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XVI
LA FENICE
Ne l’indico orïente,
nobil parte del ciel, porta del giorno,
sen vive eternamente,
di mille pregi adorno,
di morte ad onta, un immortal augello,
fra le schiere volanti unico e bello.
Il suo bel capo ha d’ostro,
l’ali son d’oro, il collo è azzurro eletto,
gemma somiglia il rostro,
vivo smeraldo il petto,
ne la sua coda alto splendor riluce,
gemino sole è l’una e l’altra luce.
Mostra ne l’andar solo
augusta maiestá, regio decoro,
varca le nubi a volo
se spiega i vanni d’oro,
e verso il ciel cosí veloce ascende,
che l’augello di Giove ira ne prende.
Se scorge aver per gli anni
deboli le virtú, gravanti l’ale,
tarpati e bassi i vanni,
e ’l suo valor giá frale,
in quella parte il suo bel volto affretta,
che da fenice vien Fenicia detta.
Quivi in limpido fonte,
chiuso da’ boschi, il nobil corpo immerge,
e vòlta a l’orïente
scioglie il canto e si terge;
indi s’inalza e la sua pira appresta:
vitale io la dirò piú che funesta.
In un composto accoglie
tenero nardo e balsamo stillante,
e con la mirra coglie
l’amomo odor-spirante,
e poscia invola a piú remoto loco
il cinamo, il cipresso, il costo e ’l croco.
L’alta funerea mole
sovra palma sublime erge e sublima,
e che rinasca il sole
quivi n’attende in cima;
non turba il vento allor l’aereo seno,
ma si mostra a tal opra il ciel sereno.
Ecco che giá risplende
il gran pianeta, assiso al carro aurato,
e col suo raggio accende
il bel rogo odorato;
e la fenice in tanto allegra e viva
de l’ali al ventilar piú il foco avviva.
Sparisce a poco a poco
il color vario de le piume belle,
e va rodendo il foco
ciò che natura dielle,
e mentre il corpo suo flagra e si strugge,
l’aura vital giá l’abbandona e fugge.
Ma intanto la natura,
per non impoverir d’un cotal seme,
pone in raccor la cura
l’alte reliquie estreme,
e dispargendo in lor liquidi umori
vita a la cener dá, spirto agli ardori.
Formasi un picciol ovo,
in mezzo al foco, ove apprestò la pira;
poscia in sembiante novo
spiumato augel s’ammira,
e si vede cangiar, mentre rinasce,
la tomba in cuna ed il feretro in fasce.
Ecco ringiovanisce,
e ’l capo inostra e i suoi bei vanni indora,
e d’azzurro arricchisce
il collo, e si colora
di vivace smeraldo il petto e ’l tergo,
e ’l collo drizza a piú gentile albergo.