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William Shakespeare - Molto strepito per nulla (1598-1599)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto secondo
Atto primo Atto terzo

ATTO SECONDO


SCENA I.

Un'altra stanza nella casa di Leonato.

Entrano Leonato, Ero, Antonio, Beatrice ed altri

Leon. Non era qui a cena il conte Giovanni?

Ant. Nol vidi.

Beat. Che aspetto sdegnoso ha quel gentiluomo! Io non lo guardo mai senza provare, per un’ora almeno, gravi mali di cuore.

Ero. Egli è di carattere molto melanconico.

Beat. Perfetto cavaliere sarebbe colui che stesse in un giusto mezzo fra lui e Benedick: l’uno è troppo simile ad un’imagine, non dice mai nulla; l’altro rassembra troppo al figlio maggiore della mia vicina, che sempre ciancia.

Leon. Onde metà della lingua di Benedick nella bocca di don Giovanni, e metà della melanconia di don Giovanni sul volto di Benedick...

Beat. Con una buona gamba, un buon piede, e una borsa piena d’oro, zio, e ciò basterebbe per vincere qualunque donna del mondo, purchè vi fosse però un po’ d’arte per cattivarsene la buona volontà.

Leon. Tu non avrai mai uno sposo, nipote, se non punisci quella tua lingua.

Ant. In verità ella è maledettissima.

Beat. Maledettissima è più che maledetta: ond’io non avrò parte di ciò che Dio manda: poichè è detto che Dio dà corte corna a una cattiva giovenca; ma a una giovenca troppo cattiva, non ne dà di sorta.

Leon. Così per esser troppo maledetta. Dio non le darà alcun uomo.

Beat. Sì, s’ei non mi dà mai marito; per ottenere il quale benefizio io lo prego inginocchiata da mane a sera. Signore! Io non potrei sopportare un marito colla barba sul viso; più mi piacerebbe giacermi fra la lana.

Leon. Potreste trovar anche un consorte senza peli.

Beat. Che ne farei di lui? Lo acconcierei io coi miei panni, per farne una donzella? Quegli che ha barba è più che giovine; e quegli che non ne ha è meno che uomo: colui che è più che giovine non fa per me; nè io faccio per quegli che è meno che uomo. Perciò rimarrò quale sono.

Leon. E vorrete andare all’inferno?1

Beat . No, ma soltanto fino alla porta, e ivi incontrerò il diavolo che, come un vecchio becco colle corna in capo, mi dirà: itene in Cielo, Beatrice; itene in Cielo; qui non è posto per le fanciulle. E allora andrò a trovare San Pietro per chiedergli l’entrata in paradiso, ed ei mi mostrerà i beati seggi dei celibi, dov’io trascorrerò giorni lietissimi.

Ant. Sta bene, nipote. — Io però spero che voi (a Ero) vi lascierete condurre da vostro padre.

Beat . Sì, senza dubbio; è dovere di mia cugina il fare una riverenza, e dire: padre, come vi piacerà: ma nondimeno badate, cugina, che lo sposo sia amabile e ben fatto, senza di che dovete ripetere l’inchino, aggiungendo: padre, come mi aggrada.

Leon. Bene, nipote, spero di vedervi un giorno fornita di uno sposo.

Beat . No, finchè Dio non faccia gli uomini di elementi diversi dalla terra. Non è doloroso per una donna vedersi tiranneggiata da un pezzo di creta! Essere costretta a render conto delle proprie azioni a un po’ di fango che si muove? No, zio, non mi mariterò: i figli di Adamo sono miei fratelli, e riputerei peccato lo sposare un parente.

Leon. Figlia, rammentate quel che vi dissi: se il principe vi fa instanza sapete ciò che dovete rispondergli.

Beat . La colpa sarà della musica, cugina, se vi si fa la corte stuonando. Se il principe diviene importuno, ditegli che vi è una misura in ogni cosa e rispondetegli con una danza. Perocchè ascoltatemi, Ero; amoreggiare e sposare e pentirsi risponde ad un ballo che chiamano giga, ad un minuetto e ad una sarabanda scozzese. Le prime proposizioni sono ardenti come la giga e del pari fantastiche; l’imeneo è modesto e composto come l’antico minuetto; e il pentimento, che vien dopo colle sue cattive gambe, somiglia alla sarabanda, che lenta lenta muove, finchè trova il sepolcro, entro cui precipita.

Leon. Cugina, voi vedete le cose dal lato più cattivo.

Beat . Ho buon occhio, zio, e so discernere una chiesa al lume del dì.

Leon. Ecco le maschere: fate posto, fratello.

(entrano Don Pedro, Claudio, Benedick, Baldassare, Don Giovanni, Boracchio, Margherita, Orsola ed altri mascherati)

D. Pedro. Signora, volete voi passeggiare col vostro amante?

Ero. Purchè passeggiate adagio, guardiate poco e diciate nulla, specialmente quando siamo soli, accetto il vostro braccio.

D. Pedro. Nè accettate la mia compagnia?

Ero. Questo dirovvi a suo tempo.

D. Pedro. E quando sarà il tempo a cui accennate?

Ero. Ciò dipenderà dal vostro viso; perchè Iddio non voglia che il liuto somigli alla custodia.

D. Pedro. La mia maschera è il tetto di Filemone, che nasconde un Dio.

Ero. In tal caso dovrebbe esser di paglia.

D. Pedro. Parlate sommesso, se vi piace, mio amore. (vanno in disparte)

Ben. Vorrei che voi mi amaste.

Marg. Così non vorrei io per amor vostro; perocchè ho molte cattive qualità.

Ben. Ditene una.

Marg. Recito ad alta voce le mie orazioni.

Ben. Vi amo di più; gli ascoltatori possono così gridare: amen.

Marg. Dio mi faccia accoppiare ad un buon danzatore!

Bald. Amen.

Marg. E l’allontani da me allorchè la danza sarà finita! Rispondi, chierico.

Bald. Non vale, il chierico ha ottenuta la sua risposta.

Ors. Io vi conosco abbastanza; voi siete il signor Antonio.

Ant. No, vi dico.

Ors. Vi conosco al movimento della testa.

Ant. Per dirvi il vero, io lo imito.

Ors. Non è possibile imitarlo così bene; ed ecco la sua asciutta mano qual è veramente; siete Antonio, siete Antonio.

Ant. Affè non lo sono.

Ors. Ite, ite; credete ch’io non vi ravvisi al vostro spirito? Può il merito nascondersi tanto? Ve lo ripeto, siete Antonio. Le grazie si rilevano sempre, e qui finisco. (si allontanano)

Beat . Voi non volete dirmi chi ve lo disse?

Ben. No, perdonatemi.

Beat. Nè volete dirmi chi siete?

Ben. No, per ora.

Beat . Vi fu detto dunque ch’io era sprezzante, e che prendevo il mio spirito dalle cento liete novelle? Fu certo il signor Benedick che vi disse ciò.

Ben. Chi è egli?

Beat. Son sicura che lo conoscete abbastanza bene.

Ben. No, credetemi.

Beat. Non vi fece egli mai ridere?

Ben. Ve ne prego, chi è?

Beat . Il buffone del principe; un insulso cianciatore, tutto il cui ingegno sta nello spargere maldicenze assurde. Non vi sono che i libertini a cui possa talentare la sua compagnia; e colla sua insolenza egli sa piacer loro, e quindi insultarli. Di lui si ride, e talvolta vien bastonato. Son certa che è qui, e vorrei che mi venisse vicino.

Ben. Dacchè conoscerò codesto gentiluomo gli parteciperò quello che mi avete detto.

Beat. Fatelo, fatelo: ei vibrerà su di me uno o due dardi che, se non notati, o non applauditi, lo immergeranno in malinconia. (musica al di denaro) Bisogna seguir la folla che ci trascina.

Ben. In ogni cosa buona.

Beat. Se ne conducesse al male la lascierei alla prima cantonata. (danza; quindi escono tutti, tranne don Giovanni, Boracchio e Claudio) D. Pedro. Certo, mio fratello è innamorato di Ero, ed ha condotto il di lei padre a parte per dichiarargli la sua passione. Le signore lo seguono, e non resta che una maschera.

Bor. E questa è Claudio: lo conosco al portamento.

D. Gio. Non siete voi il signor Benedick?

Claud. Ben v’apponete: son quegli.

D. Gio. Signore, voi siete molto innanzi nelle buone grazie di mio fratello; egli è invaghito di Ero. Vi prego di distoglierlo da quell’amore. Ero non gli è eguale per nascita: e voi potete far qui la parte di un onest’uomo.

Claud. Come sapete ch’ei l’ami?

D. Gio. L’udii giurarle la sua affezione.

Bor. Così io pure intesi; ed ei soggiungeva che l’avrebbe sposata questa notte.

D. Gio. Andiamo al banchetto. (esce con Bor.)

Claud. Così io rispondo sotto il nome di Benedick; ma è l’orecchìo di Claudio che ha intese queste fatali novelle! Nulla è più sicuro; il principe vagheggia Ero per sè. In tutte le cose umane l’amicizia si mostra fedele, fuorchè nell’amore. Così dunque ogni cuore amoroso non adoperi che la sua propria voce; l’occhio traffichi solo per se stesso, e rifiuti i soccorsi di un agente. La bellezza è un’incantatrice, e la buona fede che si assoggetta ai suoi dardi si dissolve in sangue. È una verità che occorre sempre, e a cui nondimeno io avevo pensato così poco. Addio dunque, Ero! (rientra Benedick)

Ben. Il conte Claudio?

Claud. Sì.

Ben. Volete venir con me?

Claud. Dove?

Ben. A piè del primo salice, conte. Come porterete la ghirlanda che ne intesseremo? al vostro collo, quasi fosse la catena di un usuraio? o sotto l’ascella come la ciarpa di un luogotenente? In qualche modo bisogna bene che la portiate, perocchè il principe ha conquisa la vostra Ero.

Claud. Gli auguro molta felicità con lei.

Ben. Quest’è parlare da onesto vaccaio; così essi dicono vendendo i loro vitelli. — Ma avreste creduto mai che Don Pedro vi servirebbe in tal guisa?

Claud. Ve ne prego, lasciatemi.

Ben. Ora somigliate al cieco che batte chi gli sta innanzi: fuggito il ladro, chiudete ora la casa.

Claud. Poichè non volete lasciarmi, vi lascierò io. (esce)

Ben. Oimè! povero uccello ferito, tu vai a posarti sopra qualche arida paglia? Ma che Beatrice mi conosca sì bene e non mi conosca? Il buffone del principe! Ah può ben essere che io sia onorato di questo titolo, perchè son allegro! No, mi mostro troppo sollecito a farmi ingiuria da me. Tale non sono riputato: è l’invida e amara tempera di Beatrice che mi mette così in giuoco. Bene, mi vendicherò come posso. (rientrano Don Pedro, Ero e Leonato)

D. Pedro. Ebbene, signore, dov’è il conte? Lo vedeste?

Ben. In verità, gentiluomini, ho compiuta la parte di madonna Fama; trovai qui il conte melanconico come una casa disabitata e gli dissi, e credo gli dicessi il vero, che Vostra Signoria si è captivata gli affetti di quella giovine donzella; e mi offersi di accompagnarlo ad un salice, o per fargli una ghirlanda, come derelitto, o per fornirgli un fascio di verghe, quale uomo degno di essere frustato.

D. Pedro. Di essere frustato! Ma che fallo commise?

Ben. Il fallo di uno scolaro che, pieno di gioia per aver scoperto un nido, lo mostra ad un suo compagno che gliene va a rubare.

D. Pedro. Vuoi tu chiamar fallo un atto di fiducia? La trasgressione è piuttosto nel ladro.

Ben. Nondimeno non sarebbe stato male, che si fossero ammannite le verghe e la ghirlanda. Il conte avrebbe presa la ghirlanda per sè e avrebbe fatto dar le verghe a Vossignoria, che da quanto apprendo gli avete rubato il nido.

D. Pedro. Insegnerò agli implumi che vi stanno a cantare, e li renderò quindi al loro proprietario.

Ben. Se il loro canto risponde al vostro dire, in coscienza parlate onestamente.

D. Pedro. Beatrice vi apparecchia una querela. Il cavaliere che danzava con lei le ha detto quanto voi l’oltraggiate.

Ben. Oh! è essa che maltratta me oltre ogni credere. Una quercia a cui non restasse che una foglia verde le risponderebbe. La mia maschera stessa si animerebbe contro di lei. Ella ha osato dirmi, ignorando a cui parlasse, ch’io sono il buffone del principe, e che son più freddo del ghiaccio. Udii una salva di sarcasmi vibrati con tanta prestezza, che rimasi come uomo che serve di bersaglio a tutto un esercito. I suoi discorsi sono pugnali; ogni parola uccide: se il suo alito fosse così pestifero come le sue parole, la morte si diffonderebbe fino alla stella del nord. Io non la sposerei fruisse ella di tutti i beni che possedeva Adamo prima del suo peccato; ella avrebbe fatto girar lo spiedo ad Ercole e spezzatane la clava per accendere il fuoco. Non mi parlate di lei: è una furia d’inferno sotto divine sembianze: volesse Dio che qualche esperto esorcista la purificasse! perocchè finchè sarà così si vivrà meglio all’inferno che con lei: e tutti vorranno andare colà piuttosto che restare in sua compagnia. (rientra Claudio e Beatrice)}}

D. Pedro. Mirate, ella qui viene.

Ben. Vuole Vostra Grazia comandarmi alcun servizio, fosse anche al termine del mondo? Per il più lieve messaggio andrei fino agli antipodi: andrei a cercare un fuscellino da denti nell’ultimo palmo di terra asiatica, a prender la misura del piede di prete Giovanni, a strappare un pelo dalla barba del gran Cham, a recare ambasciate agli ultimi Lapponi piuttosto che sostenere un colloquio di tre parole con quell’arpia. Non avete alcun ufficio da affidarmi?

D. Pedro. Non posso che desiderare la vostra buona compagnia.

Ben. Oh Dio! quest’è, signore, un piatto che non mi piace; non so sostenere la lingua di quella donzella. (esce)

D. Pedro. Venite, signora, venite; voi avete perduto il cuore del signor Benedick.

Beat . Affè, ei me lo prestò per un tempo, ed io gliene diedi il frutto, pagando un cuor doppio per un semplice. Ei mi guadagnò poi il suo cuore con falsi dadi, e perciò Vostra Grazia ben dice ch’io l’ho perduto.

D. Pedro. Lo avete atterrato, donzella, l’avete atterrato.

Beat . Così non vorrei ch’egli avesse fatto con me, signore, per tema ch’io non divenissi madre d’una nidiata di stolti. Vi conduco il conte Claudio, che mi diceste di cercare.

D. Pedro. Ebbene, conte, perchè siete sì mesto?

Claud. Non son mesto, signore.

D. Pedro. Che dunque? Infermo?

Claud. Neppure.

Beat . Il conte non è nè tristo, nè malato, nè lieto, nè in buon essere; ma, civil conte, civile voi siete come un arancio, e avete qualche po’ della sua delicata complessione.

D. Pedro. In verità, signora, credo il vostro Blasone fedele; quantunque, se Claudio è tale, giurerei che i suoi sospetti sono ingiusti. Io ho amoreggiato in tuo nome, Claudio, e la bella Ero è presa: aperto mi sono con suo padre, e il di lui assentimento ottenuto: ferma dunque il giorno del matrimonio, e Iddio ti faccia lieto!

Leon. Conte, ricevete mia figlia dalla mia mano, e con lei le mie ricchezze: Sua Grazia ha fatto l’accordo, e tutti dicono amen.

Beat . Parlate, conte, tocca ora a voi.

Claud. Il silenzio è l’interprete più perfetto della gioia: sarei poco felice se potessi dire quanto lo sono. — Signora (a Ero) come voi siete mia io son vostro: a voi mi consacro intero; e sospiro pel cambio dei nostri cuori.

Beat . Parlate, cugina; o se nol potete, chiudetegli la bocca con un bacio, e nol lasciate proseguire.

D. Pedro. In verità, donzella, voi siete ben allegra.

Beat . Sì, signore, e ne ringrazio la sorte. — Ma mirate mia cugina che gli dice all’orecchio ch’ei sta nel di lei cuore.

Claud. Ed è infatti quello ch’ella mi dice, cugina.

Beat. Buon Dio, ecco un novello vincolo! Così fa ognuno in questo mondo fuori di me: io potrei assidermi in un angolo, e gridare: oimè! per pietà un marito!

D. Pedro. Amabile Beatrice, ve ne troverò uno.

Beat. Vorrei che piuttosto me lo trovasse il padre vostro. Non avrebbe Vostra Grazia un fratello che le somigliasse? Vostro padre sapeva fare eccellenti mariti, se una fanciulla potesse giungere fino ad essi.

D. Pedro. Sposereste me, signora?

Beat. No, signore, a meno che non avessi un altro sposo per i giorni da lavoro, Vostra Grazia è di troppo gran prezzo per venir scipata ogni dì. Ma vi supplico di perdonarmi: io non so dire che follie.

D. Pedro. Il vostro silenzio mi offenderebbe di più; che la vostra allegria a meraviglia vi si addice, poichè voi foste senza dubbio generata in una lieta ora.

Beat . No certo, signore, avvegnachè mia madre gridava; ma in quel punto danzava certo qualche stella, e io nacqui sotto di essa. Cugini, Dio vi faccia felici!

Leon. Nipote, volete attendere a quelle cose di cui vi parlai?

Beat . Vi chieggo scusa, mio zio. — Col permesso di Vostra Grazia. (esce)

D. Pedro. In verità è una cara e spiritosa fanciulla.

Leon. La malinconia è un elemento che prevale poco in lei, signore; ella non è mesta che quando dorme; e neppur sempre; imperocchè ho spesso udito dire a mia figlia che in mezzo anche a sogni disgraziati si svegliava talora da sè colle sue risa.

D. Pedro. La fanciulla non può patire che le si parli di sposo.

Leon. Oh! per niun conto; e schernisce tutti coloro che le fanno la corte.

D. Pedro. Sarebbe un’eccellente moglie per Benedick.

Leon. Ah signore! se essi fossero insieme accoppiati solo per una settimana, parlerebbero tanto da perdere la ragione.

D. Pedro. Conte Claudio, quando volete voi andar all’altare?

Claud. Domani, signore: il tempo va colle grucce fin che l’amore non ha veduto compiuti i suoi riti.

Leon. No, mio caro figlio, differiamo fino a lunedi: ora sarebbe troppo presto, e mancherebbero gli apparecchi necessarii.

D. Pedro. Ah Claudio! a una sì lunga dimora voi crollate il capo; ma io vi dichiaro che questi giorni di aspettativa non peseranno sopra alcuno di noi, perchè io in tale intervallo assumerò una fatica da Ercole, quella di far convenire il signor Benedick e Beatrice in una mutua affezione. Vorrei volentieri stringere quell’unione; e non dubito di non riuscirvi, se vorrete assecondarmi.

Leon. Signore, contate su di me, dovessi io passare dieci notti insonni.

Claud. Ed anche su di me, signore.

D. Pedro. E su di voi pure, amabile Ero?

Ero. Farò quanto potrò, signore, per procurare a mia cugina la mano d’un buon marito.

D. Pedro. E fra quelli ch’io conosco, Benedick non sarebbe il peggiore: egli è d’un sangue illustre, d’un valore incontestato,, e d’un’onestà a tutte prove. Vuo’ insegnarvi il mezzo d’indurre vostra cugina ad amarlo; intantochè io co’ miei due amici mi adoprerò intorno a lui. In onta del suo spirito tenace e de’ suoi falsi gusti lo accenderò per Beatrice. Se possiamo riuscire in ciò, Cupido non sarà più arciere; tutta la sua gloria ricadrà in noi; perocchè noi saremo i soli numi dell’amore. Entrate con me, ed io vi chiarirò tutto il mio disegno. (escono)

SCENA II.

Un’altra stanza nella casa di Leonato.

Entrano Don Giovanni e Boracchio.

D. Gio. Così è; il conte Claudio sposerà la figlia di Leonato.

Bor. Sì, ma io gli attraverserò la strada.

D. Gio. Ogni barriera, ogni ostacolo, ogni impedimento sarà un balsamo per me: malato io sono per l’odio che porto a colui, e qualunque cosa che conduca in rovina i suoi amori, mi rende felice. Come impedirai tu tal matrimonio?

Bor. Non onestamente, signore; ma in modo tanto coperto che niuna disonestà apparirà in me.

D. Gio. Spiegati presto.

Bor. Credo avervi confidato, signore, un anno fa, quanto io sia amato da Margherita, donzella d’Ero?

D. Gio. Lo rammento.

Bor. Io posso a qualunque ora della notte farla venire al verone della sua signora.

D. Gio. E come entra questo col matrimonio?

Bor. Il veleno che in ciò sta, tocca a voi lo spremerlo. Andate a trovar il principe vostro fratello, e ditegli ch’egli avvilisce il suo onore, dando all’illustre Claudio, di cui voi encomierete altamente la persona, una vile creatura com’è Ero.

D. Gio. E come proverò io ch’è vile?

Bor. Ne avrete una prova che varrà ad ingannare il principe, a cruciar Claudio, e disonorare Ero, e a far morire Leonato: vi piace codesto?

D. Gio. Solo per farli disperare intraprenderei qualunque cosa.

Bor. Ite dunque, e trovate un momento propizio, per chiamare a parte D. Pedro e Claudio, e dite loro che voi sapete che Ero mi ama teneramente. Dimostrate uno zelo sollecito pel principe e pel conte, come se guidato foste soltanto dall’interesse che prendete all’onore d’un fratello che formato ha tai nodi, ed alla riputazione del suo amico, che ingannare così si lascia dalle esteme apparenze d’una fanciulla, che voi avete scoperta disonesta. Difficilmente essi crederanno ciò senza prove; ma voi loro ne darete una che sarà quella di farmi vedere alla finestra della stanza di Ero; di udirmi chiamare durante la notte Margherita col nome della sua signora, e d’intendere quella finta Ero a favellare di Boracchio. Conduceteli per essere testimonii di tale scena la notte stessa che precederà il matrimonio fermato; perocchè regolerò così bene la bisogna che in quella notte Ero sarà assente e la sua slealtà sembrerà tanto vera, che il sospetto diverrà certezza e più non si parlerà delle nozze.

D. Gio. Quali che ne siano le conseguenze mi atterrò al tuo consiglio. Sii sagace nel tuo operato, e avrai un guiderdone di mille scudi.

Bor. Siate voi costante nell’accusa, e io non arrossirò per la mia astuzia.

D. Gio. Vuo’ ora andar a chiedere in qual giorno è fermato il loro matrimonio. (escono)

SCENA III.

Il giardino di Leonato.

Entrano Benedick e un Ragazzo.

Ben. Ragazzo...

Rag. Signore.

Ben. Sulla finestra della mia camera è un libro, recamelo in questo giardino.

Rag. Così farò, signore. (esce)

Ben. Stupisco che un uomo che sa quanto è sciocco colui che si abbandona all’amore, dopo aver riso della follia altrui, possa egli stesso consentire a servir di testo alla sua propria favola, innamorandosi: e un tal uomo nondimeno è Claudio. Ho veduti i tempi in cui egli non conosceva altra musica che quella del tamburo e del pifero; ed ora non vorrebbe più udire che il flauto e la zampogna. Ho veduto i tempi in cui avrebbe fatte dieci miglia per ammirare una buona armatura; ed ora vigilerebbe dieci notti per meditare sulla foggia di un abito nuovo. Ei soleva parlare semplicemente e andar dritto al suo scopo come un onesto uomo e un soldato; e adesso è divenuto purista, e le sue frasi somigliano a un bizzarro banchetto composto di vivande ricercatissime. Potrebbe egli avvenire che, vedendo gli oggetti come li veggo, io giungessi a mutarmi così? Non so che dirne, ma credo di no. Io non giurerei che in un bel mattino l’amore non potesse trasformarmi in un’ostrica; ma giurerei che prima ch’egli avesse fatta un’ostrica di me, ei non mi renderebbe mai uno sciocco simile al conte. Se una donna è bella, non per ciò io perdo la ragione; se un’altra è virtuosa, non per ciò impazzisco; se un’altra ha buon ingegno, non per questo io smarrisco il mio, e purchè io non vegga una donna posseditrice di tutte le grazie, alcuna di esse non otterrà le mie. Tal donna dovrà esser ricca, ciò è sicuro; saggia, o io non la vorrò; virtuosa, o non chiederò mai la sua mano; bella, o non la guarderò mai in viso; dolce, o non le dirò mai di avvicinarsi a me; nobile, o non le offrirò mai un ducato; di graziosi colloquii, eccellente maestra di musica, e coi capelli di quel colore che a Dio piacerà. Ma ecco il principe, e con esso messer Amore! Vuo’ nascondermi sotto il pergolato. (si ritira. Entrano Don Pedro, Leonato e Claudio)

D. Pedro. Venite; udrem questa musica?

Claud. Sì, mio buon signore. Come placida è la notte e come ben si accorda con questa armonia!

D. Pedro. Vedete voi dove sia nascosto Benedick?

Claud. Lo veggo, signore: e terminata la musica snideremo la volpe. (entra Baldassare con alcuni suonatori)

D. Pedro. Vieni, Baldassare, vogliam udire di nuovo quella «canzone.

Bald. Oh! mio buon signore, non consentite che una così cattiva voce faccia onta alla musica.

D. Pedro. È sempre prova di molta eccellenza il celare i proprii meriti. Te ne prego, canta, e non voler ch’io dica altro.

Bald. Poichè così volete vi obbedirò: molti amanti indirizzano la loro preghiera a donne che non stimano degne di essi, e a cui nondimeno pregano giurando che le amano.

D. Pedro. Basta; ora canta: o se vuoi parlare di più, fallo colle note.

Bald'. Prima di udir le mie note, notate ciò: è che non ve n’è una che meriti di esser notata. (preludio)

D. Pedro. Signori, state attenti.

Ben. Oh quale divina aria! L’anima del cantore è già rapita! Non è egli strano che quelle fibre di montone abbiano il potere di fare uscire l’anima dal corpo dell’uomo! Venite col corno a ricevere il mio denaro quando avrete finito. (Baldassare canta)

Bald. «Non sospirar più, donzella, non sospirar più; gli uomini furono sempre ingannatori: un piede in mare l’altro sulle sponde, l’umano cuore non formò mai voti costanti. Non gemere quindi così, non mandare un singulto, e lascia partir quegli amanti infedeli: sii lieta e gioconda, e volgi tutti i lamenti in inni di piacere. Racconsolatevi dei vostri vani dolori giovani bellezze, che l’amore ha tradito: le frodi degli uomini sempre esisterono, dacchè l’estate fu coronato di foglie e di fiori».

D. Pedro. In verità! è una bella canzone.

Bald. Ma chi la canta è inetto, signore.

D. Pedro. No, no in fede; tu ti esprimi abbastanza bene.

Ben. (a parte) Se un cane avesse latrato così lo avrebbero fatto ammazzare: e prego Dio che la sua pessima voce non sia presagio di sventura ad alcuno! Meglio mi sarebbe piaciuto udire la notturna civetta, a rischio d’incorrere in tutti i mali che ella predice.

D. Pedro. Dunque m’intendi, Baldassare! Io ti prego di trovarmi qualche buon suonatore; perchè dimani sera vogliamo fare un concerto sotto le finestre di Ero.

Bald. Quei migliori che potrò, signore.

D. Pedro. Così sta bene: addio. (escono Bald. e i musici) Avvicinati, Leonato. Di che mi parlavi oggi? Che tua nipote Beatrice si era innamorata del signor Benedick?

Claud. (a parte a D. Pedro) Va bene, va bene: il cervo rimarrà preso. — Non avrei mai creduto che quella donzella si invaghisse d’alcun uomo.

Leon. E neppur io; ma il più maraviglioso è che ella si è appunto innamorata di quello che sembrava detestar tanto.

Ben. (a parte) È egli possibile? Spira il vento da questo lato?

Leon. In fede, signore, non saprei che pensarne; ma ch’ella lo ami con furore non si sarebbe potuto concepir da alcuno.

D. Pedro. Forse però finge?

Claud. È probabile.

Leon. Fingere! Buon Dio! Non mai passione finta somigliò tanto ad una vera, come quella ch’ella dimostra.

D. Pedro. E quali effetti di passione dà ella a divedere?

Claud. Gettate bene l’amo (a parte), il pesce resterà preso.

Leon. Quali effetti, signore? Ella si asside... e udiste mia figlia a narrarvi come.

Claud. Infatti essa lo disse.

D. Pedro. Come, come? ve ne prego. Voi mi fate meravigliare; io avrei creduto che i di lei spiriti fossero invulnerabili alle passioni.

Leon. Io pure l’avrei giurato, signore; e specialmente trattandosi di Benedick.

Ben. (a parte) Crederei tutto ciò un inganno, se quella barba bianca non vi entrasse: ma la frode non può celarsi sotto aspetto sì venerando.

Claud. (a parte) Ei mangia il veleno; spargetelo.

D. Pedro. Ha ella dichiarato il suo amore a Benedick?

Leon. No; e giura che non lo farà mai, e questo è appunto il suo tormento.

Claud. È vero, e vostra figlia lo attesta. Debbo io, essa dice, scrivere ad un uomo che l’amo, dopo avergli mostrato spesso tanto disprezzo?

Leon. Quest’è quel ch’ella dice allorchè comincia a scrivere: poi si alza venti volte la notte e siede in camicia, finchè ha empito di caratteri un foglio. Mia figlia mi racconta tutto ciò.

Claud. Ah poichè parlate di fogli, cotesto mi mette in mente una vaga burla che vostra figlia ne esponeva non ha molto.

Leon. Ah sì!... quand’ella ebbe scritto e stava rileggendo trovò i nomi di Beatrice e di Benedick che si combaciavano.

Claud. E allora?

Leon. Oh! allora strappò la lettera in mille brandelli, e si sdegnò con se stessa per essere tanto immodesta da scrivere ad un uomo ch’ella ben sapeva l’avrebbe beffata. Io lo giudico, ella disse, da me; perocchè io lo schernirei se egli mi scrivesse, quantunque lo ami.

Claud. E quindi cadde genuflessa, pianse, singhiozzò, si battè il petto, si stracciò i capelli, pregò, maledì, sclamando: o dolce Benedick! Dio mi dia pazienza!

Leon. Tale è il suo stato, secondo la narrazione; e l’amore l’ha tanto vinta, che mia figlia teme ch’ella non ne venga a qualche estremo disperato. Quanto vi dico è vero.

D. Pedro. Se persiste nel tener segreta la sua passione a Benedick, sarebbe bene che qualcun altro ne lo avvertisse.

Claud. A qual fine? Ei non ne trarrebbe che argomento di riso, e tribolerebbe di più quell’infelice.

D. Pedro. Se di ciò fosse capace, sarebbe carità lo appiccarlo. Ell’è un’eccellente fanciulla, e di virtù immacolata.

Claud. Oltre ciò molto savia.

D. Pedro. In tutto però, fuorchè nell’amare Benedick.

Leon. Oh signore! quando la saggezza e la natura combattono in un così tenero corpo, abbiam dieci prove contro una che la natura otterrà vittoria. Me ne dolgo per lei, e ne ho giusta cagione, essendole zio e tutore.

D. Pedro. Vorrei ch’ella avesse posto il suo amore in me: scacciato avrei ogni altro rispetto, e l’avrei fatta mia sposa. Ve ne prego, dite ciò a Benedick, e udite quel che risponde.

Leon. Credete ciò bene?

Claud. Ero pensa che sua cugina morrà sicuramente: perocchè Beatrice afferma che morrà se Benedick non l’ama, e morrà prima di fargli conoscere il suo amore. Se anche ei la corteggiasse ella morrebbe, prima che rimettere un’ombra della sua alterezza.

D. Pedro. Ha ragione; s’ei l’udisse mai dichiararle il suo amore son sicuro che la sprezzerebbe. Voi lo conoscete; e sapete quanto sia orgoglioso.

Claud. È però un bel giovine.

D. Pedro. Ha un bell’esteriore, non vuol negarsi.

Claud. Ed è anche savio, giurerei.

D. Pedro. Talvolta scaturiscono da lui scintille d’ingegno.

Leon. E prode dev’essere.

D. Pedro. Come Ettore, ve ne fo fede: e nel trattar le contese lo potete chiamar savio; perocchè o le evita con discrezione, o le maneggia colla più cristiana prudenza.

Leon. S’egli teme Dio, bisogna che necessariamente ami la pace; se deve ripudiare la pace, forza è che entri con dolore nelle contese.

D. Pedro. Così fa perocchè paventa il Signore, quantunque ciò non si dica udendo i suoi epigrammi. Me ne duole per vostra nipote. Andremo da Benedick per dichiarargli il di lei amore?

Claud. Non gliene dite nulla, signore. Lasciamo ch’ella obblii tal passione nel suo silenzio.

Leon. Ciò è impossibile, il cuore le scoppierebbe innanzi.

D. Pedro. Ebbene, aspettiamo che vostra figlia ci riveli qualcosa di più; e lasciam per ora attiepidir questo fuoco. Io amo Benedick, e desidererei che, esaminando modestamente se stesso, ei conoscesse quanto è indegno di sì bella compagna.

Leon. Signore, volete entrare? Il pranzo è pronto.

Claud. (a parte)}} Se dopo ciò ei non se ne innamora non crederò più alle mie previsioni.

D. Pedro. (a parte) Fate che la medesima rete sia tesa anche a lei; e questa debbono intrecciare vostra figlia e la sua donzella. La commedia sarà piacevole allorchè ognuno d’essi godrà della passione dell’altro, quantunque alcuna non esista: tale follia ci darà gran materia di riso. — Mandiamo intanto Beatrice per chiamarlo a pranzo. (escono; Benedick si avanza dal pergolato)

Ben. Non può essere una beffa; la loro conferenza mostrava la maggior gravità. Ero ha rivelato loro codesta passione; e tutti sembrano compiangere Beatrice, che si direbbe immensamente innamorata. — Amarmi! Ella dovrebbe esseme ricompensata. Ho udito come mi biasimano; essi dicono ch’io mi comporterò superbamente se mi veggo che ella mi ami. Dicono che la fanciulla morrà piuttosto che darmi alcun segno di affezione. — Non ho pensato mai ad ammogliarmi... ma non debbo essere orgoglioso... e felici son coloro che odono i loro critici, e possono emendarsi. Essi notano che la fanciulla è bella; e questa è verità: dicono che è virtuosa... e a ciò non potrei nulla opporre: aggiungono che è savia in tutto fuorchè nell’amarmi... e affè questo non tesse l’elogio del suo giudizio, ma nondimeno non è in lei follia, perocchè io pure la amerò orribilmente. — Forse mi verrà avventato qualche sarcasmo perchè mi son sempre fatto beffe del matrimonio: ma il gusto non può mutarsi? Un giovine ama certe vivande, che fatto vecchio non può sopportare. Debbono scipiti frizzi rattenere un uomo nella sua via, e impedirgli d’andare alla meta? No: il mondo ha da essere popolato. Allorchè dicevo che sarei morto celibe non credevo di vivere fino al dì del matrimonio. — Viene Beatrice. Per questo lume di Cielo è una vaga fanciulla. Io scorgo davvero in lei alcuni segni d’amore. entra Beatrice)

Beat. Contro il voler mio fui mandata ad invitarvi a pranzo.

Ben. Bella Beatrice, vi ringrazio della vostra fatica.

Beat . Non ho faticato per ottener questo ringraziamento più di quello che abbiate fatto voi esprimendolo. Se vi fosse stata qualche fatica per me, non sarei venuta.

Ben. Vi recava dunque piacere il messaggio?

Beat. Sì, quel piacere che voi provereste sgozzando un uccello. — Non avete appetito, signore? addio. (esce)

Ben. Ah! Contro il voler mio fui mandata ad invitarvi a pranzo... Vi è in queste parole un doppio significato. Non ho faticato per ottener questo ringraziamento più di quello che abbiate fatto voi esprimendolo... Ciò val quanto dire: ogni fatica che assumo per voi è dolce come un ringraziamento. — S’io non ho pietà di lei, sono uno scellerato; se non l’amo, sono un ebreo: vuo’ cercar d’avere il suo ritratto. (esce)






  1. Allusione al vecchio proverbio che le vecchie zitelle si dannano.

Note

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