una colla più piccola consolazione; ha dimenticati i suoi giuramenti, dicendo d’avere scoperte in lei pecche antiche; in una parola, l’ha abbandonata in preda ai suoi gemiti, senza più darle un pensiero.

Is. Qual merito avrebbe la morte, togliendo quella sfortunata dal mondo! Qual corruzione della società il lasciar vivere simili perfidi! Ma a che volete venirne con tal racconto?

Duc. Voi potrete rannodare quei vincoli, e salvar così non solo vostro fratello, ma voi anche dal disonore.

Is. Insegnatemene il modo, venerabile padre.

Duc. L’infelice, di cui vi ho parlato, conserva sempre nel suo cuore l’antica fiamma; e il barbaro procedere di Angelo, che avrebbe dovuto estinguere il suo amore, non ha fatto, come la diga di un torrente, che renderlo più impetuoso. Ritornate da Angelo; mostratevi inchinata a soddisfarlo; accordatevi con lui intorno ai modi di appagarlo, e non riservate per voi che queste condizioni: prima, che non resterete molto sola con lui; seconda, ch’egli sceglierà l’ora della notte e del silenzio, e un luogo opportuno per ogni rispetto. Ordinate così le cose, noi indurremo quella fanciulla oltraggiata ad andare al ritrovo in vece vostra, e se il segreto del loro abboccamento viene in seguito a svelarsi, tale scoperta dovrà determinarlo a divenire suo sposo: con quest’inganno, allora, vostro fratello è salvo, il vostro onore rimane intatto, la sventurata Marianna giunge all’apice dei suoi voti, e quel corrotto ministro è messo a nudo. Io mi assumo di parlare alla fanciulla, e di insegnarle il modo con cui deve comportarsi. Se voi adoperate con quella prudenza che è da voi, l’esito felice di tal pia frode l’assolverà da ogni rimprovero. Che dite?

Is. La sola idea di questo stratagemma già mi soddisfa, e spero che a bene riescirà.

Duc. Il successo dipende molto dalla vostra scaltrezza: affrettatevi a tornar da Angelo; se egli vi sollecita a trovarvi con lui questa notte, promettetegli di appagarlo. Io corro a san Luca; è là che in un feudo solitario vive la povera Marianna: venite poi a trovarmi, e dividetevi presto dal ministro, ond’io sia per tempo istrutto dei concerti che avrete presi.

Is. Vi obbedirò in tutto. Addio, buon padre. (escono da diverse parti)

SCENA II.

La strada dinanzi alla Prigione.

Entrano il Duca sempre vestito da frate, Gomito, il Clown ed altri Ufficiali.

Gom. Su via, se non v’è riparo onde impedire quell’infame mestiere di vendere e di comprar gli uomini e le donne come bestie al mercato, bisognerà che tutti divengano bastardi.

Cl. Non v’è mai stata vera gioia nel mondo dacchè di due usurai, il più allegro è stato rovinato, e il più perverso ha ricevuto dalla legge una veste soppannata per star caldo; e soppannata di pelli di volpi e di pecore, per significare che la frode, essendo più ricca dell’onesta probità, avrà sempre maggiori agi.

Gom. Andiamo, andiamo, signore. — Il Ciel vi salvi, buon padre.

Duc. E voi anche, fratello. Che cosa ha fatto quell’uomo?

Gom. Per verità, signore, ha offesa la legge, e noi lo riputiamo un marrano: gli trovammo indosso qualche cosa che abbiam mandata al ministro.

Duc. (a Cl.) Miserabile scellerato, non vivrai tu dunque che di malefizii? Pensa alla tua vita abbietta, pensa al modo con cui ricavi la sussistenza, e inorridisci. Persevererai tu sempre nelle tue colpe? Ammendati, ammendati.

Cl. É vero che per qualche rispetto io non vivo troppo bene, ma nondimeno vi proverò.....

Duc. Se il diavolo ti ha date prove per commettere il peccato, proverai ancora che sei in poter suo. — Uffiziali, guidatelo in prigione. La correzione e l’istruzione dovran fare molto, prima che questa rozza bestia divenga migliore.

Gom. Egli dovrà comparir dinanzi al ministro, signore; il ministro gli ha già parlato un’altra volta, il ministro non può tollerare una casa di prostituzione. Se costui dev’essere un agente di libidini, e che comparir debba davanti a quell’uomo illibato, meglio sarebbe ch’ei fosse a un miglio di distanza da lui.

Duc. Piacesse al Cielo che fossimo tutti quello che alcuni di noi vorrebbero apparire, scevri di vizii e di scostumatezze. {{Ids|(entra Lucio)

Gom. Il suo collo verrà unto come i vostri fianchi (al Duc.) da una corda.

Cl. Cerco un appoggio; chieggo una cauzione; ecco un onest’uomo e un mio amico.

Duc. Come va, nobile Pompeo? alle calcagna di Cesare? Sei tu condotto in trionfo? Non vi son più statue di Pigmalione di donne da poco animate, che si possano trovare ponendosi una mano in saccoccia, e ritirandola chiusa? Che rispondi? Che dici di questo tuono, di questa maniera, di questo metodo? La tua risposta rimase forse annegata dall’ultima pioggia? Che dici tu, povero diavolo? il mondo continua ad andar sempre lo stesso? Che mode corrono ora? Prevale il loquace, o il laconico? Qual è infine, dimmi, la cadenza del secolo?

Duc. Di male in peggio, e sempre in peggio si va.

Luc. Come sta la mia cara amica, tua buona padrona? Fa sempre buon traffico? Ah?

Cl. In verità, signore, ella si è mangiato tutto il terreno sotto ai piedi, e sta per precipitare.

Duc. A meraviglia; è giusto, così deve essere. La catastrofe è degna di lei. Vai tu in prigione, Pompeo?

Cl. Sì, in fede, signore.

Luc. Non è male a proposito, Pompeo. Va, e di’ ch’io ti mando. Vai per debiti, o come?

Gom. Per essere un mezzano, per essere un mezzano.

Luc. Imprigionatelo, e fate bene; la prigione gli gioverà. Egli è un mezzano e antichissimo; mezzano nacque e morirà. Addio, buon Pompeo: raccomandami alla prigione, Pompeo: imparerai come si faccia economia.

Cl. Spero, signore, che vorrete essermi garante.

Luc. No, in verità, no, Pompeo; non è di moda. Pregherò Pompeo, perchè si aggravino i tuoi ceppi: se non li sopporti pazientemente, peggio per te: addio, leal Pompeo. — Iddio vi guardi, frate.

Duc. E voi anche.

Luc. Ma Brigida s’imbelletta sempre, Pompeo? Ah?

Gom. Venite, messere, andiamo.

Cl. Voi non volete dunque essermi cauzione, signore?

Luc. Fra poco, Pompeo, non ora. — Quali novelle, frate? Quali novelle?

Gom. Venite, messere, andiamo.

Luc. Va al canile, Pompeo, va. (escono Gom., il Cl. e gli Uff.) Che novelle del duca, frate?

Duc. Non ne ho alcuna: sapreste voi darmene?

Luc. V’è chi dice che sia coll’imperatore di Russia, altri affermano che si trova in Roma: dove credereste voi che fosse?

Duc. Non saprei dirlo; ma ovunque sia, gli auguro ogni bene.

Luc. Fu una pazzia la sua partenza, di cui il signor Angelo si prevale assai; egli recita bene da duca in sua assenza, e oltrepassa anche i poteri lasciatigli.

Luc. In ciò fa bene.

Duc. Un poco più d’indulgenza pel libertinaggio non recherebbe alcun danno: egli è troppo severo in ciò, frate.

Duc. È vizio diffuso assai, e cui la sola severità può vincere.

Luc. Sì davvero, è il vizio di una numerosa famiglia, ma che è impossibile di estirpare, a meno che non si vieti agli uomini di alimentarsi. Si dice che quell’Angelo non sia stato formato da un uomo e da una donna, secondo ì modi ordinarii della creazione: è ciò vero? Lo credete voi?

Duc. E come sarebbe egli stato formato?

Luc. V’è chi sostiene che sia nato da una sirena: altri da due merluzzi.

Duc. Siete ben faceto, signore.

Luc. Che razza d’uomo spietato! Toglier la vita a un suo simile per una ribellione della carne! Forsechè il duca l’avrebbe fatto? Prima ch’ei si fosse indotto a far appendere un uomo, per aver ingenerato cento bastardi, avrebbe pagato le nudrici per mille. Egli sentiva d’esser buono, e non scevro di questa pecca: perciò era mite.

Duc. Non mai intesi dire che il duca fosse riputato un libertino, e che egli amasse le donne: non era questa una delle sue passioni.

Luc. V’ingannate padre.

Duc. È impossibile.

Luc. Il duca teneva pratiche segrete, ed amava anche di ubbriacarsi; io ve lo posso dir di certo.

Duc. Gli fate oltraggio, siatene convinto.

Luc. Signore, io era suo amicissimo; era un uomo misterioso, e credo d’indovinare la cagione della sua partenza.

Duc. Quale potrebbe essere?

Luc. Scusatemi, è un segreto che deve star rinchiuso fra i denti e le labbra; ma posso lasciarvelo intravvedere. La maggior parte de’ suoi sudditi riputava il duca uomo saggio.

Duc. E certamente lo era.

Luc. Non esisteva uomo più frivolo, più superficiale e ignorante.

Duc. Direte così per invidia, o per follia, o per errore: il corso della sua vita e i suoi sagaci negoziati debbono assicurargli una miglior riputazione. Venga giudicato soltanto sopra quello che attestano di lui le sue opere, e apparirà anche ai più invidi quale uomo istrutto, uomo di stato e guerriero: voi vedete quindi che parlate senz’essere bene informato, e se lo siete, è la vostra malvagità che vi accieca.

Luc. Signore, io lo conosco e lo amo.

Duc. L’amicizia parla con più conoscimento, e il conoscimento con più amistà.

Luc. So quel che so, signore.

Duc. Stento a crederlo, poichè ignorate quello che dite. Se mai il duca ritorna, (come lo chiediamo al Cielo tutti i giorni) fatemi il favore di ripetere dinanzi a lui le parole che avete dette. Se è la verità che ve le ha fatto proferire, avrete il coraggio di sostenerle: vi citerò dinanzi a lui, ditemi il vostro nome.

Luc. Il mio nome, signore, è Lucio, e son ben conosciuto dal duca.

Duc. Egli vi conoscerà meglio s’io vivo, e gli parlerò di voi.

Luc. Non vi temo.

Duc. Voi sperate che il duca non ritorni più, o mi credete un avversario impotente: ma io potrò farvi molto male, se non vi disdirete.

Luc. Mi farò appender prima; voi non mi conoscete, frate. Ma non parliam più di ciò. Sapreste dirmi se Claudio debba esser giustiziate dimani?

Duc. Perchè lo sarebbe egli, signore?

Luc. Per aver empito un vaso sacro. Vorrei che il duca di cui parliamo fosse ritornato: quel suo eunuco ministro spopolerà i suoi dominii pei amore di continenza. Non bisogna che i passeri facciano il loro nido sopra i tetti della sua casa; sarebbero ospiti troppo lascivi. Il duca punirebbe almeno in segreto i vizii segreti; non mai li divulgherebbe. Quanto vorrei ch’ei fosse ritornato! Il povero Claudio è condannato per una cosa da nulla. Addio, buon padre, ve ne scongiuro, pregate per me. Il duca, ve lo ripeto, mangierebbe montone anche il venerdì, e sebbene abbia varcata l’età; vi dico che accarezzerebbe una mendica che tramandasse esalazioni di pan bigio e d’aglio. Ripetegli che son io che ve l’ho detto. Addio. (esce)

Duc. Non vi è potenza nè grandezza fra i mortali che possa sfuggire al dente della calunnia, mostro che morde la virtù più pura. Qual monarca abbastanza illustre esiste per frenare una lingua maledica? Ma chi viene? (entrano Escalo, il Prevosto, la Comare Tutto-è-Fatto ed Uffiziali)

Esc. Conducetela in prigione.

Tut. Mio caro signore, fatemi grazia; si dice che siete così buono, abbiate pietà.

Esc. Dopo tre o quattro ammonimenti, rendersi sempre colpevole del medesimo fallo? Vi è di che far divenire la clemenza stessa tiranna.

Prev. Un mestiere empio continuato per undici anni, posso assicurarvene, signore.

Tut. Signore, fu la delazione di un certo Lucio contro di me; madonna Caterina Abbassati era incinta dell’opera sua, quando il duca stava ancora qui: ei le promise di sposarla, e il figliuol suo avrà un anno e tre mesi quando sarem giunti a san Giacomo e Filippo. Io l’ho alimentato, e vedete com’ei mi tratta.

Esc. Quell’uomo è un libertino scapestrato. Fatelo venire dinanzi a noi. Conducete intanto costei prigione: non più ciancie. (esce Tut. fra gli uff.) Prevosto, il mio collega Angelo non muterà la sua sentenza; bisogna che Claudio muoia dimani; fategli avere gli ecclesiastici a quant’altro richiede la carità, per prepararlo alla sua sorte. Se il mio compagno dividesse i miei sentimenti, Claudio non sarebbe a questi estremi.

Prev. Permettetemi di farvi osservare che quel buon religioso l’ha visitato, e gli ha già dati i suoi consigli per disporlo alla morte.

Esc. Ah! salute, buon religioso.

Duc. La felicità e la virtù vi accompagnino dovunque.

Esc. Di qual luogo siete?

Duc. Non sono di questo paese, quantunque il caso ne abbia fatto il mio soggiorno per un tempo limitato: sono un frate a cui fu commesso un messaggio dal santo padre, che desidero di bene adempiere.

Esc. Quali novelle corrono pel mondo?

Duc. Nessuna, se non è che la virtù è tocca da sì gran morbo che finirà per estinguersi: la novità è quello che ognuno ricerca, e v’è tanto pericolo ad invecchiare in una medesima consuetudine, quanta virtù vi è nell’essere costanti in un’opera. Rimane appena di buona fede fra gli uomini, quello che basta per render sicura la società, e vi è anche bastante sicurezza perchè tale società possa venire impunemente maledetta. Sopra questo enigma si aggira presso a poco tutta la saviezza del mondo. Codeste novelle son viete, e nondimeno appaiono quelle d’ogni dì. — Vi prego, signore, di dirmi qual era il carattere del duca?

Esc. Era un uomo che cercava prima di ogni altro d’imparar a conoscere se stesso.

Duc. A quali piaceri si consacrava?

Esc. Provava più diletto nel veder gli altri lieti, che non ne sentiva abbandonandosi ai suoi sollazzi. Era un uomo di una temperanza unica! Ma abbandoniamolo alle sue avventure, pregando il Cielo che sia felice, e fatemi il piacere di dirmi in quale stato avete lasciato Claudio. Mi venne detto che gli faceste visita.

Duc. Ei vi dichiara che non ha da lagnarsi del suo giudice, e si sottomette con umile rassegnazione alla sua condanna. Nondimeno si era per debolezza umana piaciuto fra molte speranze ingannatrici intorno alla vita, di cui io son venato a termine di fargli sentire la vanità, talchè è ora preparato a morire.

Esc. Voi avete compiti i vostri doveri col Cielo e col vostro prigioniero. Ho pregato per quell’infelice giovine, ed ho fatto quanto far poteva senza compromettere la mia dignità, ma ho trovato il mio collega così severo, che sono stato costretto a dirgli che era la giustizia in persona.

Duc. Se la sua condotta corrisponde al rigore dei suoi giudizi, non v’è nulla da rimproverargli; ma se cade in qualche debolezza, allora è condannato da se stesso.

Esc. Vado a visitare Claudio: addio.

Duc. La pace sia con voi! (escono Esc. e il Prev.) Quegli che vuole impugnare la spada del Cielo deve essere santo al par che rigido: egli deve sentirsi animato da tanta grazia da evitare le tentazioni del vizio, e da camminare nei sentieri della virtù, pesando esattamente i falli altrui nella bilancia in cui pesa i suoi proprii. Sciagura a colui il di cui coltello uccide per colpe di cui egli stesso è capace! Vergogna, vergogna ad Angelo se, sradicando i vizii da’ miei Stati, vi lascia crescere i suoi. Oh qual corruzione può nascondere l’uomo nel suo cuore, sebbene all’esterno si mostri un Dio! Come l’ipocrita immerso nel delitto sa ben giungere alle grandezze e agli onori! Bisogna ch’io opponga l’astuzia all’astuzia. Questa sera Angelo riceverà nel suo letto la sua antica fidanzata, disprezzata da lui fino a questo giorno. Così una virtuosa menzogna deluderà la perfidia, e un inganno salverà la virtù da un oltraggio, e farà che si compia un sacro impegno. (esce)



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